Vaso di Pandora

La repressione non guarisce una società malata

Cosa succede a una società che cerca risposte al disagio sociale irrigidendosi nella repressione? È possibile immaginare un futuro in cui la dignità umana sia davvero al centro delle scelte politiche?

Le carceri, spesso descritte come luoghi per correggere, possono davvero svolgere questa funzione quando si trasformano in spazi di sofferenza e abbandono? E ancora, è giusto accettare che diritti faticosamente conquistati vengano erosi in nome di una sicurezza apparente?

L’articolo che segue non offre risposte semplici. Franco Corleone ci invita a fermarci, a osservare con attenzione ciò che accade, e a chiederci: quale direzione stiamo prendendo? Le sue parole sono un richiamo delicato ma fermo a non distogliere lo sguardo, a interrogarsi, e soprattutto, a immaginare un’alternativa.

La conferenza nazionale autogestita per la Salute Mentale

Il 6 e 7 dicembre si è svolta a Roma una Conferenza nazionale autogestita per la Salute Mentale promossa da un cartello vastissimo di associazioni che hanno voluto far sentire la voce dell’indignazione contro l’involuzione autoritaria che vuole schiacciare i deboli, i soggetti fragili, i migranti, i poveri, i detenuti.

Appare sempre più chiaro il disegno del governo Meloni di riscrivere la storia del Paese: cancellare o deformare le leggi che hanno affermato i diritti e prevedere nuovi reati o aggravare le pene. L’elenco è ormai lungo: dalla previsione del reato universale di gestazione per altri alla limitazione di fatto dell’interruzione di gravidanza, dai limiti al diritto di manifestazione e di sciopero all’aumento delle pene per i fatti di lieve entità previsti dalla legge antidroga, dalla equiparazione della canapa tessile a quella stupefacente e alla nomina di un commissario per l’edilizia penitenziaria, dalla costruzione del Centro rimpatri in Albania al carcere per le detenute madri e le donne in gravidanza.

La proposta di riscrittura della legge 180

La proposta più provocatoria nel centenario di Basaglia è la riscrittura della legge 180 da parte di un oscuro senatore di Fratelli d’Italia che tra le tante perle prevede il Tso in carcere, la presenza di piccoli manicomi nelle prigioni e la trasformazione delle Rems in mini-Opg.
Ha ragione Maurizio Landini, che nel suo intervento ha affermato come lo spartiacque rappresentato dalla chiusura dei manicomi del 1978 andasse oltre l’obiettivo specifico e abbia messo al centro la persona  e non la malattia.

Dai gruppi di lavoro è emerso il quadro di una società malata e insoddisfatta; ma se il disagio sociale si espande, la risposta non può venire da una psichiatrizzazione di massa e dal ricorso magico ai farmaci: occorre costruire città solidali e realizzare alleanze contro le solitudini.

Un’attenzione particolare è stata rivolta alla situazione del carcere, un non-luogo ridotto a un ammasso di corpi senza speranza. Una polemica spesso strumentale dipinge le prigioni come piene di matti, per nascondere la realtà di una detenzione sociale insopportabile, resa evidente dal sovraffollamento e dal numero record di suicidi. Le cose da fare per contrastare la voglia di pratica muscolare, manifestata dal video di propaganda del calendario della Polizia penitenziaria, sono chiare.

Le battaglie di scopo per la nuova repressione

Dopo 35 anni dall’ultimo provvedimento (dalla bulimia all’anoressia!), approvare un’amnistia e un indulto accompagnati da una legge che preveda il numero chiuso in carcere e l’istituzione di case di reinserimento sociale di piccole dimensioni, diffuse sul territorio e gestite dai sindaci, dai servizi sociali e dal volontariato. Un carcere ridotto a sole trentamila presenze potrebbe realizzare la sfida dell’articolo 27, che Meloni e Delmastro vorrebbero invece stravolgere. Molte battaglie di scopo sono già state indicate: eliminare le misure di sicurezza e le case lavoro, dare cittadinanza a tutti i detenuti, realizzare il diritto ai colloqui intimi senza controllo visivo, vietare l’isolamento disciplinare.

L’interrogativo del che fare ha aleggiato nelle menti e nei cuori e la risposta della disobbedienza civile ha convinto. Un primo segno di resistenza è offerto dalla marcia non violenta organizzata per sabato 21 dicembre a Udine, dal Duomo al carcere di Via Spalato: uomini e donne hanno sfilato con una rosa bianca in mano.

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Commenti su "La repressione non guarisce una società malata"

  1. Contributo necessario se non doveroso da parte di chi conosce bene le realtà restrittive comunque siano denominate.
    Reprimere e punire non sono certo dimensioni contemporanee, ma la frenesia odierna è pari solo alla mancanza di speranza, alla povertà della ragione, all’eclissi dell’empatia.
    Da una parte Steven Pinker nel libro Il Declino della Violenza ci descrive (con dati puntuali) come delitti, crimini d’odio, linciaggi, abusi sui minori, crudeltà verso gli animali sono tutti significativamente diminuiti dopo l’emanazione delle prime carte dei diritti dell’età moderna e dall’altra Didier Fassin nel libro Punire ci descrive che negli ultimi decenni le nostre società sono diventate più repressive, le leggi più severe, i giudici più rigidi, e questo senza che ci sia alcun legame diretto con la criminalità.
    Punire, secondo alcuni, magari ricorrendo a carceri galleggianti già sperimentate nel XVIII secolo oppure colonizzando deserti sperduti.
    Forse la risposta a questa cieca bramosia odierna è continuare a parlare, a discutere, a contestare, a proporre e soprattutto a ricordare.
    Grazie Onorevole Franco Corleone .

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