Vaso di Pandora

DEFCON 3 ovvero quando il pericolo è sempre in agguato

La scala DEFCON è una modalità utilizzata dalle forze armate americane per valutare il loro grado di prontezza nel reagire a un’eventuale minaccia internazionale. Al massimo livello, ovvero DEFCON 5, vi è uno stato di routine quotidiana, senza alcun allarme, mentre all’estremo opposto, ovvero DEFCON 1 — fortunatamente mai raggiunto nella storia — si ha uno stato di guerra aperta, con le forze armate pronte alla massima mobilitazione e al lancio dei missili nucleari. All’interno di questa scala esistono valori intermedi che indicano una condizione non di guerra, ma di allerta. Il livello DEFCON 3, ad esempio, indica una prontezza al combattimento che può essere facilmente raggiunta nell’arco di mezz’ora, in vista di una minaccia percepita come concreta, anche se non ancora verificatasi, oppure in caso di attacchi terroristici come quelli dell’11 Settembre.

Psicologia e scala DEFCON

Cosa c’entra questo con la psicologia? Credo che ognuno di noi abbia nella propria psiche una “scala di allarme” molto simile a quella citata nell’esempio, in modo da essere pronti a reagire alle innumerevoli minacce che possono turbare la serenità della nostra vita quotidiana. Va da sé che la scala di per sé è solo uno strumento, e funziona soltanto se chi la usa ha una accurata percezione di ciò che sta accadendo in quel momento. Di fronte a un pericolo tangibile e immediato, è assolutamente normale passare a uno stato di allerta: un odore di bruciato in casa o la brusca frenata della macchina davanti a noi giustificano assolutamente uno stato di preoccupazione repentino, poiché esso permette l’attivazione di tutte le nostre risorse neurofisiologiche che ci permettono di avere attenzione, riflessi e forza sufficienti a neutralizzare la minaccia. 

Nella pratica clinica invece, se dovessimo trasportare il concetto in senso metaforico, osservo spesso moltissime persone essere a DEFCON 3 anche in assenza di un conflitto palese. I disturbi d’ansia e le ossessioni tentano infatti di tenere a bada un supposto pericolo, anche in assenza di una reale minaccia nel qui e ora: l’attivazione corporea e l’aspetto comportamentale connesso sono tuttavia propri di una minaccia incombente, per la quale l’organismo deve essere pronto a difendersi in ogni momento.

Il concetto di vulnerabilità

Alla base di tutto questo processo vi è una credenza erronea fondata sul concetto di vulnerabilità: ci si percepisce tendenzialmente come non in grado di gestire eventuali pericoli o di sopportare il dolore, e si creano quindi internamente delle convinzioni che ci portano sempre a valutare come più probabile lo scenario peggiore. Se, per esempio, stiamo per prendere un aereo, lo scenario più probabile è che arriveremo a destinazione dopo qualche ora, magari soltanto un po’ stanchi. Ma se internamente siamo a DEFCON 3, saremo estremamente concentrati su ogni minima vibrazione o variazione di altitudine, perché non le interpreteremo come banali fenomeni atmosferici o manovre di routine da parte dei piloti, ma come tempeste improvvise ad alta quota o manovre d’emergenza per scongiurare un incidente.

Va da sé che tutto questo produce una sensazione anche corporea che, nel suo estremo, può condurci a sperimentare un vero e proprio attacco di panico, ovvero una paura profondissima con angoscia di morte e importanti sintomi psicosomatici dovuti non a una patologia organica, ma all’ipereccitazione che segue un fortissimo stato di stress emotivo.

DEFCON 3 è simbolo di incertezza

Da un punto di vista psicologico, DEFCON 3 è il simbolo dell’intolleranza all’incertezza e all’idea che non possiamo controllare tutto: una condizione esistenziale impossibile da evitare, ma che ci terrorizza se ci sentiamo fragili. 

Naturalmente, questi sono processi che possono avvenire, a volte, in tutti noi. La discriminante che li rende una condizione di sofferenza è la costanza con cui questo diventa un modo per leggere la realtà: esperienze infantili di attaccamento non sicuro, traumi importanti (soprattutto nella prima infanzia), oppure eventi di vita recenti che hanno messo a dura prova la nostra forza dell’Io, possono essere alla base di una percezione di pericolo imminente non giustificata dalla situazione che si sta vivendo. Il faticoso lavoro che dobbiamo fare è quello di accettare che talvolta il non sapere qualcosa non implichi necessariamente che questa sarà negativa. Cosa non facile, certo, ma imprescindibile per una migliore gestione delle emozioni.

La psicoterapia psicodinamica

La psicoterapia psicodinamica aiuta a dare un senso alla paura che l’individuo sta vivendo, collegandola non soltanto a ciò che nella quotidianità ha scatenato il disagio, ma anche a tutto ciò che abbiamo interiorizzato fin da quando siamo venuti al mondo: su noi stessi, sugli altri e sulle relazioni. In questo modo si costruisce un filo tra presente e passato che ci aiuta a comprendere le ragioni del nostro comportamento e a capire perché un adulto può, oggi, tranquillamente difendersi dall’incertezza — e, soprattutto, può proteggere quel bambino interiore che continua ad avere paura per ciò che ha vissuto.

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Commenti su "DEFCON 3 ovvero quando il pericolo è sempre in agguato"

  1. Giustamente Giuseppe Caserta ci ricorda che il non poter controllare tutto è condizione esistenziale impossibile da evitare. Mi torna in mente come avesse affrontato il tema Soren Kierkekaard, collocando l’esistenza umana nella categoria del “possibile”, aperta a eventi positivi ma anche negativi: l’angoscia è dunque per lui costitutiva del nostro essere. Partendo da questa condizione, ha ravvisato la sola efficace soluzione nell’adesione a una fede religiosa.
    Possiamo certo collocare questa posizione nell’ambito di una sua sofferenza personale, a livello subclinico o clinico; ma tuttavia essa non è rimasta senza eco. E’ stata ripresa, fra gli altri, da Heidegger, che lo ha collegato all’angoscia di morte, all “essere per la morte”; e al destino, a qualcosa cioè che per definizione sfugge al nostro controllo.
    Il tema dell’angoscia è, lo sappiamo, centrale nella riflessione di Freud, ovviamente orientata a un approccio psicologico – clinico che tuttavia negli esiti non contrasta con quello dei filosofi. L’uomo , alla nascita e nei tempi successivi, si trova a passare da una condizione prenatale che è regno dell’indistinto a un regno dell’alternativa, dell’incertezza, del rischio, dell’angoscia,
    L’angoscia è infatti il prezzo di questa rinuncia, “prezzo eccessivo e antieconomico nel nevrotico, giusto prezzo per chi accetta di vivere e di operare”

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