Vaso di Pandora

Il giorno sbagliato

Per Rachel, il giorno sbagliato inizia dopo un banale diverbio con un automobilista a seguito di un colpo di clacson troppo forte. L’uomo, risentito per quello che ritiene un comportamento maleducato da parte della donna, pretende delle scuse. Al rifiuto di lei, quest’ultimo inizia a perseguitare la giovane donna e suo figlio inseguendoli per la città e arrivando persino a colpire i familiari di lei, pur di farle vedere cosa succede a non rispettare “le buone maniere”.

Sebbene la vicenda narrata da Derrick Borte ne “Il giorno sbagliato” (2020) e interpretata da Russel Crowe e Caren Pistorius non sia ispirata a nessuna storia vera in particolare, non possiamo neanche ignorare che essa rappresenti iconicamente delle situazioni ahimè fin troppo frequenti nella quotidianità, dove una incomprensione, un banale litigio o un rancore sopito per anni si trasformano all’improvviso in una immane tragedia. L’ultimo tragico episodio riguardante la morte di Barbara Capovani, la collega psichiatra barbaramente uccisa da un suo utente, ne è la dimostrazione.

Questo scritto non vuole però lanciarsi in avventurose “diagnosi a distanza” sull’uccisore, o analizzare le criticità e le falle che minano la sicurezza di chi lavora nell’ambito della salute mentale, ma vuole tuttavia restare sul quadro generale, soffermandosi un po’ come il film citato non su un caso particolare ma su un “tipo”, su una caratteristica di personalità di alcuni individui che spesso contribuisce all’accadimento di questi tragici episodi. Sto parlando nello specifico di quello che viene definito “Disturbo Antisociale di Personalità”, oppure come veniva definito in passato “Psicopatia”.

Sebbene in termine Psicopatico sia molto inflazionato – al punto di diventare un’offesa comune – esso nasconde a mio avviso un particolare interessante, che merita di essere preso in considerazione: se andiamo all’etimologia della parola greca, possiamo comprendere come il termine letteralmente significhi “sofferenza dell’anima”.

Particolare necessario, imprescindibile, da associare assolutamente al secondo termine, che invece indica una profonda incapacità di relazione con gli altri e con la società in genere.

Come sottolineano Lingiardi e Mc Williams, infatti, non tutti gli psicopatici sono antisociali, anzi molto spesso sono persone che hanno uno pseudo adattamento che gli permette non solo di avere ad esempio una vita lavorativa gratificante, ma anche di ricevere apprezzamento e approvazione per i risultati ottenuti da parte degli altri.

Questo perché, a differenza dello stereotipo che vorrebbe lo Psicopatico come un individuo al di fuori di ogni controllo, violento e predatore di uomini ad ogni occasione possibile, esso si caratterizza piuttosto come un individuo manipolatorio, quasi passivo, ma carismatico e molto attento alle emozioni altrui.

Sebbene questa pseudo empatia possa renderli superficialmente gradevoli, la totale mancanza di interesse che questi soggetti provano per gli altri, a meno che non utili ai loro scopi, unita alla completa assenza di rimorso per il male causato, li rende individui difficili con cui avere a che fare, se non apertamente pericolosi, laddove sentano che il loro controllo onnipotente sia messo in discussione.

Va da sé che il tema principale è la rabbia e l’invidia, per il potere altrui e per la percezione di essere sempre a rischio manipolazione, credenza patogena verosimilmente sviluppatasi a seguito di gravissimi traumi dell’attaccamento. Ed è qui quindi che il torturato, per dirla con Jung, diventa torturatore.

La manipolazione e la volontà di potenza servono a reagire a quello che Adler definiva “senso di inferiorità”, ovvero una profonda condizione di vulnerabilità nella quale questi individui politraumatizzati sentono di essere e dalla quale cercano in tutti i modi di riscattarsi, anche con la prevaricazione e l’aggiramento delle leggi, se non con l’aperta sfida di queste ultime.

Comprendere il vissuto esistenziale di queste persone significa evitare anche una sorta di “caccia alle streghe” del XXI secolo, che troppo tristemente vedo proliferare in rete e in alcuni commenti ai fatti di cronaca, dove in uno scenario quasi fiabesco il “lupo cattivo” viene perseguitato con forconi e fiaccole come se fosse la quintessenza del male. Purtroppo, nel pogrom che ne risulta, vengono gettati nel calderone anche altre configurazioni di personalità, sotto la generica definizione di Narcisisti, i quali spesso sono individui molto diversi dal tipo qui descritto, e in ogni caso sofferenti.

Ciò non vuole naturalmente avallare i comportamenti manipolatori e aggressivi di alcuni soggetti, ma piuttosto spingere a una riflessione più esistenziale e meno forcaiola, che spinga all’adoperarsi per aiutare questi individui piuttosto che esporli alla gogna, aumentando paradossalmente il loro sentirsi braccati e quindi il dover reagire in modo aggressivo.

Guggenbuhl Craig, analista junghiano vicino a Hillman, nel descrivere la condizione di questi soggetti affermava che essi hanno dei “deserti nell’anima”. Metafora azzeccatissima, che descrive a mio avviso in modo perfetto la sterilità e la mancanza di generatività di alcune aree della psiche antisociale. Egli afferma che la Psicopatia è in definitiva una patologia dell’Eros, laddove questa spinta vitale che Freud definitiva come una delle due componenti fondamentali dell’animo umano – assieme a Thanatos – viene totalmente a mancare, esitando in una profonda incapacità di amare che queste persone hanno, e che compensano con una vera e propria finzione.

Lo Psicopatico manca di morale, ovvero di quella capacità collettiva di elaborare dei parametri comportamentali che garantiscono la convivenza armoniosa tra gli individui: esempi classici sono il tabù dell’incesto, il divieto di adoperare violenza sugli altri, e così via.

Lo Psicopatico sembra difettare nella comprensione dell’importanza della morale, ma sebbene sia in grado di adattarvisi per non incorrere in problemi egli non può comprenderla intimamente, proprio a causa di quella carenza di Eros citata sopra. Questo rende un paziente del genere incapace di qualsiasi sviluppo psichico, di una vera trasformazione o comprensione, se non uno pseudo adattamento protettivo. Laddove non c’è Eros, nulla si genera, come nel deserto.

Secondo Guggenbuhl Craig le persone con queste caratteristiche sono profondamente infelici: una infelicità e un aspetto depressivo a cui egli attribuisce tratti deliranti – tutti sono contro di lui e persino il mondo cospira contro il loro piacere e la loro tranquillità – e in definitiva questo porta a un isolamento sociale che causa una vera e propria disperazione, dalla quale essi si difendono con la rabbia e con l’assenza di senso di colpa, emozione che nel suo aspetto equilibrato ci spinge a riparare al dolore che abbiamo consapevolmente o meno causato all’altro.

Se vediamo quindi il quadro nel suo insieme, quello che ne risulta è uno scenario molto differente dal classico psicopatico dei film o delle esasperate rappresentazioni sui social: ciò che ne emerge è una figura altamente vulnerabile e triste, talmente ferita nel profondo da non aver più contatto con l’Eros, che reagisce a ciò identificando gli altri come persecutori e quindi giocando d’anticipo, manipolando e usando chiunque e qualsiasi cosa, pur di uscire da quella condizione di inferiorità in cui sente di essere.

Nel farlo, si comporta come il legato pontificio Arnaud Amary che, incaricato di reprimere l’eresia catara da Innocenzo III, dopo aver conquistato un villaggio dove Cattolici e Catari vivevano insieme in armonia, di fronte alle domande dei suoi soldati su come distinguere gli uni dagli altri, si dice abbia affermato: “Uccideteli tutti: Dio riconoscerà i suoi”.


Leggenda nera, molto probabilmente, più che fatto storico, ma che qui ci serve per illustrare come lo Psicopatico per perseguire i suoi obiettivi (a volte per mero calcolo in accordo con la morale, di cui il soggetto si fa superficialmente paladino!) sia disposto a sacrificare chiunque pur di raggiungere lo scopo, in cerca di quell’Eros che mai troverà.

Come aiutarli? I recenti fatti di cronaca e non dimostrano che la singola persona, sia esso un familiare, un amico, o anche uno psichiatra o un terapeuta, possono far poco.

Considerati come deboli a causa della loro gentilezza, essi saranno spesso e volentieri bersaglio di attacchi e svalutazioni, e in alcuni casi di aggressioni fisiche in caso vengano percepiti come un ostacolo al raggiungimento dei loro obiettivi.

Emerge quindi qui l’assoluta importanza della rete, del gruppo, della multidisciplinarità, di interventi complessi che vanno dalla terapia alla psicoeducazione, alla psicofarmacologia e all’inserimento nel sociale.

Forse, sempre citando Guggembuhl Craig, accettando la mancanza di sviluppo interiore di questi individui paradossalmente li si può aiutare a trovare nel qui e ora situazioni dove possano provare meno angoscia e minori sentimenti di inferiorità possibili, al fine di limitare innanzitutto i danni, per poi sperare in quell’insight derivante dal Sé, la parte più profonda e autentica in ognuno di noi, che li illumini su quanta sofferenza hanno causato a loro stessi e agli altri.

Note Bibliografiche
1

Adler, Alfred La psicologia individuale / Roma : Newton Compton, 1995.

2

Freud, Sigmund Al di la del principio di piacere : ed. orig.1920 /Torino : Bollati Boringhieri, 2003.

3

Guggenbühl-Craig, Adolf Deserti dell’anima: riflessioni sull’eros e sulla psicopatia / prefazione e cura di Marta Tibaldi Bergamo : Moretti & Vitali, 2001.

4

Manuale diagnostico psicodinamico : PDM-2 / a cura di Vittorio Lingiardi, Nancy McWilliams Milano : Raffaello Cortina, 2020.

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