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Per sentirci liberi sogniamo una vita animale
Il mondo animale ha, inevitabilmente, un vasto spazio nelle fantasie dell’umanità, espresso fra l’altro nei bestiari medioevali. L’animale condivide con noi una natura fondamentalmente omogenea, tanto che il termine, derivante da anima, ha designato fin dall’inizio ogni essere animato incluso l’uomo. Francesca a Dante Alighieri: “O animal grazioso e benigno che visitando vai per l’aere perso noi che tingemmo il mondo di sanguigno”.
Eppure è anche molto diverso e può essere ostile, un competitore temibile per la sua astuzia e la sua forza da sempre presente nei miti, dal serpente di Eva al Toro divino avversario di Gilgamesh; il toro del resto, come ci mostrano tante opere d’arte di allora, ha mantenuto un posto importante anche nell’immaginario minoico. Così come è fondamentale il concetto di animale – spirito guida nello sciamanesimo; che si cerca di recuperare in certe odierne fantasiose correnti new age che intendono, fra l’altro, sottrarsi così al potere totalizzante della scienza.
E’ verosimile che l’umanità abbia lottato a lungo in competizione con gli altri animali per guadagnarsi l’attuale predominio, anche se la Bibbia lo dava per acquisito fin dal principio dei tempi: Dio stesso gli avrebbe garantito il dominio su di essi garantito anche dalla facoltà di dare loro un nome; nell’ottica dell’articolo di Recalcati, ciò potrebbe esprimere la ricerca di un controllo del mondo istintuale da parte dell’Io con le sue strutture logico – verbali.
Siamo animali fra gli altri o siamo qualcosa di fondamentalmente diverso? Abbiamo sempre oscillato fra queste due visioni. E’ certo che abbiamo prestato ai più diversi animali caratteristiche umane.
In Fedro troviamo il lupo immagine di ferocia unita a ipocrisia, che usa miseri pretesti per divorare l’agnello; l’asino immagine di paziente fatica e sottomissione; la donnola e la volpe con la loro astuzia al servizio di una avidità spesso tuttavia frustrata. Nelle favole dei Grimm troviamo il saggio e benevolo pesce che, graziato dal pescatore, lo benefica finchè si stanca della sua avidità; l’avido e feroce lupo di Cappuccetto rosso, e quello dei sette capretti; i Musicanti di Brema, asino, cane, gatto e gallo che ci insegnano la collaborazione con divisione dei compiti.
Il Principe ranocchio ci mostra la trasmutabilità dell’uomo in animale e viceversa; il gatto e il topo, classicamente, lo scontro fra forza e astuzia. Al serpente si tende ad attribuire astuzia non sempre malevola e perfino saggezza pedagogica anche perché, dopo tutto, quello della Bibbia voleva che gli umani progredissero nella conoscenza; nella fiaba “Le tre foglie della serpe”, questa ha poteri taumaturgici; e ne “La serpe bianca” chi la mangia ottiene di capire il linguaggio degli animali, superando lo iato che da loro ci divide (è questo un incontro che abbiamo già trovato in S. Francesco che predica agli uccelli). Oggi questo filone si va sviluppando con la diversa considerazione etica del nostro atteggiamento verso gli animali, fino al divieto, sempre più introiettato da molti, di cibarsi delle loro carni.
Il collocare parti della nostra mente in un animale si può definire proiezione? Non so, perché questa includerebbe un bisogno di negare l’appartenenza a me di tali parti, e di solito non è questo il caso in molte delle favole di animali: mi pare piuttosto una sorta di rispecchiamento, non privo di una intenzione pedagogica.
Ci si può trasformare in animali, con conseguenze drammatiche come nel mito del licantropo. Nelle Mille e una notte un Califfo si trasforma volontariamente in cicogna, usando la parola magica “Mutabor”, ma dimentica questa parola e rimane cicogna per lunghi anni: ancora una volta, è la parola lo strumento necessario al controllo. Anche nella metamorfosi di Kafka l’aspetto forse più tragico è la sopravvenuta incapacità di parlare un linguaggio umano, che se fosse ancora disponibile consentirebbe forse di mitigare le conseguenze dell’aspetto ripugnante. Lo stesso Kafka in “Una relazione per l’Accademia” ci mostra il percorso inverso: una scimmia che diventa uomo passando per la acquisizione del linguaggio. Ma per questo Autore l’animale può essere anche immagine di spietata ferocia: in un brevissimo racconto – L’avvoltoio – riprende il mito dell’uccello da preda che martirizza Prometeo.
Nella realtà quotidiana del rapporto con gli animali e in particolare con quelli che sentiamo più vicini – cani, gatti, cavalli – incontriamo atteggiamenti espressivi che ci ricordano i nostri, e che ci appaiono quindi comunicazioni decifrabili: ogni volta possiamo chiederci se ciò è vero o se stiamo lavorando di fantasia su somiglianze casuali e superficiali, per rendere illusoriamente più forte il rapporto. La risposta non è agevole; e comunque in ogni comunicazione significativa quanto è presente nel messaggio in partenza e quanto il ricevente vi inserisce nel decodificarlo?
Certo è che il rapporto con gli animali, a livello sia di fantasia che di prassi, rientra nel discorso generale del rapporto con il diverso da me: diverso da me ma non del tutto. Anche qui resta lo spazio per un possibile incontro e per aspetti di condivisione: sta a noi, se ci riusciamo e lo vogliamo, trovarlo e utilizzarlo.