Massimo Fagioli, psicanalista sui generis, non inseribile in alcuna corrente che non sia il “fagiolismo”, ma accostabile a quel filone della c.d. psicanalisi di sinistra che ha avuto esponenti importanti come Erich Fromm e Wilhelm Reich; anche se il percorso di quest’ultimo ha purtroppo avuto un approdo francamente psicopatologico.
Marxismo e psicanalisi, le due grandi esperienze (senza dimenticare la fenomenologia) che hanno modificato in profondità la nostra visione dell’uomo, si sono a lungo vicendevolmente annusate in un alternarsi di interesse e diffidenza. Da sempre a sinistra ci si è chiesto che farne della psicanalisi, col suo potenziale liberatorio e in qualche modo rivoluzionario ma anche con il suo inserimento ben radicato nel mondo borghese, espresso fra l’altro dall’elevato costo della terapia psicanalitica. Il regime bolscevico ai suoi inizi così pieni di fervore culturale ha cooptato la psicanalisi (già da prima ampiamente presente nel panorama psichiatrico e culturale russo), ritenendola atta a contribuire alla liberazione dell’uomo e alla costruzione dell’uomo nuovo. E’ quasi leggenda – benchè assolutamente reale – l’attivazione a Mosca di un innovativo asilo, dove l’approccio operativo all’infanzia seguiva linee psicanaliticamente orientate; vi collaborava fra gli altri Sabina Spielrein, allieva e amica di Jung. Con lo stalinismo tutto è cambiato nell’ambito di una ideologia rigidamente esclusiva e militarizzata, e la psicanalisi è stata sostanzialmente messa al bando.
Successivamente, si è arrivati al tornante dei decenni ’60 e ’70: il rapporto Kruscev e le repressioni in Ungheria e Cecoslovacchia hanno messo a nudo l’imperatore, e la sinistra, abbandonato il mito dell’URSS come culla dell’uomo nuovo, ha cercato strade diverse alla ricerca di una dimensione libertaria che non dimenticasse la lezione marxiana: con un pizzico di ingenuità, si è cercata una alternativa anche nel modello maoista. In questo cambiamento ha trovato nuovo spazio l’interesse per la psicanalisi; anche perché l’accusa rivoltale di elitarismo classista si spuntava di fronte alla realtà di una psicanalisi non circoscritta al rapporto duale ma estesa al lavoro nei gruppi e anche nelle istituzioni pubbliche e private.
In qualche misura, gli psicanalisti hanno risposto: molto caratterizzata ideologicamente in quegli anni l’esperienza di Enzo Morpurgo, che sul piano teorico si è unito al tentativo di coniugare l’ispirazione marxista con quella psicanalitica e quella fenomenologico – esistenziale; e su quello operativo, ha voluto inserire la terapia psichiatrica nell’impegno sociale: “Usare l‘infelicità per trasformare il mondo… Far scoppiare attraverso la prassi le contraddizioni della società”. Questo orientamento lo ha portato alla fondazione della associazione “psicoterapia critica” e alla attivazione di un servizio pubblico e gratuito di psicoterapia.
Chiaramente, anche Fagioli ha un preciso orientamento politico, definito fra l’altro dalla sua prolungata collaborazione alla rivista dal programmatico nome “Left”.
L’orientamento al sociale lo porta, nel ’75, a proporre una particolare prassi operativa: l’ “Analisi collettiva”, dove rimane la struttura fondamentale della seduta di psicoterapia: è previsto un setting pur se non garantito da controlli, regole, comandi, tanto che l’ingresso libero e gratuito comporta la formazione di gruppi particolarmente grandi, peraltro benvenuti; non diversamente che nell’analisi classica si esamina il transfert, si utilizza l’interpretazione soprattutto dei sogni; ma “l’individuo viene messo fra parentesi perché la ricerca è quella di trovare la realtà dell’essere umano che inizia a pensare e vivere, simultaneamente. E si scopre e si vede che la nascita è uguale per tutti.” Accento, dunque, più su ciò che ci accomuna che su ciò che ci individua.
Sorprendenti le ripetute virulente aggressioni a Freud, a volte ai limiti dell’offesa: è “stupidità freudiana il dire che il paziente trasferisce sull’analista le figure dei genitori”; e le sue idee, come del resto quelle di Jung, “non sono la scoperta di nessuna realtà non percepibile, ma ideologia precostituita”: “se lo si legge con attenzione ci si rende conto delle assurdità, delle stupidaggini, della assoluta ignoranza che c’è”. Non colpisce la lesa maestà, ma il totale disconoscimento ( forse solo provocatorio) del debito del proprio pensiero e prassi a quelli freudiani.
Del resto, Fagioli mette in guardia non soltanto da pensatori come Binswanger o Heidegger, del quale ricorda non senza ragione la sospetta vicinanza al nazismo; ma anche da autori progressisti come Foucault, Sartre, lo stesso Basaglia. Vi è in ciò un sospetto di grandiosità in persona che pare proporsi non solo come proponente di una prassi di cura e di un pensiero teorico che la sottende; ma quasi come portatore di una nuova antropologia se non di una visione del mondo, espressa anche nei suoi interessi di architetto, sceneggiatore, critico, musicologo…
Quanto meno, è ciò che appare dalle esaltazioni dei suoi allievi e seguaci: “propone alla sinistra la sua stella polare splendente e chiara: l’dea di uguaglianza come fatto naturale che contraddistingue tutti gli esseri umani indipendentemente dal colore della pelle e dalle distinzioni di sesso”. Non pare, e non pareva negli anni ’70, una novità così sconvolgente, anche se c’è sempre bisogno di ribadirla. E poi: “nessuno aveva finora pensato, come ha fatto Fagioli, a un’origine naturale, non culturale, dell’uguaglianza fra gli esseri umani”; “la scoperta investe, evidentemente, in primo luogo la psichiatria, ma a ben vedere sovverte anche le basi teoriche e metodologiche delle scienze sociali e si costituisce come insostituibile premessa di ogni tentativo di costituire una teoria e una pratica politica”. E ancora: “Ha rimesso in piedi una generazione smarrita”. Miriamo alto! Anche un pensatore come Marramao fra tante argomentazioni condivisibili inserisce l’attribuzione a Fagioli nientemeno che la scoperta che il pensiero emerge dalla realtà biologica.
Deve essere stato comunque pensatore brillante e personalità affascinante, capace di destare l’interesse di tante personalità del mondo dell’arte e della cultura, e il rimpianto dei suoi allievi e seguaci che come abbiamo visto lo ricordano con immutato entusiasmo. Dispiace non avere avuto l’occasione di conoscerlo.