Durante un recente viaggio natalizio in Vietnam, ciò che mi ha impressionato più di ogni altra cosa non sono state solo le bellezze naturali o la straordinaria cucina, ma soprattutto il sorriso della gente. La gioia che si riflette negli occhi dei vietnamiti quando incontrano uno straniero è qualcosa di speciale: un sorriso che trasmette fiducia, apertura, curiosità e autenticità.
Nonostante molti vivano in dignitosa povertà, con l’indispensabile per sopravvivere, possiedono una capacità di accoglienza mai invadente. È sorprendente come un popolo che ha affrontato invasioni, colonizzazioni e atrocità da parte delle maggiori potenze mondiali, dai francesi agli americani, sia riuscito a non serbare rancore. Invece di chiudersi, ha scelto la fiducia e un desiderio trasparente di relazione, dimostrando una lezione di umanità rara e preziosa. Questa capacità di resistere senza cedere alla rivalsa contiene una profonda lezione psicologica e spirituale: forse è proprio l’assenza di vendicatività a rendere questo popolo così gioioso e aperto, nonostante il peso di una storia che avrebbe potuto generare solo odio.
Spiritualità e connessione con la terra in Vietnam
Ovunque in Vietnam, ci si imbatte in templi e altari, simboli di una spiritualità viva, profonda. Ogni angolo nasconde un luogo di preghiera: un tempio colorato, un piccolo altare dedicato a una divinità, o semplicemente un albero decorato come omaggio alla natura. Questa profonda connessione con il divino è palpabile e, a differenza di molti luoghi dove la religione è diventata strumento di potere, qui appare ancora in tutta la sua purezza.
La notte di Natale, la grande cattedrale di Nhà thờ di Hội An non riusciva a contenere la folla, che si estendeva nella piazza e nelle strade circostanti. Sebbene non comprendessi nulla della funzione, quando tutti insieme cantavano parole a me sconosciute, ho percepito qualcosa che in nessuna celebrazione natalizia occidentale ho vissuto con una simile intensità: l’autentico contatto del popolo con Dio. Nelle vibrazioni di quei canti, ai quali tutti partecipavano con un’intensità commovente, ho avvertito il soffio dello Spirito.
I vietnamiti vivono, mangiano, dormono e pregano vicini alla terra, all’humus. È in questa vicinanza alla terra, questa umiltà radicata nella loro vita quotidiana, che forse risiede la chiave della loro gioia, una gioia priva di odio. Sono persone che, pur tra le difficoltà e le sofferenze, mantengono una serenità pacifica, un cuore privo di risentimento, un atteggiamento di accettazione che sembra emanare direttamente dalla loro connessione profonda con la terra che li sostiene, li nutre e appartiene a tutti.
Questa connessione è rafforzata anche dal contatto interpersonale: la cultura del massaggio, ampiamente diffusa in Vietnam come in molti paesi del sud-est asiatico, contribuisce alla coesione sociale e al benessere sia corporeo che mentale.
Trump e le minacce di annessioni: un contrasto stridente
Rientrando in Occidente, non ho potuto fare a meno di notare il contrasto stridente tra il sorriso del Vietnam e il volto crudele delle retoriche imperialiste di Trump, riemerse durante la conferenza stampa del 7 gennaio a Mar-a-Lago. “Per la sicurezza nazionale e la libertà nel mondo, gli Stati Uniti ritengono che il controllo della Groenlandia sia una necessità assoluta”, ha dichiarato. Lo stesso vale per il canale di Panama, inoltre secondo il neo-presidente, il Canada dovrebbe diventare il 51° stato degli USA, da annettere usando la pressione economica dei dazi.
In quella stessa conferenza, Trump abbraccia la linea neo-imperialista di Putin e, allo stesso tempo, stabilisce il prezzo della protezione americana per l’Europa dalla minaccia imperialistica sovietica: “I Paesi NATO dovrebbero aumentare la spesa al 5% del PIL”. Nel frattempo, intimidisce i cittadini europei con l’idea di invadere militarmente l’Unione Europea di cui la Groenlandia è parte integrante. Non è forse ciò che fanno i mafiosi, che pretendono il “pizzo” per “proteggere” coloro a cui vogliono estorcere soldi?
Il Vietnam insegna che la vera forza non risiede nella prepotenza, nell’avidità espansionistica o nelle mire di invasione e colonizzazione dell’altrui proprietà, ma nella capacità di resistere senza mai perdere la propria dignità: un piccolo paese ha affrontato e sconfitto le potenze imperialiste con l’amore per la libertà, l’indipendenza e la spiritualità.
Una lezione universale
La storia del Vietnam è una lezione per il mondo intero. Mentre alcuni tra i maggiori leader del mondo continuano a rinfocolare politiche di annessione e sfruttamento, il Vietnam ci ricorda che la gioia e la serenità nascono dal perdono e dalla resilienza. Il sorriso del popolo vietnamita è un simbolo di ciò che l’umanità può raggiungere quando si sceglie di abbracciare la pace invece dell’odio. Questo viaggio ha alimentato il profondo legame che mi connette al Vietnam, un paese che non solo ha resistito alle mire colonialiste, ma ha saputo trasformare il dolore in forza, il conflitto in serenità. In un mondo minacciato dal ghigno feroce e prepotente dei leader imperialisti, il sorriso del Vietnam rappresenta una speranza e una lezione universale: la vera grandezza risiede nella capacità di costruire relazioni autentiche, di resistere senza odio e di vivere con dignità e spiritualità.
E’ vero, una delle lezioni sulla assurdità della guerra è proprio la lunga vicenda del Vietnam, quando gli USA hanno a lungo tentato di costringere quel paese a subire governanti loro graditi. Erano ispirati (in buona o cattiva fede) dalla infausta “teoria del domino”, secondo cui se il Vietnam diveniva comunista altri paesi lo sarebbero necessariamente diventati, uno dopo l’altro, in una catena destinata ad avvinghiare l’intero globo imponendovi crudeli dittature. Oggi ci si va tranquillamente in vacanza, magari spendendo benvenuti dollari!
Naturalmente, nessuno va idealizzato, neppure i vietnamiti: appena vinta la guerra di liberazione hanno invaso la Cambogia – pur guidata dalla stessa loro ideologia e già loro alleata in quella guerra – occupandone vaste zone fino alla Capitale, e affrontando e reprimendo una vasta guerriglia partigiana. Sempre naturalmente, avevano buone ragioni, oltre a certe dispute di confine: il regime cambogiano dei “Khmer rossi” , versione particolarmente feroce della comune ideologia – guida, pare fosse indifendibile. (E poi si sono difesi molto bene da un attacco della Cina).
Ci libereremo mai della guerra come strumento decisionale nelle controversie e divergenze internazionali? Ogni Stato gestisce e controlla la violenza al proprio interno, ma non subisce a sua volta controlli; e forse non può subirli (al di là delle imposizioni che arrivano da uno Stato più forte). I tentativi di istituire e sostenere regole tramite entità sovranazionali – Società delle Nazioni, ONU – hanno ampiamente dimostrato i loro limiti.
Problema, purtroppo, attualissimo