a) Voi pensate a una donna (Annamaria Franzoni) che racconta di qualcuno che è inavvertitamente entrato in casa e ha ammazzato suo figlio. Come vi aspettate di trovarla? In quali condizioni emotive? Forse avrà voglia di andare dal parrucchiere ad agghindarsi per una puntata di Porta a Porta?
b) Continuate a pensare a quella donna. Ha perso un figlio piccolissimo in condizioni raccapriccianti. Pensate che avrà voglia di farsi intervistare, di comparire in televisione, di vedere
e rivedere il plastico della villetta, di sentirsi rivolgere sempre le stesse domande, di raccontare al mondo che ora è nuovamente incinta, di annunciare che qualche forma di felicità tornerà a rischiarare la casa? Non fosse per quei giudici ….
c) Ora pensate a una donna che ha appena ucciso suo figlio. Come potrà convivere con quella consapevolezza? Come potrà prendere in mano i suoi giochi, le sue tutine, le sue fotografie? Come potrà guardare in faccia il marito, i familiari? Come potrà guardarsi nello specchio? Come potrà vivere con se stessa?
Si ucciderà, forse. Un bel salto dalla finestra, pochi istanti, e poi la fine di tutto.
Oppure no. Oppure sarà sufficiente tagliare i fili che trasmettono i ricordi. Non sapere più nulla. Samuele un momento prima era lì che giocava. Un momento dopo la sua testina penzolava in modo innaturale, tutta sporca di sangue.
Chi era stato? Chi era entrato dalla porta lasciata socchiusa? Lei non lo sapeva. Al pari di Edipo, non sapeva più di essere lei stessa l’assassina.
Così, solo così, è possibile continuare a vivere.
c) Ora pensate a una clinica. A una psichiatra che incontra per la prima volta una donna che ha ucciso suo figlio e non lo sa più. Quel “non sapere” è una forma di “terapia” di autodifesa dall’orrore. Ma quel non sapere genera mutismo, depressione profonda, buio proondo, tristezza vitale, forse anche gesti autolesivi che esplodono all’improvviso senza alcun motivo apparente. Oppure risvegli in mezzo alla notte con il cuore che scoppia per l’angoscia, con la scena del delitto improvvisamente uscita dal buio, con tutta la verità lì davanti, chiara, lampante.
Perché anche la dissociazione dell’esperienza funziona fino a un certo punto.
d) Pensate al compito di quella terapeuta: dover puntare a ristabilire quella connessione tanto pericolosa, esplosiva, mortale. Dover cercare con prudenza estrema una strada che consenta alla sua paziente di giungere alla verità attraverso un processo graduale e lentissimo, fra mille esplosioni d’angoscia da contenere, fra mille fughe, interruzioni, fra mille ansie anche sue proprie, della terapeuta.
e) Ora pensate a quella donna, braccata dalla Giustizia, da un lato, e dalla Televisione dall’altro. Cadere nelle mani della Giustizia è un incubo che potrebbe avere persino un aspetto consolatorio: da qualche parte ci sarà un piccolo spazio di espiazione, sempre insufficiente, sempre lontanissimo da poter portare finalmente pace.
f) Cadere nelle mani della Televisione è invece, almeno in apparenza, molto più gratificante.
Innanzitutto la Fama: una condizione che non si sarebbe mai sognata.
Forse, persino -orribile a dirsi- persino del denaro. C’è un gettone di presenza per le partecipazioni a Porta a Porta? In fondo, con la presenza di quella donna, diventata improvvisamente una gallina dalle uova d’oro per gli introiti pubblicitari, lo share schizza in alto, e qualcuno si riempie le tasche.
Forse è persino giusto, persino indecente, persino orribile e blasfemo, guadagnare qualcosa. L’uomo non vive d’aria.
g) Ora pensate a quella donna che torna dalla psicoterapeuta. Anzi: che non ci torna affatto. Quella memoria martoriata e spenta, è ora piena di tante idee confuse, di tante ricostruzioni a effetto, del sorriso gentile della signorina che l’ha pettinata e truccata prima di entrare in trasmissione. E come stava bene! Poi quell’abitino nuovo, costato un po’, ma tanto carino. E poi le foto sui giornali. Se non fosse per quei magistrati … Se non fosse perché dopo ogni giornata viene la notte …
Questo era tanto tempo fa. Ora qualcuno ha ammazzato una altro bambino, Loris. Pare che sia stato strangolato con una fascetta elettrica. Uguale a quella che hanno mostrato
in televisione l’altra sera, un momento prima che cambiassi canale.
Fermiamoli. Facciamo sentire la nostra voce di professionisti della Salute Mentale.