La guerra in Ucraina continua a ferirci profondamente, un teatro di atrocità quotidiane che non accenna a placarsi. Questo conflitto, il più devastante in Europa dai tempi della Seconda Guerra Mondiale, semina morte e distruzione, intrappolando due intere nazioni e i loro alleati in una spirale di violenza senza fine. Ogni giorno, i notiziari portano notizie di bombardamenti, città ridotte in macerie e vite spezzate, notizie che ormai scorrono come sottofondo, ma che, nonostante tutto, riescono ancora a scuoterci nell’intimo.
La storia del duello tra due soldati
Recentemente, il racconto di un episodio letto in un articolo di un famoso quotidiano ha catturato la mia attenzione, perché parlava di umanità in guerra: un soldato ucraino, durante uno scontro corpo a corpo con un soldato russo, ha documentato con una videocamera la lotta disperata che si è conclusa con entrambi i contendenti gravemente feriti, e purtroppo con l’agonia del militare di Kiev. L’ennesima storia orribile di guerra, a ciò che ha reso questo episodio per me incancellabile è stato ciò che è accaduto dopo. Il soldato ucraino, consapevole di essere mortalmente ferito, ha chiesto al nemico di lasciarlo morire in pace, complimentandosi con lui per la sua abilità. Il soldato russo, ferito anch’egli, ha ricambiato i complimenti, onorando il coraggio del suo avversario prima di allontanarsi.
Un barlume di umanità in guerra
In quel breve scambio di parole, ho intravisto un barlume di umanità che resiste anche nel cuore della guerra. Per un attimo, quei due individui, due esseri umani che, esaurito il loro ruolo di pedine in quello strano connubio tra Ares e Afrodite che Hillman cita come causa della perpetuazione della guerra nelle vicende umane, si erano finalmente resi conto di essere anche due persone con un inconscio personale. Due persone che potevano svincolarsi dalla ferocia che costringe a odiare il nemico a tutti i costi, come se fosse un mostro. Quei due ragazzi, probabilmente neanche trentenni, che avevano deciso di sacrificare la loro vita in quel duello mortale, si scambiano negli ultimi istanti parole di rispetto.
Questo mi ha ricordato un episodio appartenente ormai a un’epoca lontana: durante la Prima Guerra Mondiale, nel freddo inverno belga del 1914, la notte del 24 dicembre, dalle trincee tedesche si levò all’improvviso un canto di Natale, a cui i nemici inglesi risposero senza esitazione. In pochi minuti entrambi gli schieramenti abbandonarono le loro postazioni per incontrarsi nella terra di nessuno e scambiarsi piccoli doni, come qualche sigaretta e un po’ di cioccolata. I soldati nemici fraternizzarono per un giorno, parlando rispettivamente delle loro famiglie e, a quanto pare, organizzando anche una piccola partita di calcio di Natale tra le due nazioni. Purtroppo, quando la notizia si diffuse, i comandi delle due potenze interruppero senza indugio i contatti tra le truppe, e quell’episodio non si ripeté fino alla fine della guerra.
Ogni soldato è un uomo con delle emozioni
Questi momenti di tregua, per quanto rari e fugaci, ci dicono molto. Ci ricordano che, sotto la divisa, ogni soldato è un uomo con una storia, delle emozioni, dei legami. Non possiamo cancellare la guerra dalla storia umana, ma possiamo cercare di indebolire la forza dell’odio che essa alimenta. Carl Gustav Jung scriveva che il popolo tedesco, durante il nazismo, era stato sopraffatto da un movimento collettivo che lo aveva condotto verso il suo Ragnarok, l’apocalisse della mitologia norrena, dove gli stessi dei vengono condotti dal loro padre Odino alla battaglia che causa la loro distruzione totale. Essere consapevoli di queste forze può aiutarci a scegliere di non identificarci completamente con il pensiero di massa e, forse, a riscoprirci come individui.
Uno scambio di rispetto tra due soldati o una tregua improvvisata non cambieranno il corso di una guerra, ma possono ricordarci che la speranza esiste ancora. Anche nel caos della distruzione, l’umanità può emergere, fragile ma luminosa, come una fiamma che, per quanto piccola, riesce a rischiarare l’oscurità.
Da Ludovico Ariosto:
O gran bontà de’ cavallieri antiqui!
Eran rivali, eran di fè diversi,
e si sentian degli aspri colpi iniqui
per tutta la persona anco dolersi;
e pur per selve oscure e calli obliqui
insieme van senza sospetto aversi
Bellissimo ma difficile anche allora; purtroppo più difficile adesso. “Grazie” alla tecnologia uccidiamo a distanza, e su scala maggiore. Sempre più spesso non vediamo in faccia il nemico, nè il suo sangue: mentre aumentano le dimensioni degli stermini, le occasioni di incontro e di richiamo alla comune umanità, come quello felicemente descritto da Giuseppe Caserta, divengono più rare e forse lo diverranno sempre più…
Ho conosciuto tramite Apeirogon di Mc Cann una piccola ma bella realtà israeliana, che tent di rispondere a questo richiamo: una Associazione, Combattenti per la pace, organizza una attività di gruppo, Parents circle, dove si incontrano arabi ed ebrei che hanno perduto un familiare in questa eterna insensata guerra. E’ possibile che lì all’odio e alla volontà di vendetta si sostituisca una condivisione del comune dolore.
Realtà assolutamente minoritaria: ma nel buio fitto anche una piccola candela accesa può aiutare