Negli ultimi anni, la figura dell’infermiere ha conosciuto una trasformazione profonda, non più limitata alla mera assistenza tecnica ma orientata verso una dimensione più relazionale, umana, psicologica. In questo contesto si inserisce il counseling infermieristico, un approccio che integra la cura del corpo con quella della mente, potenziando la comunicazione tra professionista e paziente. Ma di cosa si tratta esattamente? E come funziona questo strumento che si sta rivelando sempre più centrale nei percorsi di cura?
Un ponte tra cura e relazione
Il counseling infermieristico può essere definito come un processo relazionale e comunicativo che l’infermiere attiva con il paziente (o con i familiari) con l’obiettivo di sostenerlo nei momenti di crisi, sofferenza o disorientamento legati alla malattia. A differenza della psicoterapia o di un intervento medico, il counseling non punta a una diagnosi clinica, ma mira a offrire uno spazio di ascolto, comprensione e orientamento.
In altre parole, l’infermiere si trasforma in un facilitatore del processo decisionale del paziente, aiutandolo a gestire meglio le proprie emozioni, paure, dubbi e fragilità. La relazione, in questo senso, diventa un elemento terapeutico.
Le radici psicologiche del counseling infermieristico
A influenzare lo sviluppo di questo approccio sono le teorie della comunicazione empatica, in particolare quelle di Carl Rogers, che ha posto l’ascolto attivo, la congruenza e l’accettazione incondizionata al centro della relazione d’aiuto. Il paziente, infatti, non è un corpo da “aggiustare” ma una persona intera, che nella malattia porta con sé vissuti, storia, simboli.
L’infermiere counselor, formato adeguatamente, può cogliere queste dimensioni più profonde, aiutando il paziente a integrare ciò che gli sta accadendo, promuovendo consapevolezza e maggiore autonomia emotiva. Ciò non implica che l’infermiere diventi uno psicoterapeuta, ma che sviluppi competenze relazionali avanzate per migliorare la qualità dell’assistenza.
Quando e a chi si rivolge
Il counseling infermieristico può essere particolarmente utile in una varietà di situazioni cliniche ed emotive:
- Quando il paziente riceve una diagnosi difficile da accettare (es. malattie oncologiche, croniche, neurodegenerative);
- Nella gestione di trattamenti invasivi o lunghi percorsi terapeutici (es. chemioterapia, dialisi, riabilitazione);
- In presenza di ansia, paura del dolore o della morte;
- Nei contesti di fine vita, dove è fondamentale offrire un supporto emotivo anche ai familiari.
Si rivolge a pazienti di ogni età, ma anche a caregiver e persone che si trovano in una fase di vulnerabilità. È molto utilizzato anche in ambito psichiatrico, geriatrico e pediatrico, dove la componente emotiva è spesso centrale.
Le competenze dell’infermiere counselor
Per poter praticare il counseling in ambito infermieristico, non basta la buona volontà. Occorrono competenze specifiche, spesso acquisite attraverso corsi di formazione post-base, master universitari o percorsi professionalizzanti.
L’infermiere counselor deve saper:
- Ascoltare attivamente senza giudicare, cogliendo il non detto e accogliendo l’emotività altrui;
- Utilizzare tecniche di comunicazione empatica, come il rispecchiamento, la riformulazione e la chiarificazione;
- Gestire il silenzio e il tempo della relazione, senza forzare l’altro a parlare o a decidere;
- Aiutare il paziente a rielaborare vissuti traumatici o disorientanti, accompagnandolo verso una maggiore comprensione di sé.
Queste competenze, apparentemente “soft”, si rivelano spesso più complesse di quelle tecniche, perché richiedono consapevolezza, equilibrio personale e una buona dose di umiltà.
I benefici per pazienti e operatori
Il counseling infermieristico offre vantaggi su più livelli. Per i pazienti, significa sentirsi visti e ascoltati, non trattati come numeri o casi clinici. Aumenta l’aderenza terapeutica, riduce lo stress e migliora la percezione della qualità dell’assistenza.
Per gli infermieri, invece, rappresenta un’opportunità per restituire senso al proprio lavoro, spesso logorato da ritmi frenetici e carichi emotivi elevati. Entrare in una relazione significativa con il paziente, anche solo per pochi minuti, può fare la differenza.
Tra i principali benefici:
- Miglioramento della relazione paziente-operatore;
- Riduzione del rischio di burnout per l’infermiere;
- Potenziamento del lavoro in équipe, grazie a una comunicazione più fluida;
- Maggiore soddisfazione lavorativa e senso di appartenenza al ruolo.
Counseling e umanizzazione delle cure
In un’epoca sempre più tecnologizzata, in cui l’iper-specializzazione rischia di frammentare il sapere e disumanizzare la cura, il counseling infermieristico si propone come una pratica di resistenza umanistica. Rimettere la relazione al centro significa riconoscere che la guarigione non riguarda solo gli esami e i protocolli, ma anche — e forse soprattutto — la possibilità per il paziente di essere accolto nella propria interezza.
Anche il concetto di salute, secondo l’OMS, non è assenza di malattia, ma “uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale”. Ed è in questa direzione che il counseling infermieristico si muove: curare, senza dimenticare di prendersi cura.
Le criticità e le sfide future
Naturalmente, non mancano le difficoltà. Non tutti i contesti assistenziali sono pronti ad accogliere questo approccio: mancano a volte tempo, formazione adeguata o riconoscimento professionale. Inoltre, il confine tra counseling e psicoterapia va maneggiato con attenzione, per evitare derive o sovrapposizioni di ruolo. È però proprio in queste sfide che si misura la maturità della professione infermieristica. Integrare il sapere tecnico con la competenza relazionale è una delle vie per costruire una sanità più umana, più vicina, più vera.



