Forse perché uno dei miei primi compagni di gioco è stato un orsacchiotto, “Concetto”, dal nome dell’anziana zia di mia nonna che me l’aveva regalato. O forse perché uno dei miei cugini, di poco più grande, nei momenti di affetto chiamava sua mamma “mamma orsa”, e da lui ho preso a volte anch’io quell’abitudine.
E perché pare che l’orsa JJ4 abbia ucciso conformemente alla sua natura di mamma nel disperato tentativo di difendere da un pericolo solo immaginato i suoi tre cuccioli.
O forse perché, ancora, la rapidità con la quale è stata localizzata e catturata fa pensare allo strapotere di noi umani verso le altre specie animali.
O, ancora, perché certo diverso sarebbe se fosse stata abbattuta nel momento nel quale si consumava la tragedia e si fosse salvata così la vita all’uomo, in quel momento più debole di lei, mentre lo aveva tra le grinfie; ma ora che la tragedia si è consumata e lei è vinta e prigioniera, ucciderla è diverso.
E l’idea della sua uccisione adesso evoca un sentimento di pena per qualche aspetto analogo a quello che evoca, tra gli umani, l’esecuzione di una sentenza capitale, la somministrazione cioè della morte a cui non può sottrarsi a un essere vivente da parte di un sistema, incommensurabilmente più forte di lui.
Ma comunque, per una o più di queste ragioni, l’idea che JJ4 venga soppressa quando pare che esistano modi di lasciarla in vita e renderla inoffensiva – ad esempio collocarla in una riserva dove continui a vivere ma non possa incontrare di nuovo a tu per tu l’essere umano – mi rattrista. Ed evoca in me, come credo anche in altri, un fastidio simile a tutte le volte che dobbiamo assistere, e purtroppo non sono rare tra noi umani, all’ingiustizia di qualcuno più forte che infierisce inutilmente su qualcuno più debole.
Così, mi sento di unire – con un grande rispetto per il dolore di coloro che volevano bene ad Andrea Papi che purtroppo è stato ucciso, ai quali l’uccisione dell’orsa non lo potrebbe comunque restituire – queste mie poche parole a quelle di chi vorrebbe risparmiare la vita all’orsa JJ4.
Non sono certo un esperto del mondo animale e anzi degli animali di taglia medio-grossa, cani compresi, confesso di avere paura. E se so bene che ci sarebbero tra gli umani cause più importanti alle quali dedicare tempo e parole per la difesa del debole.
L’atmosfera intorno e dentro di noi è appesantita dalla guerra per i confini che è ritornata a insanguinare anche l’Europa. Una guerra civile è appena esplosa in un Paese povero, e a farne le spese sono come in ogni guerra i più poveri. Nel Mediterraneo centrale, proprio davanti a noi, continua anche quest’anno la strage dei naufragi che non vengono soccorsi.
I toni del confronto, nelle conversazioni pubbliche come in quelle private, tendono più che un tempo a farsi intolleranti, arroganti, violenti.
Ovunque abbiamo la sensazione che nei gangli della nostra società sia in aumento la violenza, che non risparmia i luoghi e gli operatori della cura. Il primo maggio, appena trascorso, è stato occasione per ricordare il numero enorme dei morti sul lavoro, e una di loro, recentemente, è stata una collega psichiatra per la quale proviamo un dolore che l’identificazione con lei rende più grande.
Molte ragioni concorrono a far sì, insomma, che avvertiamo una cappa di violenza e di morte che soffoca la nostra quotidianità. E non basterà certo evitare un sacrificio animale, a dissiparla.
Uno dei tanti quotidiani sacrifici di animali che muoiono macellati o cacciati; non è certo uno di più o di meno a fare differenza. Ed è stata solo la cronaca a far sì che lei, con la sua tenerezza di madre e la sua ferocia di fiera, ci sia divenuta famigliare e si stagli ora sugli altri animali destinati al macello come un caso individuale.
Perché preoccuparsi di JJ4, allora?
Non dubito che il giorno che si deciderà cosa fare di lei, i notiziari porteranno nelle nostre case la notizia se è stata soppressa o è stata risparmiata. E credo che sapere che si è scelto di risparmiarla sarebbe, certo, una piccola cosa, ma mi farebbe sorridere e tirare un sospiro di sollievo.
Forse perché sarebbe un segno; un segno almeno un po’ rasserenante. Un modo per ricordare nel piccolo, almeno per una volta, che essere umani significa anche dover assumersi la responsabilità del più forte ed essere perciò “umani” nel giudicare anche un essere vivente appartenente a un’altra specie; e chissà che questo non ci aiuti a essere più “umani” anche quando si tratterà di esserlo verso coloro che appartengono alla nostra stessa, di specie.
E di questo sì, ci sarebbe davvero bisogno.
Perfettamente d’accordo, Paolo: la risposta a corto circuito “vita per vita” non è degna di quel che vogliamo essere. Concordo anche sulla necessità di collocazione che impedisca ulteriori aggressioni: mi pare che per quest’orsa non sia la prima, e comunque il pieno successo di questo attacco le avrà tolto il salutare timore che l’animale selvatico ha dell’uomo.
Grazie per le considerazioni espresse in questo articolo. Non avrei saputo trattare così chiaramente un pensiero che mi ha accompagnato dal momento della tragedia e poi della cattura di JJ4.
Caro Paolo mi piace molto come riesci a mettere in pratica la gentilezza che a volte è presente nell’umano, trovare un senso ed esprimerlo considerando anche il peso della questione. Personalmente sono convinta che i migliori e più duraturi risultati si ottengano appunto con la pratica della gentilezza e della clemenza , per chi ne ha il potere .