La riforma (l.81/2014) che ha chiuso gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG) ha previsto un sistema di intervento terapeutico alternativo alla vecchia istituzionalizzazione per i cosiddetti “folli rei” (le persone prosciolte per infermità o seminfermità mentale), allineandosi al modello di salute mentale di comunità. A distanza di molti anni dalla eliminazione degli OPG, c’è da chiedersi se la ratio di quella riforma sia davvero acquisita o se la cultura manicomiale ancora proietti la sua ombra. Guardando a come si è sviluppato il dibattito intorno alle Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza-REMS e alle indicazioni della recente sentenza della Corte Costituzionale (n.22/2022), il bilancio è inquietante.
In primo luogo, si discute come se la riforma consistesse nella sostituzione dell’OPG con le REMS, ignorando che invece la legge disegna “un insieme di interventi che sono organizzati secondo principi di appropriatezza, efficacia, efficienza, intensità di cura sanitaria e sociale e basati sul consenso, la partecipazione e il protagonismo della persona coinvolgendo la sua famiglia e il contesto1. In questa luce, la opzione detentiva in REMS non può che rappresentare la extrema ratio, mentre hanno assoluta priorità gli interventi erogati nel contesto della comunità territoriale. Anche le stesse REMS, nonostante siano destinate ad accogliere persone in misura di sicurezza in quanto giudicate “socialmente pericolose”, assumono una valenza nettamente terapeutica. Dunque, non solo le REMS non sostituiscono l’OPG, ma nel nuovo sistema di presa in carico rivestono una posizione “residuale”. Tale residualità è cruciale, proprio perché le misure di sicurezza rimandano alla visione della persona con sofferenza psichica come “pericolosa a sé e agli altri”: in altre parole, rimandano al paradigma manicomiale, che è stato abbandonato prima con la legge 180 e poi con la chiusura dell’OPG.
Dunque, la effettiva residualità delle REMS è prova che non solo le mura dell’OPG, ma anche la cultura manicomiale sono ormai, definitivamente o quasi, alle spalle.
Invece, le resistenze a lasciarsi definitivamente alle spalle il vecchio modello si palesano nella tematizzazione stessa del dibattito intorno all’applicazione della riforma. Non si discute, come si dovrebbe, sulla funzionalità del nuovo, complesso sistema di presa in carico dei folli rei nel rispetto della sua vocazione territoriale: bensì sull’anello in teoria eccezionale del sistema, le REMS e sulle “liste di attesa” per accedervi, prese a dimostrazione della “insufficienza” dei posti per le persone colpite da misure di sicurezza detentive. In altre parole, invece di discutere sul significato della sopravvivenza delle misure di sicurezza detentive fondate su ad un concetto di “pericolosità” della malattia mentale che non ha più alcun sostegno scientifico, questa riflessione è messa da parte, per invocare al contrario una maggiore efficienza, anzi un potenziamento, del sistema giudiziario delle misure di sicurezza.
Quanto alla Corte Costituzionale, chiamata appunto a pronunciarsi sul regime delle REMS, se da un lato difende il nuovo sistema “che costituisce il risultato di un faticoso ma ineludibile processo di superamento dei vecchi OPG” (Sentenza 22/2022, 6), dall’altro sottolinea che l’assegnazione a una REMS, in quanto misura limitativa della libertà personale, è distinta da ogni “ordinario trattamento sanitario della salute mentale”. Per la Corte, la condizione di mancanza di libertà personale si riverbera sulla terapia in REMS, conferendole un carattere coattivo. Per sostenere che la assegnazione in REMS comporta la perdita della libertà, la Corte cita sia il fatto “che al soggetto può essere legittimamente impedito di allontanarsi” dalla struttura, sia il fatto che “possono essere praticati al paziente trattamenti sanitari coattivi, ossia attuabili nonostante l’eventuale volontà contraria del paziente” (5.1).Inutile dire che questa visione fa vacillare il pilastro della riforma psichiatrica, di “normalizzazione” della malattia mentale. Come si concilia la cura coatta con i principi generali dell’etica medica? Specie avendo presente il principio che storicamente è stato ignorato nel campo della malattia mentale: l’autonomia del paziente. Ovviamente, il rispetto dell’autonomia del paziente quale ordinaria regola nella cura è possibile solo avendo reciso il legame fra malattia mentale e pericolosità alla base della commistione/coincidenza di cura e custodia. Il vero problema è dunque il contrasto fra i principi ispiratori della moderna cura -che dovrebbero valere anche nel campo della salute mentale- e la logica della misura di sicurezza psichiatrica, che inesorabilmente ci riporta indietro, alla pratica e alla cultura manicomiale: dove la cura coincide con la privazione della libertà, attraverso interventi coattivamente imposti.
In conclusione. Sembra che le contraddizioni fra il nuovo sistema di presa in carico dei “folli rei” e il vecchio “binario speciale di giustizia” fondato sulla non imputabilità “per incapacità di intendere e volere” non siano più sostenibili. Torniamo allora al dibattito che ha portato alla riforma che ha chiuso l’OPG. L’idea di modificare il codice Rocco nelle norme che prevedono la non imputabilità del “infermo di mente” era già stata avanzata nella commissione guidata dal senatore Marino: nel presentare le misure urgenti per la chiusura degli OPG, si auspicava che queste “debbano costituire solo il primo passo verso la successiva abolizione dell’istituto della non imputabilità” (Senato, Relazione sugli OPG, 2011). E’ questo il passo che oggi ci aspetta.
1 Questa definizione è presente nel documento che le istituzioni competenti, in primis i ministeri della salute e della giustizia, hanno inviato alla Corte Costituzionale nel 2021 (Corte Costituzionale-risposta ai quesiti, 2021, 6). La Corte Costituzionale è stata infatti chiamata al giudizio di legittimità costituzionale sulle REMS. Prima di emettere la sentenza, la Corte, con ordinanza n.131/2021, chiedeva alle autorità succitate spiegazioni in merito al funzionamento della riforma dopo l’abolizione degli OPG.
Per una più completa argomentazione, cfr. il saggio intitolato “Dopo la chiusura dell’OPG: i residui del modello manicomiale e la sopravvivenza del binario “speciale” di giustizia per i “follirei”, Pubblicato in Bio Law Journal-Rivista di Biodiritto, 4, 2022 DOI: https://doi.org/10.15168/2284-4503-20224