Due storie di vita quotidiana
La comunicazione tra sani e malati
La prima è di ieri.
Livia 60 anni, grave depressa con un lungo passato in clinica e nei vari presidi e tuttora in un centro diurno, viene con un regista, videomaker, una giovane psicotica Silvia, un altro ospite di comunità terapeutica, Valter, e una volontaria in un centro per gravi Handicappati fisici, deve riuscire a fare delle domande, completamente libera a quei pochi che rispondono, il centro è molto bello, c’è una piscina speciale e Silvia e Livia iniziano le loro interviste, Valter e il regista riprendono da lontano. Nella piscina due gravi pazienti vengono immersi. Silvia entra con loro e chiede come si sentono e uno risponde che è bello poter muovere le gambe, cosa che non fa sulla terra.
Da lontano viene ripreso il volto commosso di Silvia. Livia interroga e commenta, è entusiasta di questo suo ruolo di aiuto. Domande scambi risate, pranzo coi famigliari. (I pazienti sono troppo gravi e mangiano prima un vitto adatto a loro) Livia ha di nuovo la testa china e un parente le chiede cosa hai. Sono depressa da sempre è la mia malattia, dipendo da tutti. L’altro risponde ma via cosa vuoi che sia la depressione si cura.. con un po’ di volontà!!
Livia pensa –tua figlia cammina? Non ha volontà?
Non dice nulla. Oggi ritorna per concludere il video. Un video che rappresenterà la comunicazione tra sani e malati e tra malati e malati.
E’ crudele? O forse dice semplicemente che i malati non sono banali mentre i sani lo possono essere tranquilli di aver ragione.
E che Livia ha pensato, non ha parlato. Ha pensato che non poteva dire una cosa del genere ma che la sua rabbia doveva tenersela.
Seconda storia
Sono in un parco pubblico. E’ una festa. Più persone, ci sono dei banchetti di Associazioni di volontariato verso la più diversa utenza, anche psichiatrica, bambini giocano, vicino a un banchetto arriva una persona che mi parla, mi parla di sua figlia, è un fiume di lamentele: è in una comunità terapeutica, è ingrassata, non lavora, non fa niente, dorme fino a mezzogiorno, e la scuola? Il suo futuro?, e le medicine che la rovinano? E la mancanza di volontà che la comunità le favorisce, sono muta, non ho il tempo. Da dietro il banchetto esce Chiara, 50 anni, lungo periodo in comunità, lì per dar voce all’Associazione. Ancora in cura. Posso parlare Roberta, certo. Guardi, io sono una malata, cioè ex utente, in comunità dormivo fino a tardi non riuscivo a fare altro, poi dopo no, ma lei sa non si rende conto, come i miei genitori, che sua figlia è malata, e non lo vuole accettare, mica posso essere in forza se sto male, mia cara, e non creda che sua figlia ritorni come vuole lei, perché la malattia segna, mi guardi, io sto bene, ma non sono passata indenne dalla malattia, insomma sua figlia è malata lo accetti, e starà meglio lei e sua figlia, e accetti . Io sono andata via dalla città dei miei, hanno accettato.
La persona scosta lo sguardo da Chiara, mi guarda e si allontana.
Roberta ho sbagliato?
No perfetta. Tempo tempo.
Torniamo al banchetto
E’ crudele? No mostra l’estrema sofferenza di un famigliare e la grande saggezza di una esperta per esperienza
L’ascolto dei pazienti insegna e Roberta ce lo dimostra in un momento in cui continua il gioco della falsa attenzione a bisogni reali e concreti dei nostri assistiti , i ricoverati in Opg lo dimostrano, così come i nostalgici del manicomio d Quarto.