Vaso di Pandora

Eppur si crea.

Recensione del libro di Ugo Morelli

Eppur si crea. Creatività, bellezza, vivibilità.

Durante l’anno scorso 2018, un anno faticoso per molti e particolarmente traumatico per noi liguri a causa del crollo del Ponte Morandi, ho trovato sostegno e una certa consolazione in diverse letture.

La conclusione dell’attività presso il Servizio Sanitario Nazionale mi ha liberato dal tempo e consentito l’accesso a una lettura più approfondita e proficua di libri che hanno confermato i miei interessi in particolare riguardo l’antropologia e lo studio della mente.

Ho potuto cogliere diverse occasioni per condividere questa passione con colleghi e amici soprattutto producendo recensioni di varia letteratura, assemblaggi e collegamenti che ho trasmesso in alcune conferenze e lezioni a volte entusiasmanti per il riscontro e il piacere di momenti di condivisione e di comprensione spesso inaspettati per come si venivano a creare: per le circostanze e i modi.

Particolarmente importante in questo senso è stata la giornata di studio all’Università di Perugia il 15 dicembre scorso.

Ospite di Maurizio Peciccia che organizzava l’incontro ho avuto il piacere di conoscere personalmente in quell’occasione Ugo Morelli e conversare con loro e altri colleghi su creatività, sofferenza mentale, arte e bellezza… argomento di cui da tempo discutiamo con Gianni Giusto. Infatti con ottimo tempismo e intelligenza Gianni ha organizzato un evento a Varazze per il 23 marzo che ci darà modo di proseguire il confronto. Da ciò anche l’idea  di una breve  recensione di “Eppur si crea” di Ugo Morelli.

La lettura del libro si inserisce nel percorso cui ho già accennato sopra quasi come una tappa, una conclusione per una sosta di riflessione che sento necessaria in mezzo al gran trambusto di questo momento storico, come sempre e in tutti i tempi, per qualche aspetto penoso.

Dico come sempre perché mi preme iniziare con una citazione da K. Kraus da “La nostra grande epoca”  in risonanza con sentimenti di impotenza dell’epoca attuale e con il sentimento della mancanza di una via d’uscita come viene ribadito in “Eppur si crea”.

Da Karl Kraus “In questa grande epoca” 1914:

“In quest’epoca in cui accadono cose che nessuno aveva immaginato, in cui deve accadere quello che nessuno riesce più a immaginare e se qualcuno ci riuscisse allora non accadrebbe…”

Il libro “Eppur si crea”, chiaro ma complesso, introduce un ordine per comprendere e forse anche  suggerimenti per affrontare in modo pragmatico i problemi che rendono critiche le nostre esistenze nell’attuale contesto globalizzato denso di opportunità e articolazioni che tuttavia richiedono scelte, scelte probabilmente per  lo più impossibili nel senso che non sono alla nostra portata almeno in termini logico-razionali.

La complessità riguarda le innumerevoli prospettive da cui si può scorciare la creatività e i sentimenti che l’accompagnano e da ciò l’approccio multidisciplinare e l’ampissima letteratura citata,presa in esame e rivisitata. Rimandando al 23 marzo prossimo ulteriori approfondimenti,provo a dare qualche spunto di collegamento con quanto più recentemente ci  ha coinvolto nel contesto culturale savonese e in particolare nei percorsi formativi del gruppo Redancia. Tornando alla risonanza tra “Questa grande epoca “ di Karl Kraus del 1914(!) e il nostro libro “Eppur si crea”  anche allora c’era la questione dell’apparire di nuove modalità di comunicazione tramite il giornalismo ( il saggio è sostanzialmente una critica  al potenziamento pervertito dell’informazione e della comunicazione tramite i giornali degenerando l’informazione in falsificazioni, contenuti manipolatori e soprattutto perdita della capacità d’immaginare e di fare esperienza a cui tra il resto Kraus attribuisce una responsabilità nell’accadere della Prima Guerra mondiale) oggi l’incremento delle possibilità d’informazione, anche distorta, ha avuto un andamento esponenziale e appare necessario un confronto e un contributo collettivo, interdisciplinare, e l’integrazione con la ricerca sul funzionamento della mente .

E’ sempre più evidente la sproporzione tra gli strumenti e la tecnologia che l’uomo ha generato rispetto ai limiti della stessa natura umana e alle capacità dei singoli fruitori di strumenti e tecnologia. Centrale è dunque il discorso sulla vivibilità che mi è parso immediatamente illustrato dalla bella fotografia del frontespizio che riproduce l’immagine dell’uomo creata da Giacometti. A proposito di vivibilità ho sentito davvero preziose le citazioni degli studi di E.O. Wilson che conoscevo per La Conquista Sociale della Terra, ma non per la suggestiva proposta di proteggere come riserva naturale metà della Terra che consentirebbe secondo gli studi e i dati riportati con chiarezza,  la prosecuzione della vita sul pianeta così come la conosciamo.

Quel che emerge dalla lettura è l’assoluta necessità di un grande slancio creativo di cui l’intreccio più specifico andrebbe ricercato proprio riguardo alla vulnerabilità che inevitabilmente porta alla ribalta il corpo e il dolore: la sofferenza fisica e mentale anche nella sua dimensione creativa. Forse è proprio la fragilità o l’incertezza o il fatto stesso che alcuni di noi in certi momenti sono in grado di tollerarla che consente l’innovazione e la consapevolezza di poter generare ciò che prima non c’era.

In diversi capitoli Morelli parla della capacità che abbiamo di rompere con il conformismo, l’ideologia e di generare l’inedito sia in condizione di necessità sia per scelta e desiderio.Naturalmente è in primo piano il tema della conoscenza e delle idee perciò appare il grande esempio di Giordano Bruno: è infatti presentata in piena luce l’inquietudine dell’eroico personaggio orgoglioso e al contempo umile. Le antinomie nell’opera del grande nolano, martire della libertà di pensiero, sono ben rappresentate dall’emblematica metafora dell’asino con le sue due possibilità di presentificare l’umiltà necessaria alla pratica operosa ma anche la pigra indolenza del non agire.

Forse non è ovvio dire che la parte più coinvolgente nella lettura di “Eppur si crea”  è stata per me il tema della ragione poetica e della bellezza coinvolta nella nobile  dimensione conoscitiva che ci rappresenta la poesia. Dunque la Bellezza nata dalla capacità di una “tensione rinviante”sarebbe una domanda? Certo in sé inesprimibile e forse comunque spaventosa la bellezza ci sfugge e può riempirci di gioia o terrore.

Con ciò sento di voler per ora concludere citando con un cenno all’entusiasmante capitolo sulla Curiosità cioè l’attrazione per le zone d’ombra “…immaginando quello che non è presente e addirittura l’inesistente, diamo  e ridiamo incessantemente senso e significato alla nostra esperienza” .

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