L’allarme sulla carenza dei medici è cosa nota a tutti.
Il boom di iscrizioni alle facoltà di psicologia, gran parte delle quali non pongono il limite del numero chiuso, forse fa meno notizia.
Il pensiero più comune è che le politiche sanitarie degli ultimi lustri non sono state previdenti e ci ritroviamo con una carenza importante di medici specialisti e con un numero esorbitante di iscritti a psicologia che si troveranno tra qualche anno senza lavoro.
Invece che sostenere ciò che “dicon tutti”, propongo una riflessione per cercare di comprendere il senso di quello che appare un atto mancato (nel senso psicoanalitico del termine) politico. Che significato può avere in sostanza questa omissione dell’inconscio politico?
Quando parlo di inconscio politico mi riferisco ad un gruppo (appunto quello politico), rappresentante (anche se non sempre legittimato da elezioni) del gruppo più ampio della cittadinanza italiana. Così come nei gruppi terapeutici si parla di un inconscio gruppale, specifico di quel gruppo, allo stesso modo ritengo che anche il gruppo politico abbia un suo inconscio che si esprime, come nell’inconscio individuale o gruppale, attraverso lapsus, atti mancati, motti di spirito, agiti o sintomi. Ma da un punto di vista psicoanalitico sappiamo che l’inconscio ha le sue ragioni, anche se il suo modo di esprimerle non è sempre comodo o funzionale, così come avviene per le gaffe o per i sintomi (Waizsaecker, come riportato in storie di vita e storie di malattia del 1989, scriveva a tal proposito “Si, ma non così”).
Quali professionisti della salute scegliere dunque per la prevenzione, la diagnosi, la cura e la riabilitazione dei cittadini?
Potremmo interpretare questo sbilanciamento a favore dei sanitari “psi” come il bisogno di rinforzare la dimensione psicosociale del sistema biomedico?
A quanti problemi della medicina la psicologia potrebbe offrire un contributo importante e a volte decisivo?
La lista sarebbe molto lunga…
Mi piacerebbe che fossero i lettori a redigere l’elenco.
Propongo intanto un primo punto, la comunicazione medico-paziente che condiziona già da sola numerose questioni psicosociali: dal consenso o dissenso informato, alla medicina difensiva (con pesanti ripercussioni economiche per il sistema sanitario); dalla compliance ai trattamenti, all’effetto nocebo; dal rispetto della privacy, all’alleanza terapeutica. Balint () che parlava di “medico come medicina” sembrava avesse intuito oltre 70 anni fa ciò che le ricerche rilevano oggi: una relazione terapeutica che pone attenzione ai vissuti del paziente può condizionare l’espressione dei suoi geni (2019).
Ritengo che sia giunto il momento che l’ordine degli psicologi si ponga con forza nei confronti dei medici specialisti in psichiatria , rivendicando la competenza nell’ambito di quell’area comunemente definita PSICHIATRIA
Quando mi sono laureata in psicologia erano gli anni 80 e la nostra professione iniziava a farsi spazio nel mondo del lavoro.
A Padova pochissimi sceglievano il ramo della clinica.Allora la ricerca di stampo cognitivista era enfatizzata ,volta soprattutto all’impiego del professionista in ambiti legati al sociale.
Attualmente quasi tutti i giovani psicologi che incontro vogliono lavorare nella clinica,in particolar modo in psichiatria o in criminologia.
Molte offerte,troppe forse.
Ho assistito comunque ad un cambiamento nel riconoscimento della nostra professione sia in ambito scolastico,che preventivo ,sia nel mondo della psichiatria stesso,fino a qualche decennio fa luogo indiscusso del dominio dello psichiatra.
La mia considerazione non riguarda però questo ma la mancanza di programmazione dei corsi di laurea delle varie professionalità legate alla cura.
Mancano drammaticamente infermieri oltre che psichiatri adesso , a fronte di un esubero imbarazzante della figura dell’oss,senza dubbio utile ma non funzionante senza l’infermiere al quale in teoria dovrebbe essere affiancata.
Gli psichiatri giovani sono pochi e come gli infermieri praticamente tutti assorbiti dalle strutture pubbliche in estrema sofferenza.
Non comprendo la scelta delle scuole ,non comprendo il motivo per cui i ragazzi non possano venire indirizzati ,seppur rispettando le loro inclinazioni ,verso quelle professioni che garantiscano loro realizzazione e lavoro ed al cittadino i necessari strumenti umani di cura.
Non si può fornire un buon servizio medico specialistico se mancano le professionalità deputate a fornirlo .
La mancanza di programmazione del mercato del lavoro dimostra la miopia governativa in senso lato è quella accademica in senso stretto.
Necessità di educatori e di tecnici della riabilitazione per coadiuvare psicologi, psichiatri, infermieri (per dare la terapia?) che dovrebbero però essere formati per i pazienti psichiatrici e psicoterapeuti per parlare e ascoltare i pazienti, i familiari, per protendere alla costituzione dei gruppi multifamiliari e di mutuo aiuti tra pazienti, operatori e pazienti. Divulghiamo queste necessità e lottare per reclutarli ovunque, nelle scuole primarie, superiori, nei posti di lavoro pubblici e privati e abituare la popolazione all’approccio nei centri di salute mentale dove deve essere presente ed accogliente una reception adeguata e pronta per la presa in carico fin dall’esordio della “confusione psichica”!!
tutto questo manca o è molto scarso. Chi e come fare di più? Vogliamo dare un’occhiata ad alcune dimensioni piu’ nordiche?