Nel mio studio mi capita spesso di lavorare con adolescenti e una delle domande che insorge più spesso è: “come hai vissuto la pandemia?“. Le vittime silenziose di una costretta reclusione. Inizialmente poteva sembrare un‘occasione per stare finalmente in famiglia, per fermare i tempi sempre “di corsa“ ma con il tempo, in alcuni casi quel rifugio è diventato una gabbia dorata con sbarre piene di paure e frustrazioni.
Lo sviluppo neurologico durante l’adolescenza
L‘adolescenza è un periodo complesso e delicato: a livello neurologico avviene quello che viene chiamato il fenomeno del pruning, un processo cerebrale importantissimo caratterizzato dallo sfoltimento selettivo di alcune delle tante connessioni (sinapsi) formatesi mentre cresciamo. Si creano dei nuovi assetti e nuove reti neurologiche e un cutting di alcune reti che riguardavano l’infanzia, per capirci le famose isole di “inside out“ che si distruggono. Inoltre in questo periodo avviene un ritardo nel rilascio di melatonina, ormone che regola il sonno (motivo per il quale a volte è così difficile svegliarsi presto e bisogna buttarli giù dal letto). Questi cambiamenti sono accompagnati anche da picchi ormonali non facili da gestire, onde emotive che devono imparare a cavalcare per un po‘.
Tutto questo li potrebbe fare sentire spaesati e distratti, bisogna perciò avere pazienza e mantenere un ponte comunicativo che li aiuti in questa fase di assestamento e cambiamento neurologico significativo. Diventa importante per la scuola non bombardarli di informazioni e verifiche ma dare il tempo di assimilare ciò che viene insegnato, sarebbe bello poter facilitare i docenti e non farli sempre correre dietro alle scadenze e i programmi, inoltre avere degli spazi dove poter lavorare anche sulla ricerca dei propri potenziali e quelli che potrebbero essere i nuovi interessi, che si stanno sviluppando e che andranno a costruire l’identità adulta.
I postumi della pandemia tra gli adolescenti
Dopo la pandemia sono aumentati i casi di attacchi di panico, autolesionismo, pensieri suicidari, disturbi del comportamento alimentare. Nelle loro camere alcuni si sono congelati, dei rifugi isolati dalle relazioni fisiche, in presenza, che sono differenti da quelle mediate dal display. Immaginate in questo periodo così delicato di passaggio quanto possa essere costato, il non poter condividere anche con la sola presenza fisica senza dover per forza parlare i momenti di disagio, difficoltà ma anche di bellezza e scoperta, con i propri coetanei.
Se facciamo uno sforzo e torniamo indietro nella memoria sono sicura che ci ricordiamo quanto fosse importante alla loro età un abbraccio di un amico. Immaginate invece che fatica quando tutto si è scongelato e gli è stato chiesto di ricominciare ai ritmi frenetici.
Cosa fare per essere d’aiuto
Credo possa essere importante promuovere attività non performative di gruppo fuori casa, facilitando comportamenti prosociali, aiutarli a scaricare la tanta energia con il corpo attraverso lo sport, hobby, volontariato, attività in natura.
È necessario dare alla comunità educativa (scuola, sport, famiglia…) gli strumenti per offrire ai più giovani strade differenti di espressione del disagio e del malessere che cerca di trovare una risposta ad una mancanza di senso. Un vuoto che altrimenti rischia di essere terreno fertile per l’insorgere di alcune patologie. Un lavoro di questo tipo richiede la fatica da parte del mondo adulto di entrare in contatto con se stessi e con i propri nuclei di dolore e sofferenza che ci accomunano e ci rendono vulnerabili . Solo tramite l’accettazione e l’integrazione delle nostre parti fragili possiamo evolvere e crescere, anche come società.
Diventa quindi fondamentale e urgente non banalizzare il tema della prevenzione così spesso nominata ma allo stesso tempo raramente compresa nel suo significato profondo. Prevenire vuol dire creare degli spazi dove poter guardare quel vuoto, arredarlo trasformandolo in tunnel generativi di possibilità.