La musica si dice essere un linguaggio universale che arriva immediata e come l’acqua sa adattarsi alle forme, così come alle esigenze di ognuno di noi e al momento che stiamo vivendo.
L’esperienza del Cantastorie ne è la prova, un progetto ambizioso, nato dall’esigenza comune di sensibilizzare sul tema della salute mentale anche chi di questa realtà non né fa parte, stupendolo e togliendo certe idee sbagliate in merito.
L’idea è quella di creare uno spettacolo musicale con brani nuovi e inediti intermezzato da testimonianze; mentre aspettiamo gli ospiti per esporre il progetto e iniziare le prove, una collega legge a Paolo E. Archetti Maestri una serie di esperienze molto visive vissute in comunità e vengono accolte come materiale da portare, perché sì, anche gli operatori saranno coinvolti.
Si vorrebbe, infatti, recuperare storie anche dal passato da raccontare da vari punti di vista, per esempio ex pazienti, mettendo a confronto anche le diverse generazioni.
Si crea un cerchio di sedie, siamo in tanti, viene spiegato il progetto e molte sono le domande e l’interesse in merito. Si parla di musica, ma soprattutto dell’esigenza di raccontarsi agli altri, quelli “normali, che ci evitano e sembra che li spaventiamo”, dice F. che coglie l’importanza e l’impatto che potrebbe avere lo spettacolo.
Archetti Maestri invita a guardarsi intorno e portare del materiale che poi metteremo insieme, dovendo però fare dei tagli di regia. L’interesse c’è, materiale pure e allora un paziente un po’ cupo a cui gli chiedono “Hai domande?”, risponde, ”Sì, perché non stiamo suonando?”.
Così si comincia, ognuno al proprio posto. La peculiarità della Pesci in barile band che su 8 presenti a provare, escluso il Maestro, 2 soli erano operatori: il musicoterapeuta Claudio Bocchi e un’operatrice di Casa Pero che suona il trombone, mancavano proprio solo gli ottoni nella band!
Ascoltiamo qualche brano di repertorio e non noto differenze rispetto a piccoli complessini che si possono ascoltare in giro, si vede una crescita e tanto lavoro svolto da inizio anno con le varie prove.
I membri sono ex – musicisti come D. il nostro pianista che ha studiato composizione e pianoforte al Conservatorio Niccolò Paganini di Genova con l’orecchio relativo o che hanno cominciato a studiare insieme proprio nelle occasioni insieme per fare musica come W. che essendo un ospite di Casa Pero chiedeva di andare in settimana ad esercitarsi in Sala Feluca.
Il Maestro inizia a mettere le prime basi con dei giri di accordi, facendo suonare all’unisono, per poi iniziare a diversificare le varie voci. Aveva per ognuno un sorriso e sapeva porsi in ascolto, una capacità che solo pochi hanno, molti si soffermano sui tecnicismi, quando la musica sono quelle emozioni così intense che i nostri pazienti riescono a mettere in un solo pizzico di corda di chitarra.
Dopo le prove, vissute in modo positivo, dove alla band, che stava già iniziando a strutturarsi sempre di più, viene aggiunta un’ulteriore sovrastruttura: quella di dare un significato ancora più forte al proprio lavoro. Non sono solo un gruppo di musicisti che racconta di integrazione, ma che vuole portare al proprio interno anche le storie di tanti altri che non hanno la voce per cantare, ma parole da dire e volerci fare ascoltare, sì. Una psichiatria inclusiva per ospiti e operatori, dove sono tutti protagonisti dello stesso spettacolo chiamato vita, certo ognuno sul palco avrà il suo ruolo, ma saremo comunque tutti sotto lo stesso riflettore.
Cenando con i pazienti, la collega in turno e presente nel pomeriggio di prove, racconta dell’entusiasmo che c’era a tavola: alcuni hanno ritenuto importante partire dalle basi, semplificando molto le cose da fare, perché saranno di cornice alle parole ed emozioni altrui, poi sicuramente sarà una bella palestra per perfezionarsi come band.
C’è tanta voglia di mettersi in gioco e rispolverare vecchie poesie, canzoni, sfoghi… confrontarli con il presente e condividerli, sicuramente non è poco chiedere di condividere qualcosa di così intimo.
Chi era presente quel pomeriggio ha capito l’importanza di aprirsi al mondo e farsi portavoce, un compito coraggioso, non saranno più pazienti o operatori, semplici musicisti di una band che prova in una stanza con il soffitto color del cielo estivo quando il sole tramonta, ma molto di più!
E allora non resta che dire: one, two, three o’clock, four o’clock rock!
Ginevra hai dato forma con le parole, all’emozione che ho provato guardandovi, quel pomeriggio!
L’idea è fondamentalmente ispirata all’utilità di permettere a ospiti e operatori di ricordare e mettere in musica ricordi di vita.
“Sono solo canzonette” dice Edoardo Bennato e sarà pure vero, ma sono utili a determinare un ritmo che vivifichi anziché mortificare…
Pertanto, proviamo a utilizzare un artista che realizzi il connubio tra linguaggio parlato o scritto e musica.
L’idea di diventare parolieri ci accompagna in questa nuova avventura purché non sia svilita da banalizzazioni o vista come dei compitini per adulti sciocchi.
Il contributo e la voglia degli operatori di mettersi in gioco diventa, allora, fondamentale.
L’operatore, come l’ospite, devono essere attori consapevoli e non inutili spettatori!