In questa torrida estate, tra servizi sull’afa opprimente e notizie sulle performance degli atleti alle Olimpiadi, si è consumato un altro femminicidio: la tragica morte di Sharon Verzeni, una giovane donna forse un po’ riservata, ma la cui vita era in gran parte simile a quella di ognuno di noi. Ciò che ha reso questo caso particolarmente inquietante è stata l’apparente mancanza di moventi tra le persone che la conoscevano, incluso il suo compagno, che era rimasto a dormire in casa, e l’incredibile abilità dell’assassino nel non farsi riprendere dalle telecamere di sorveglianza del quartiere. Le indagini si sono svolte rapidamente e hanno portato alla luce un esito tanto scontato quanto spaventoso: Sharon Verzeni è stata uccisa apparentemente senza motivo, da un perfetto sconosciuto, solo perché si trovava a passare per quella strada.
Un evento inspiegabile quanto terrorizzante, perché non possiamo spiegarcelo.
L’incessante ricerca di una motivazione
Spesso siamo ossessionati dal tentativo di scoprire le motivazioni dietro ciò che accade, nel vano tentativo di esorcizzare la paura e mantenere il controllo. Tuttavia, molte volte dobbiamo arrenderci all’evidenza che non esiste una causa specifica, o che magari c’è un insieme di circostanze, e che molto spesso ciò che ci accade si intreccia con la nostra vita senza alcuna azione consapevole da parte nostra.
Molti pazienti con gravi patologie organiche, come il cancro o lo scompenso cardiaco, si chiedono “Perché a me? Cosa ho fatto per meritare questo?”. Anche chi soffre di disturbi psichici spesso cerca disperatamente di individuare la causa del proprio malessere. Per uno psicoterapeuta, è spesso difficile offrire una risposta univoca: non esiste una causa singola, ma piuttosto molte concause, e resta un compito arduo formulare una teoria esaustiva sull’origine di una depressione o di una difficoltà relazionale. Quando mi trovo ad affrontare queste situazioni in studio, mi torna alla mente ciò che affermava Jung: la cosa più importante è chiedersi sempre quale sia il senso che quell’evento assume nella vita della persona.
L’assenza di senso
Da questa prospettiva, anche una malattia può trovare una risposta, e persino un attacco di panico può avere uno scopo, spingendoci a riflettere e a cambiare interiormente. A volte, accettare che le cose accadono senza un motivo preciso è l’unica risorsa che ci resta per trovare un senso e capire come gestirle. Certo, questo non cancella un omicidio brutale, così come non attenua l’impatto di una diagnosi infausta, ma permette di attribuire un significato esistenziale e di riflettere sui grandi temi, come la morte, che inevitabilmente ci riguardano tutti.
Se, come sostiene Yalom, la consapevolezza dell’impossibilità dell’individuo di far fronte all’angoscia esistenziale è l’inizio della patologia, allora dobbiamo ampliare il nostro orizzonte il più possibile. In questo modo, anche se un misterioso sconosciuto ci ferisce metaforicamente con il suo pugnale, possiamo cercare di curare la ferita o sopravvivere nonostante la menomazione, senza dover necessariamente trovare l’assassino.