L’uccisione di Giulia Cecchettin da parte dell’ex fidanzato ha provocato uno sdegno smisurato e ha spinto tante donne a scendere in piazza con una forza e una durezza originali. Soggetti ingovernabili e senza paura, capaci di urlare di voler bruciare tutto.
Finalmente è apparso chiaro che la strage di cento donne nel 2023 non è riducibile alla pazzia, a uomini etichettabili di volta in volta come mostri o bravi ragazzi, ma che è una questione sociale, politica e culturale.
Il monito di De André, “siamo tutti coinvolti”, ovviamente riguarda per primi i maschi e la discussione sul patriarcato aiuta ad approfondire una discussione che è solo all’inizio.
Molte voci intelligenti hanno espresso pensieri originali anche non consonanti, da Ida Dominijanni a Maria Luisa Boccia, da Massimo Cacciari a Massimo Ammanniti, da Sarantis Thanopulos a Vito Mancuso.
Leggere i nomi delle donne uccise, le loro età (tante anziane), le modalità dell’uccisione, i suicidi degli assassini, offre uno spaccato di una società disperata e priva di amore, ricca di odio e di violenza.
Sento l’inadeguatezza di tutte le proposte, certamente lodevoli, sulla prevenzione. La difficoltà è legata alla necessità di cambiare un modo di relazioni tra i sessi, di vivere la sessualità senza potere e dominio.
Quello che mi è chiaro è che l’esplosione di tanta ferocia non può trovare giustificazione nella infermità mentale o nella seminfermità mentale.
Strategie difensive comprensibili, in realtà non aiutano gli autori del reato a prendere consapevolezza del delitto, del suo significato e delle conseguenze sociali. Proprio in queste occasioni va valorizzata la proposta di cambiare il Codice Rocco, di eliminare la non imputabilità per incapacità di intendere e volere. Il richiamo alla responsabilità è davvero salutare e terapeutico per i parenti e le amiche e gli amici delle vittime e per i carnefici e le loro famiglie.
Filippo Turetta avrebbe detto negli interrogatori: “Volevo che Giulia fosse soltanto mia” e “Ho perso la testa”. Va aiutato a trovare altre parole e a dare un senso alla sua vita senza ricorrere a perizie assolutorie che renderebbero un dramma in una mistificazione.