Vaso di Pandora

Hikikomori: da ritiro sociale a fenomeno psicopatologico

1.2.2  La scuola e il sistema educativo

Un altro aspetto rilevante da considerare nell’analisi del contesto che spinge all’auto-reclusione riguarda l’intensa competitività dell’ambiente scolastico e le dinamiche ad essa correlate, le forti pressioni da parte della famiglia e della società ad ottenere buoni risultati (Parry, 2004; Kaneko, 2006; Jones, 2006).

Le aspettative che la famiglia ripone sui figli e sulla loro carriera scolastica sono molto alte, da questa infatti dipende la possibilità di ottenere opportunità lavorative importanti. In Giappone, rispetto ad altri paesi, il passaggio dalla scuola ad un posto di lavoro soddisfacente è fortemente basato sulla meritocrazia. Il non rimanere indietro è una costante preoccupazione dei bambini fin da piccoli, alimentata dalle ansie genitoriali (Zielenziger, 2006). La famiglia, ed in particolare le madri, sono focalizzate su quello che appare il loro compito principale: far sì ce il proprio figlio realizzi un’eccellente carriera scolastica che gli permetta di ottenere uno status professionale e sociale9 Zielenziger, (2006).

elevato, soddisfacendo così l’orgoglio genitoriale ( Hamada, 2004). Da ciò deriva una pressione psicologica che conduce in molti casi a dinamiche disfunzionali per lo sviluppo emotivo del bambino, con scarsa attenzione ai bisogni emotivi e alla comunicazione ed espressione di sé e dei propri desideri, ed un’eccessiva e ossessiva attenzione ai risultati ottenuti (Crystal, 1994).

Il presupposto per completare un curriculum scolastico con successo è correlato anche al precoce processo di socializzazione, che rappresenta un aspetto fondamentale del buon inserimento del bambino a scuola, ed è responsabilità della madre, che è incoraggiata ad avere un atteggiamento indulgente rispetto ai bisogni del proprio figlio, far sì che tutto ciò si realizzi (Crystal, 1994). Robertson (citato in Carbone, 2008) antropologo culturale del Tokyo Jogakkan College, autore di uno   studio  sulla  costruzione  della  virilità  del  maschio  adulto  giapponese,  punta  il  dito sull’atteggiamento malato che la società ha verso il successo. I ragazzi iniziano a sentire una pressione fortissima alla realizzazione fin dalle medie, quando ancora non sanno chi sono e cosa desiderano. L’usanza di scegliere fin da piccoli un percorso determinato, l’università d’élite e l’azienda prestigiosa in cui entrare, crea nei genitori un’aspettativa imponente, che viene riversata sui figli (Carbone, 2008). Hikikomori è una forma di resistenza a questa pressione. Inoltre il fatto che  già  i  risultati conseguiti nei  primi anni  di  scuola siano determinanti per  accedere ad  un università di serie A, alimenta nei giovani un’angoscia ed uno stress insopportabili, che possono creare veri e propri crolli psicologici e disordini psico-affettivi (Krysinska, 2002).

Data l’enfasi attribuita in Giappone alla realizzazione e al successo scolastico da parte di genitori e insegnanti,  coloro  che  falliscono  possono  provare  una  tale  vergogna  da  non  riuscire  più  a comunicare e a relazionarsi con i propri pari, a causa del profondo senso di inadeguatezza, compiendo così un primo passo verso il ritiro sociale.

Saito Tamaki (1998) considera hikikomori come espressione di un disagio sia familiare che sociale, dovuto in parte alla pressione sui figli, in particolare i figli maggiori maschi, ad eccellere accademicamente e nel mondo lavorativo.

I ragazzi hikikomori spesso parlano dei loro ricordi di anni di lezioni in cui dovevano imparare meccanicamente a memoria una gran quantità di nozioni, seguite da pomeriggi e sere di intense e affollate lezioni per prepararsi agli esami di accesso per le scuole superiori o per  l’Università (Cardoso, 2005).

L’identità scolastica in  Giappone è  fondamentale, sia  in  termini  di  accettazione da  parte  dei compagni, sia di avanzamento sociale, e coloro che escono da tale sistema o non riescono a farne parte non hanno più nessun ruolo nella società e dunque nessun luogo dove vivere (Crystal, 1994). Oggi, essendosi abbassato il tasso di natalità, i genitori hanno cominciato a riporre tutte le speranze sull’unico figlio maschio, per le madri, inoltre, l’educazione del figlio e il perseguimento della sua realizzazione, rappresentano il principale compito a cui sono state delegate dal marito e dalla società (Hamada, 2004). L’alto valore attribuito alla realizzazione degli obiettivi scolastici porta molti genitori giapponesi, specialmente le madri, ad attivarsi per accrescere le opportunità del figlio di intraprendere un percorso accademico eccellente. Quando il desiderio di un tale figlio-modello non si avvera, il senso di inadeguatezza e di fallimento si manifesta in modalità talora distruttive di resistere alla pressione dei genitori. Se il figlio non segue il sentiero predeterminato che lo conduce da un Università prestigiosa ad un lavoro in una importante azienda, molti genitori, e per estensione i  loro  figli,  vivono questo insuccesso come  un  enorme fallimento (Zielenziger, 2006).  Come sostiene Mariko Fujiwara,, direttore del centro di ricerca al “ Hakuhodo Institute of Life and Living”  a  Tokyo,  “dopo  la  Seconda  Guerra  Mondiale  i  giapponesi  conoscevano  solo  una determinata tipologia di lavoratore dipendente futuro, ed ora mancano di immaginazione e creatività per pensare al mondo in modo nuovo” (Zielenziger, 2006).

L’adattamento ad un tale sistema scolastico risulta per i soggetti più fragili estremamente difficoltoso, la negazione del conflitto e il controllo emotivo che i giovani giapponesi sono stati educati a mettere in atto possono condurre ad un livello di stress che sfocia in fenomeni di drop-out e nel futoko, il rifiuto di andare a scuola (Crystal, 1994).

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