A quattro anni dalla chiusura dell’ultimo ospedale psichiatrico giudiziario (OPG) è tempo di bilanci e di nuove proposte. La riforma per il superamento degli OPG è stata una vera rivoluzione, ma nella situazione odierna è necessario un ulteriore passo avanti, in una direzione conforme alla legge Basaglia e già indicata dalla commissione Marino: il superamento del doppio binario.
Questo scritto mira a sostenere la proposta di legge presentata alla Camera dei Deputati dall’On. Magi. L’autore lancia un allarme sui recenti tentativi di mettere in discussione i principi chiave della precedente riforma e sostiene che sia necessario il riconoscimento di soggettività e diritti alle persone con disabilità psicosociale, anche attraverso l’attribuzione di responsabilità penale per i loro atti.
Credo che questa proposta meriti attenta considerazione: è possibile meriti maggior fortuna del disegno di legge Vinci Grossi del 1983, ricordato da Franco Corleone, e che aveva il sostegno anche di magistrati fra i quali mi piace ricordare Lino Monteverde.
E’ sostenibile anche sul piano teorico generale. Infatti il diverso trattamento che l’attuale legislazione riserva al “sano” e al “malato” di mente nasce da una precisa accezione del concetto di libertà, nel senso di libertà interiore. Questa è stata attribuita alla persona sana, nel senso operazionale delineato con molta chiarezza già da Aristotele: “nelle cose in cui l’agire dipende da noi, anche il non agire dipende da noi.. sicchè se il compiere una azione bella dipende da noi, dipenderà da noi anche il non compiere una azione brutta”.
La legislazione penale è ispirata da questa concezione, che ci vede autodeterminati e che pertanto fa inserire nella risposta pubblica al reato una forte componente punitiva: lo dimostra già il termine “pena”, evocativo di un dolore da infliggere.
Se ne è ammessa una eccezione ritenendo che quella che chiamiamo malattia mentale irrompa nella mente come un corpo estraneo che la domina snaturandola, sottraendole ogni capacità di autodeterminazione, imponendo una inesorabile catena causale che può condurre, incolpevolmente, al reato. Concezione sostenuta dal qualificare la sofferenza mentale come malattia, legata a danni cerebrali identificati o da identificare. Nel reato del paziente non vede colpa. ma solo obbiettiva possibile pericolosità.
E’ una visione che da tempo mostra la corda, o che quanto meno va relativizzata. Sappiamo bene che la distinzione fra “sano” e “malato” di mente non è poi così netta, neanche sotto l’aspetto della libera scelta: anche il sano è orientato, in modo più o meno vincolante, da condizionamenti fisiologici, ambientali, economici, sociali, educativi, relazionali di ogni tipo; e d’altra parte non è poi detto che l’azione stimolata da una fantasia psicotica sia necessariamente più obbligata rispetto a quella del sano, attivata da altri fattori.
Ovviamente, questo è un terreno scivoloso, che porterebbe a rivisitare criticamente – e audacemente – il concetto stesso di etica. Senza pretendere, ovviamente, a conclusioni certe, ce n’è comunque abbastanza per nutrire dubbi sulla netta distinzione, teorica e operativa, che ha orientato questa parte del Diritto penale vigente.
tutto molto sensato, molto vero, per molti e non per tutti! Spero che non sia un messaggio in una bottiglia affidato al mare, spero che ci siano persone di gran buona volontà che possano migliorare le situazioni e costruire strutture piccole adeguate per una riabilitazione ed una cura sempre possibile per tutti che rappresenti e difendi la “responsabilità” di chi deve essere curato e di chi deve aiutare le persone a curarsi.
Grazie