Tra i modi di dire ai quali ci piace riferirci perché sono frutto della sintetica osservazione popolare c’è anche quello che recita: mangi per vivere o vivi per mangiare?
Bella domanda; ho provato a rivolgerla ad un amico fidato Boé, un golden retriever di tre anni.
Mi ha guardato con stupore e, considerando che siamo due ingordi (ci ritorneremo su questo in un’altra occasione), mi ha fatto capire che non era una domanda da fare: la necessità di nutrirsi è un istinto innato, qualunque cucciolo di qualsiasi razza animale, se mammifero, ha bisogno di succhiare il nutrimento dalla tetta della mamma altrimenti morirebbe; poi ci si prende anche gusto, ecco questa è la parola chiave del nostro (mio e di Boé) ragionamento.
Il gusto è uno dei cinque sensi ed è al servizio della conoscenza (pensate ai sommelier) e del piacere; bisogna saper gustare, è necessario aver buon gusto, bisogna essere indirizzati all’esperienza e confrontarla con quelle altrui.
Ecco qui io e Boé ci differenziamo, ma non in molte occasioni, una cosa che io adoro e lui disdegna è lo stoccafisso: forse perché è troppo giovane.
Siamo però entrambi golosi, potremmo fare indigestione di gallina bollita (è capitato a Boé) quindi dobbiamo regolarci; ecco che interviene un meccanismo razionale che non appartiene al cane, ma all’uomo. Eppure a volte ci sfugge di mano, esageriamo col cibo, abusiamo di alimenti che fanno a pugni con il richiamo razionale della medicina, diventiamo quasi dipendenti dalla rituale assunzione di cibo.
Senza ancora addentraci nei meandri della patologia e dei disturbi alimentari (lo farò fare da una mia collaboratrice) mi basta ritornare all’inizio e concordiamo che dall’equilibrio tra istinto e piacere e tra desiderio e soddisfazione possiamo ricavare un utile insegnamento per vivere bene e a lungo.