VIVA L’ISTITUZIONE TOTALE
Differenze tra comunità terapeutica, strutture intermedie residenziali e carceri in merito ai suicidi
La tendenza a prevenire il rischio suicidario con barriere architettoniche ha da sempre mostrato la propria inconsistenza.
Avvengono percentualmente più suicidi in carcere che in strutture residenziali terapeutiche.
Eppure le regole relativamente alle precauzioni non vengono interpretate e finalizzate alla cura che presuppone il condividere dei rischi ma secondo un principio apparentemente di garanzia nei confronti dei pazienti, di fatto incapace di cogliere la drammaticità ed il significato di un gesto estremo come il suicidio. Allora intervengono le forze dell’ordine e i magistrati che spesso sono indotti in errore da incompetenti sedicenti periti.
Il tentativo estremamente pericoloso è quello di ricondurre il tutto ad una dimensione picodinamica di gruppo sociale che Bion definirebbe come di “attacco e fuga” sostanzialmente consistente nel tentativo di trovare dei responsabili dell’atto estremo al di là della presa d’atto dell’impossibilità di evitare il suicidio qualora il paziente sia estremamente determinato nel compierlo.
Il bisogno di chiedere barriere ed accorgimenti che vadano al di là e superino il criterio clinico portano ad un concetto di responsabilità che non è adulto ma deresponsabilizzante di fatto.
Se si cerca il Responsabile a rutti i costi allora siamo rutti responsabili nessuno escluso.
Il risultato sarà quello che ritorneremo ai manicomi nei quali era importante dimostrare di essere innocenti piuttosto che sentirsi tutti colpevoli. Sostituiremo le strutture terapeutiche con carceri, metteremo le sbarre alle finestre cercheremo secondini al posto di psicoterapeuti ed i suicidi aumenteranno.
Smettiamola di fare i medici, smettiamo di fare gli psichiatri e facciamoci sostituire da vigilantes ispirati…
Evviva la civiltà della cura!