Vaso di Pandora

Della guerra

“C’è un modo per liberare gli uomini dalla fatalità della guerra?”. Così scriveva nel 1932 un preoccupato Albert Einstein a Sigmund Freud, il padre fondatore della psicoanalisi. Il mondo portava ancora le ferite della Grande Guerra, e già le inquietanti notizie provenienti dalla Germania e dal suo minaccioso leader facevano presagire che un’altra simile tragedia fosse alle porte.

Naturalmente, Sigmund Freud dovette ammettere l’impossibilità di rispondere a una tale domanda: un compito così arduo, persino per la sua promettente creatura, non poteva essere risolto in qualche riga o con una riflessione teorica, tuttavia egli non mancò di fornire un tentativo di lettura che tentasse di spiegare cosa accade nei recessi più bui dell’animo umano.

Esistono infatti due forze dentro ogni uomo, due antagonisti che si combattono ogni giorno per il possesso della nostra anima, ma che sono entrambi parte indissolubile del nostro essere Umani. Sigmund Freud li definì, in omaggio al suo amore per la cultura classica, Eros e Thanatos.

Eros, portatore di vita e fautore di tutto ciò che vi è di bello e piacevole, è quella spinta generativa ed erotica che è indissolubilmente legata alla generazione della vita e all’aggregazione sociale, la quale si basa su quell’energia sessuale: chiamata Libido, per Freud è alla base del desiderio umano in tutte le sue forme. Tuttavia, di fronte a domande come quella che poneva il più grande fisico del ventesimo secolo, non era possibile rispondere se non includendo un altro principio tanto paradossale quanto indispensabile a rendere ragione della complessità della psiche, ovvero Thanatos, la Pulsione di Morte, il principio che tende all’inorganico, alla distruzione, alla stasi.

Troppi comportamenti e accadimenti psichici non potevano essere spiegati semplicemente ricorrendo al Principio di Piacere: Ossessioni, Depressione, Violenza, Razzismo, Masochismo, Odio e tanto altro contenevano nelle loro manifestazioni e nei loro effetti una forza francamente dirompente che non poteva essere in alcun modo ricondotta a una ricerca di aspetti vitali o generativi.

La struttura della società, dice Freud, serve proprio a moderare l’influsso di queste due forze. Eros e Thanatos, infatti, se lasciate libere, distruggerebbero la complessa struttura sociale che l’uomo ha creato, e quindi il nostro Io, unica parte cosciente della nostra psiche ed arbitro di tutte le contese tra queste due potenti forze, ha creato un sistema collettivo di regole, che noi chiamiamo Società, per poter coesistere pacificamente, procurarci il necessario per sopravvivere e riprodurci e infine proteggerci dai pericoli. Ecco il perché delle leggi e delle convenzioni sociali: barattare un po’ di Eros e limitare l’influsso di Thanatos fanno guadagnare all’essere umano la sicurezza di cui ha bisogno per una vita tutto sommato serena. Ma cosa succede quando questo ingranaggio si inceppa? Gli episodi di cronaca nera o le tristi notizie riguardanti i conflitti armati (quello in Ucraina ne è l’ultima, tremenda versione) ci ricordano sempre che Thanatos è lì, indissolubile parte della nostra stessa Umanità. James Hillman, l’allievo “eretico” di Jung, originale pensatore e celebre psicoterapeuta, affermava paradossalmente che la guerra è tanto inumana quanto sublime. Affermazione forte, quasi offensiva rispetto alla tragedia che ogni giorno vediamo attraverso i giornali e i notiziari televisivi. Come possiamo definire sublime l’ennesima fossa comune piena di cadaveri di civili, le bombe che sventrano gli asili o i feroci combattimenti in cui una intera generazione di ragazzi e ragazze sta perdendo la vita? Attenzione però: le parole sono importanti, e bisogna comprenderne bene il significato. Sublime deriva dal latino “sub limen”, ovvero sotto soglia, e quindi indica un sentimento radicato nel profondo, nei più oscuri recessi dell’animo umano. Non a caso nel Romanticismo il Sublime era associato all’orrore, al terrore, e direi che questa sembra l’emozione più appropriata di fronte alla spaventosa maestosità della guerra, trionfo della Pulsione di Morte.

 La guerra, afferma Hillman, è inumana non perché non faccia parte del modo di fare dell’Uomo (secoli e secoli di conflitti armati purtroppo dicono il contrario) ma perché essa proviene direttamente dagli dei, che nella lettura junghiana sono l’impersonificazione simbolica delle forze che si agitano nell’Inconscio. Al di fuori del dominio della ragione, Ares, dio della guerra, possiede le anime dei suoi prescelti e li spinge alla lotta e alla follia. Ma se i Miti sono il racconto simbolico delle umane vicende e dei moti universali dell’animo, allora non possiamo non sottolineare che il dio della Guerra è il marito di Afrodite, la dea dell’Amore e della Bellezza. Ed ecco di nuovo Eros e Thanatos, l’Arte della Guerra e la Ferocia bestiale del conflitto, indissolubilmente legati da un abbraccio che per gli uomini è istintuale e spirituale allo stesso tempo.

Dobbiamo allora arrenderci alla nostra natura e alle inevitabili conseguenze dei nostri istinti e delle nostre pulsioni? No, affatto. Sigmund Freud ribadiva con forza l’idea che dove ci fosse l’Inconscio dovesse subentrare l’Io, ovvero che la consapevolezza e la conoscenza dovessero guadagnare terreno a discapito delle pulsioni, al fine di ridurre proprio quella sofferenza risultante dalla lotta tra le potenti forze che albergano nel nostro Inconscio. Idea utopistica, figlia di un’epoca intrisa di Positivismo che proprio le due guerre mondiali hanno contribuito a demolire, e che oggi può far sorridere, ma che proprio per la speranza che vi è insita credo valga la pena non abbandonare. Se non è possibile, come ormai è chiaro da molto, sostituire completamente la nostra parte inconscia con un pensiero lucido e razionale, si può però sperare in un dialogo fecondo tra le nostre parti: dopotutto, Ares e Afrodite possono anche dialogare tra di loro e moderare i reciproci eccessi, senza per forza rapire gli esseri umani e contaminarli con la loro follia estatica. Più che il pacifismo, secondo Hillman, può la cultura e la conoscenza, e non posso essere più d’accordo: la speranza è che proprio la scoperta dell’unicità di ogni essere umani – cosa per la quale la psicoanalisi si batte da sempre – possa farci comprendere quanto valore ha la vita stessa e quanto vale la pena preservarla al di là di ogni ragionevole dubbio. Parole utopistiche anche queste? Probabilmente, ma come dice anche Carl Gustav Jung: “Il cambiamento collettivo deve necessariamente partire dall’individuo”.

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Commenti su "Della guerra"

  1. Buona sera, mi piacerebbe consigliare un romanzo di Gabriele Romagnoli, Sogno bianco, dove la guerra, quella vera, dei soldati del 1917, e quella interiore, di fronte alla quale diventiamo tutti soldati, si intrecciano all’amore, al progresso, alla vita che comunque va avanti.
    Spettatore, non imparziale e nemmeno fuori dai giochi di questo divenire sempre nuovo eppure sempre simile a sé stesso, (vedi le tre incarnazioni del protagonista A. D.), è il ghiacciaio M
    A mio giudizio, romanzo molto bello e suggestivo
    Simona

    Rispondi
  2. Gunther Anders, un heideggeriano atipico, ci offre una riflessione su temi purtroppo d’attualità. Analizza la spirale della violenza anche omicida che si autoperpetua, le aporie del pacifismo. E’ difficile (impossibile?) contrastare azioni violente senza ricorrere alla violenza. Che fare? L’umanità ha tentato una soluzione inventando lo Stato e le sue strutture repressive, che canalizzano la violenza entro quegli argini che sono le norme prescrittive e limitative, i codici. Ma il problema, certo non eliminato ma in qualche modo arginato nei rapporti fra individui, si ripropone su scala gigantesca nei rapporti interstatali: i tentativi di costituire una istanza superiore e universale – l’ONU – mostrano ogni giorno i propri limiti.
    Anders nel testo “Tecnica e violenza” salda questo problema con l’altro, estremamente attuale: il proliferare di strumenti di distruzione pressochè onnipotenti, incarnazione della pulsione di morte e a loro volta indistruttibili: anche se gli arsenali nucleari venissero distrutti, rimarrebbe la capacità tecnica di ricostruirli.
    Ma, paradossalmente, proprio ciò diviene un qualche argine: la prospettiva dell’Armageddon, del Gotterdammerung della mitologia germanica costringe ogni belligerante a porsi un limite.
    Non sono certo temi nuovi: tanti anni fa Karl Jaspers scriveva “La bomba atomica e il destino dell’uomo”. Ma oggi siamo costretti a ripensarli.

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