Commento all’articolo apparso su La Repubblica il 29 marzo 2016
CON LA PET THERAPY GLI ANIMALI DIVENTANO ATTORI NELLE CURE
“Gli animali riescono a tirar fuori da un mondo interiore che non ammette visitatori”
Partendo da questa citazione vorrei dare una definizione di pet therapy, un concetto composto da due parole:
una derivante dal verbo to Pet (vezzeggiare, coccolare, abbandonarsi ad effusioni) che, come sostantivo, è comunemente usato per definire l’animale domestico ma più precisamente, l’animale prediletto, in parole semplici, l’animale d’affezione; l’altra, Therapy, è una parola più complessa e polivalente. Se da un lato indica l’insieme di azioni e di pratiche destinate a trattare e a guarire le malattie, dall’altro, negli ultimi anni ha subito una certa evoluzione e si è arricchita del senso di una sorta di azione psicoterapica non medica.
Questa evoluzione del concetto ci permette di estendere il campo di interesse e di azione della Pet Therapy ad interventi che necessitano l’incremento di un qualsivoglia benessere fisico, psichico e sociale.
E così la Pet Therapy si astrae, pur mantenendo delle solide basi scientifiche, dalla medicina contemporanea e riesce a creare un supporto alla terapia medica classica senza assurgere ad oracolo ma permettendo di valorizzare le persone bisognose di “cure” e di farne emergere le migliori potenzialità.
Oggi, di fatto la Pet Therapy assume a buon diritto pratiche di carattere pedagogico e culturale in ambienti e istituzioni che prima operavano esclusivamente con la farmaco terapia o le pratiche psico-sociologiche.
Presso la RSA La Villa di Varazze, collaboriamo ormai da un anno con l’associazione Archipet di Genova e la prima domanda che ci siamo posti è stata:”perché la pet therapy in una struttura residenziale”? Com’è noto, gli ospiti di una struttura residenziale hanno diverse difficoltà, che spaziano dalle carenze nel dialogo e nella comunicazione sia a livello interno ai gruppi di degenti sia con il personale di servizio, alle sofferenze causate dal distacco dai familiari e dalla propria casa in cui si annidano ricordi e vissuti che partecipano a creare lo stato emotivo profondo delle persone. Per questa sofferenza di fondo molti degli anziani in casa di risposo si trovano spesso demotivati e poco collaborativi durante lo svolgersi delle diverse attività. Una sorta di apatia che rappresenta quini il giusto sprone per spingere gli istituti a cercare continuamente nuovi stimoli che possano attivare il desiderio di partecipazione e di dialogo. Nella gestione di una casa di riposo è auspicabile considerare le terapie relazionali come parte integrante e mezzo indispensabile per aumentare il benessere e la qualità di vita delle persone che, gioco forza, si trovano costrette a vivere la parte terminale della propria esistenza (spesso volte neppure breve) in un istituto. Di recente, è stato anche studiato il processo di reciprocal mindreaming, tipico della relazione uomo animale, che definisce la capacità di alcune specie animali dimostrano nel comprendere gli stati emozionali degli esseri umani e nello scambiarsi messaggi empatici basati sulle emozioni e l’affettività abbattendo qualsiasi barriera zoologica.
L’impiego di animali da compagnia in una struttura residenziale può configurarsi sia come attività di animazione, di svago, di sostegno, sia come attività di tipo psicopedagogico sia attraverso la strutturazione di interventi più complessi volti a finalità co-terapiche.
A mio parere, un settore di impiego con buone prospettive è senza dubbio quello della Malattia di Alzheimer e della demenza senile, sopratutto nei pazienti in fase lieve. In questi soggetti abbiamo notato che l’interazione con l’animale appare in grado non solo di ridurre i disturbi comportamentali (agitazione, aggressività), lo stress e le turbe dell’umore (ansia, apatia..) ma anche di stimolare alcune funzioni cognitive residue. Nei lavori svolti si sono riscontrati effetti benefici sulla memoria a lungo termine, sulla comunicazione verbale e non verbale, sulla stimolazione sensoriale e sulla soddisfazione di certi bisogni primari, quali attenzione e affetto.
E’ un dato di fatto, inoltre, che le relazioni tra uomini e animali si articolano attraverso rapporti molto complessi, che non si esauriscono con la reciproca convenienza immediata (l’animale come strumento di lavoro o il conduttore come fonte di cibo e di protezione) ma che si esprimono attraverso profonde componenti emozionali tali da influenzare lo stato fisico, psichico e comportamentale.
A fronte di quanto fino ad ora delineato non dobbiamo stupirci, quindi, che l’anziano in istituto entri in relazione più facilmente con un animale da compagnia che con un essere umano e che da questa relazione egli possa avere ricadute positive non solo a livello affettivo, ma anche sul piano della salute in generale.