Quando ho comprato i biglietti per lo spettacolo, quel titolo Chi come me, non mi rimaneva in mente.
Dopo averlo visto, quello stesso titolo, è diventata una domanda continua, che ha risuonato dentro di me e che mi ha accompagnato e avvicinato a chi ho incontrato.
Avvicinare.
Chi come me in scena al Teatro Franco Parenti
Sì, perché Chi come me in scena al Teatro Franco Parenti di Milano fino al 4 maggio di Roy Chen con l’adattamento di Andrée Ruth Shammah, più che uno spettacolo teatrale è un’esperienza emotiva che avvicina alla malattia mentale.
I protagonisti
I protagonisti sono cinque adolescenti ricoverati in un centro di salute mentale. Giovani attori straordinari.
C’è Alma, vittima di violenza sessuale, affetta da un disturbo bipolare che la fa oscillare da momenti di chiusura e pianto a un’attivazione maniacale difficile da contenere; e poi c’è Barak, narcisista, che non gestisce le proprie emozioni, le sfoga in una rabbia esplosiva; c’è Ester che recita indossando la maschera di un leone, quello che non è riuscita ad essere per difendersi dalle molestie di uno zio, morto un attimo dopo averle rotto un braccio nel tentativo di abusare di lei; e poi Emanuel, con la sindrome di Asperger, che nella sua precisione scientifica memorizza ogni cosa pretendendo che tutto resti al proprio posto, che non tollera che qualcosa cambi. E infine c’è Tamara, che però vorrebbe essere Tom, figlia di una madre che la vuole a tutti i costi ballerina, e lei che si sente intrappolata in un corpo che non la rappresenta.
Il dottor Baumann che si cura di loro e lo fa anche grazie ad un corso di teatro tenuto dalla signorina Dorit, un tempo anche lei ricoverata nello stesso reparto.
Ed è proprio lei a proporre il gioco con cui i protagonisti si conoscono e si raccontano: in piedi, in mezzo al gruppo, una persona si dichiara con la frase, chi come me, concludendola con un’emozione, un comportamento che lo riguardi. Chi si riconosce, si alza dalla sedia e quello che non trova posto per sedersi, di nuovo si ritrova al centro, protagonista della domanda successiva.
E anche al pubblico viene chiesto di giocare. E da osservatori si diventa parte.
Chi come me, ha pianto questa settimana?
E tra gli spettatori ci ritroviamo quasi tutti con la mano alzata.
Il tentativo della signorina Dorit è di mettere in scena uno spettacolo teatrale, uno spettacolo nello spettacolo, e per quello chiede ai protagonisti di scrivere una lettera alla loro malattia, che leggeranno di fronte ai loro genitori.
Che entrano in scena. E allora capisci perché i figli stanno così male.
E allora mi è venuto in mente un paziente della comunità terapeutica in cui lavoro che al termine di un gruppo multifamiliare mi ha detto: ora che ho conosciuto i familiari dei miei compagni di terapia, ho capito perché stanno così male.
Ma non vuole essere una colpa. No, lo spettacolo non colpevolizza.
Ma attraverso il gioco del Chi come me, permette di identificarsi, di empatizzare, di pensarsi al posto di.
La malattia mentale diventa qualcosa che riguarda tutti.
E anche se da professionista della salute mentale riconosci che nella storia ci sono dei luoghi comuni, o delle semplificazioni, pensi che non importa. Che quello che conta di più è l’esperienza di incontrarsi, attraverso il dolore dell’altro. Che può essere anche il tuo.
Uno spettacolo come questo permette di pensare alla malattia mentale come qualcosa che ci riguarda. E non come qualcosa da allontanare. O da mettere fuori.
Chi come me fa emergere ciò di cui tutti noi abbiamo bisogno: qualcuno che ci lanci una corda immaginaria a cui aggrapparci, in mezzo alla nostra tempesta.
“E se a volte non riusciamo a curare la psiche, possiamo almeno prenderci un respiro profondo insieme… allora forza, tutti insieme, un respiro profondo, uno, due…”