2.2. HIKIKOMORI E VIOLENZA
La condizione di sofferenza in cui versano gli hikikomori, causata dal desiderio di vivere una vita normale e dall’incapacità di farlo, spesso si esprime attraverso la rabbia e l’aggressione di coloro li circondano.
Diversi crimini compiuti da adolescenti negli ultimi anni hanno allarmato il paese; il primo segno che questa generazione era in crisi è arrivato qualche hanno fa quando un adolescente a Kobe ha decapitato un bambino di undici anni lasciando poi la testa fuori dal cancello della scuola. Il ragazzino autore del crimine è stato definito un otaku. Per diverse settimane il paese è rimasto sconvolto dall’efferatezza di questo crimine e se ne è domandato le ragioni nel tentativo di trovare una spiegazione a tanta violenza per mano di un ragazzino (Larimer, 2000; Lewis, 2004). La conclusione più rassicurante a cui il paese è giunto è stata quella di considerare un simile caso come anormale, evitando così di mettere in discussione la propria società e di prendere atto della crisi che colpiva la generazione più giovane. Un meccanismo comune è quello per cui si è portati a credere che simili episodi avvengano per mano di persone mentalmente disturbate di modo da porre una distanza che permette di non esserne coinvolti troppo da vicino. Per questo stesso motivo gli hikikomori e gli otaku, nonostante gli sporadici casi di violenza di cui alcuni di loro si sono macchiati, sono stati giudicati con facilità come violenti e malati. Gli episodi di violenza possono essere letti come dei tentativi di richiamare l’attenzione degli adulti e renderli consapevoli della loro sofferenza (Rees, 2002). I genitori focalizzati su sé stessi e sul sogno della classe media che ha contraddistinto il periodo della rinascita economica del Giappone, sono concentrati sul lavoro e non hanno il tempo né l’energia per accorgersi dei bisogni dei loro figli, ai quali sopperiscono comprando giocattoli e video game. Passano sempre meno tempo con i figli, rendendoli alienati, provocando in loro sentimenti di solitudine e conducendo alla fine molti di loro a manifestare forme di ribellione come hikikomori o a urlare il proprio disagio compiendo crimini violenti.
La preoccupazione verso i crimini compiuti da adolescenti è cresciuta in occasione di alcuni omicidi particolarmente violenti che si sono verificati agli inizi di questo decennio. Nel giugno del 2000 un diciassettenne che faceva parte della squadra di atletica della scuola ha aggredito i propri compagni di squadra colpendoli con una mazza da baseball, poi è corso a casa e ha ucciso la madre. Nel maggio dello stesso anno un ragazzino è entrato in una casa e ha ucciso con un coltello una donna, successivamente ha detto alla polizia di averlo fatto solamente perché voleva provare l’esperienza di uccidere qualcuno ( Larimer, 2000; Rees, 2002; Lewis, 2004).
La reazione del paese è stata quella di individuare la causa di tale violenza in un gruppo specifico di giovani: gli hikikomori. Altri due casi sensazionali hanno portato a far sì che l’attenzione si focalizzasse su di loro. Una diciannovenne è stata ritrovata in una casa di Nigata nella quale è stata rinchiusa per dieci anni, da quando a nove anni era stata rapita mentre tornava da scuola. L’uomo che l’ha segregata per tutti questi anni era un trentasettenne che si è ritirato dalla società da adolescente senza più uscire di casa se non raramente (Larimer, 2000). Nel maggio del 2000 un diciassettenne ha dirottato un pullman, obbligando il conducente ad una corsa di diciannove ore e uccidendo un passeggero lungo la strada (Larimer, 2000). Anche questo ragazzo è stato etichettato come hikikomori.
Ciò che caratterizza questi atti , inquietando l’opinione pubblica, e che li rende causa di un vero allarme sociale, è il fatto che non siano crimini di passione o di soldi, ma crimini di disperazione.
Il dott. Kudo nell’intervista riportata da Zielenziger (2006), che aiuta gli hikikomori da 27 anni, considera un errore uguagliare hikikomori al crimine giovanile e alla malattia mentale. “ Il vero hikikomori” sostiene Kudo “difficilmente si avventura fuori casa per commettere crimini”; inoltre Kudo insiste sull’importanza di non considerare gli hikikomori come pazienti con disturbi mentali ma come delle persone a cui sono mancate alcune normali esperienze umane che egli cerca di offrire loro come forma di riabilitazione (Zielnziger, 2006).
Sebbene hikikomori siano stati autori di alcuni crimini violenti, la loro sintomatologia si esprime maggiormente attraverso sintomi negativi, quali l’apatia e la mancanza di motivazione, che non in sintomi attivi che possano portare a esplosioni di violenza (Larimer, 2000).
In ogni caso è possibile rilevare come il malessere di questa generazione, dovuto in particolare in Giappone alla scarsa comunicazione affettiva con i propri genitori, ad una personalità infantile e dipendente causata dal rapporto simbiotico con le madri e dalla pressione causata dagli elevati standard richiesti dalla società, stia portando gli adolescenti a sperimentare stati di angoscia, depressione e comportamenti di ritiro.