Vaso di Pandora

La città che cura

Il 18 maggio si è svolto nella Sala del Consiglio del Palazzo Ducale il terzo incontro degli attori del patto della salute mentale. Sala gremita programma fittissimo. Verifica di quello che si è fatto, criticità, progetti.

Nella realtà il dottor Ghio con gli altri organizzatori ha dato un taglio all’evento simile ad un convegno: la quantità di interventi richiesti a tutte le forze in campo o che si desidera siano messe in campo (dai Politici ai Direttori di dipartimento, dal Comune all’Arte all’Ucil  all’Università ecc.) ha creato una situazione in cui la comunicazione è stata unidirezionale, le tavole rotonde più che rotonde sono stati interventi singoli, è mancato un confronto, un dibattito, del resto impossibile per la quantità di persone coinvolte volutamente nel programma.

Quindi ho sentito dichiarazioni di disponibilità, racconti di successi, lezioni, programmi di prevenzione, belle intenzioni, esperienze positive, dati drammatici sull’aumento del disagio psichico, progetti centrati sui giovani, Sindaci disponibili in programmi innovativi per creare aggregazione, spazi sociali, Comune ed Arte disponibili alle esigenze dei cittadini, progetti di inclusione lavorativa, dichiarazioni insomma di un cammino intrapreso in cui tutti sembrano coinvolti e pieni di belle idee e buona volontà. Certo non c’è più l’Osservatorio regionale che dovrebbe recepire quanto la Consulta della Salute Mentale elabora e chiede, in collegamento con gli altri tavoli che il patto della salute mentale prevedeva con l’intenzione di essere veramente vicina ai bisogni man mano espressi da chi è coinvolto nella salute mentale nella cura o perché malato.

E’ andato bene, c’è stata una bella conclusione con la proiezione di un divertente e pensato filmato del teatro dell’Ortica. Applausi in ricordo di Anna Solaro veramente sentiti dagli attori del filmato.

Cosa mi lascia perplessa pur apprezzando lo sforzo che è stato fatto per dare un’immagine alla cittadinanza dell’importanza del patto della salute mentale?

Ecco proprio questo: è un’immagine e spero non resti una immagine. Che il patto prosegua affrontando anche le criticità che questi anni hanno mostrato (senza dar colpa al Covid che non c’entra) in una gestione che ha visto iniziative separate, scarsa comunicazione, delega ad alcuni ritenuti gli esperti di portare avanti iniziative e soprattutto la filosofia del patto, lasciando involontariamente fuori i veri protagonisti. Non è un caso che l’unico utente che ha parlato di persona sia stato Federico.

Ho visto tante persone, tanti volti conosciuti, purtroppo sempre gli stessi psichiatri, intervenire quasi tutti vicini alla mia età, dove diavolo sono gli psichiatri giovani o di mezza età, ci saranno stati sicuramente ma nessun intervento. E interessa loro il patto? Ho i miei dubbi vista la scarsa presenza nei circoli territoriali.

E’ stato un successo?

Mah… vediamo come andremo avanti, serve comunque una riflessione critica.

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Commenti su "La città che cura"

  1. Condivido, ci sarebbe tanto da dire in merito, tutte cose che sappiamo bene, soprattutto la salute mentale non essendo esclusivamente un problema sanitario andrebbe pensato anche in maniera sociale, nell’ottica della prevenzione primaria, ma la nostra società riesce a malapena a offrire spazi, servizi, legami a chi è in grado di farcela da sé.

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  2. Grazie Roberta Antonello. Questo articolo potrebbe aprire una serie di riflessioni, sotto forma esse stesse di articoli sul tema della politica sanitaria di questo Paese. Lo suggerisco come stimolo a tutta l’ottima “redazione” del Vaso di Pandora.

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  3. Preoccupa questa non partecipazione attiva dei giovani o di mezza età: è cosa che impone riflessioni. Sono peggiori di quel che eravamo noi? Non credo; e comunque non dobbiamo paradossalmente diventare laudatores temporis acti.
    Forse la spinta a muoverci è nata allora – e nasce necessariamente – dalla intollerabilità di quella situazione, come accade in ogni spinta rivoluzionaria? E in ogni caso, c’è da temere che stasi e adesione passiva all’esistente, calo della voglia di esplorare e criticare, significhino necessariamente regresso; sia che dipendano da una improbabile soddisfazione o, piuttosto, da una radicale sfiducia. Ciò, soprattutto nel nostro campo che mi pare richiederebbe incessante voglia di ricerca e di messa in crisi dell’acquisito.

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  4. Complimenti per l’iniziativa. Anche a Parma stiamo lavorando ad un patto. Fa riflettere la ridotta partecipazione dei giovani professionisti rispetto alla salute mentale di/nella comunità. Un tema complesso. Credo incida il modello formativo prevalentemente biologico, psicofarmacologico e al più psicoeducativo. Sui determinanti sociali della salute, compreso i microdeterminanti, pare si rinunci ad agire o forse i giovani non sanno come farlo. Il welfare di comunità si crea se vi è un lavoro anche professionale per creare partecipazione, protagonismo, automutuoaiuto, cultura dei diritti e dei doveri, capacità di mediazione con famiglie e contesti. Servono strumenti nuovi come il budget di salute. Un compito che tramite la formazione e il coinvolgimento noi anziani abbiamo il dovere di promuovere. Un investimento per il futuro. Visto che molti giovani sono preparati e capaci avremo sicuramente risultati. Una speranza per il futuro.

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  5. Sicuramente una certa generazione ha vissuto contraddizioni che hanno spinto verso una critica del sistema, un atteggiamento idealista che per altro ha anche portato a ferite e rovinosi sbagli ma anche ad una spinta al cambiamento e sopratutto ad una visione aperta al sociale. Idealismo, ribellione, rottura di schemi in un clima di valori diversi dagli attuali. Ora predominano altri valori, il clima è diverso. E’ difficile passare con la tecnica alla politica mentre una base politica può favorire la crescita di tecniche aperte al sociale. Per politica intendo una base etica comune. La mia per altro era una impressione e si accompagna anche all’osservazione di giovani operatori nel sociale aperti ed attenti da ascoltare non necessariamente psichiatri. Anche psichiatri.

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