EVOLUZIONE IN LIGURIA:
L’onda del cambiamento giunge anche nella nostra regione. Dal 1963 in poi a Quarto e poi a Pratozanino si registrano alcune timide iniziative: una ridotta attività di terapia di gruppo, inserimento di una assistente sociale. Il personale medico diviene in parte più consapevole e meno tollerante delle infelici condizioni in cui deve operare. Nel 1971 i medici di Pratozanino inviano alla Amministrazione Provinciale una dettagliata relazione fortemente critica su molteplici aspetti: ubicazione dell’O.P; dimensioni e struttura dei reparti; insufficienza qualitativa e quantitativa dello staff; mancanza di strutture intermedie e di continuità terapeutica. L’Amministrazione risponde elogiando la relazione, definendola “esempio di costruttiva collaborazione” e garantendo un impegno a provvedere in qualche modo.
E’ tristemente suggestivo rilevare che analoga relazione era stata inviata dal corpo sanitario nel 1909 (!) ottenendo analoga risposta. Ma è ovvio che le scelte o non scelte della Amministrazione non potevano essere addebitate in esclusiva alla stessa, che agiva nel contesto politico e culturale dell’epoca in cui si richiedeva alla follia di non turbare in alcun modo un già difficile ordine sociale: ad esempio, un tentativo di aprire una succursale per 150 “dementi tranquilli” ad Albaro, luogo allora extraurbano ma sede di ville signorili, nel 1885 era fallito causa la vibrante opposizione degli autorevoli vicini: la Marchesa Scilla Ruffo vedova Carrega, Carlo Bombrini, la Superiora dell’attiguo convento delle Marcelline, il Parroco di S. Francesco, tutti ben decisi a non tollerare un simile vicinato e forti anche di un parere tecnico richiesto nientemeno che a Lombroso .
Tornando a noi, sul finire degli anni ’60 qualcosa si muove: in un timido profilarsi di un’ottica territoriale Pratozanino viene liberato dalla funzione di “scolmatore” di Quarto, con assegnazione invece di una zona da servire: oltre all’intera Provincia di Savona, la parte di quella di Genova che giunge fino a Cornigliano.
Ma è solo nei primi anni 70 che inizia un dibattito sempre più acceso e coinvolgente. Il 29/11/73 la Amministrazione provinciale insedia una commissione di indagine formata da Franco Basaglia, il Pretore Pier Andrea Mazzoni, il titolare della Cattedra di Psichiatria Franco Giberti. Si costituiscono intanto all’interno dei due O.P. i C.O.S. o Consigli Operatori Sanitari (ricordiamo che Soviet vuol dire consiglio). Sono organismi semi-spontanei costituiti sia da medici che da infermieri, e che dai Sindacati – che stilano un libro bianco unitario – riscuotono una attenzione alquanto ambivalente; riescono comunque a porsi come interlocutori della Commissione. Questa propone, quale principale provvedimento, una settorizzazione dei due O.P.: alla distribuzione dei pazienti reparto per reparto basata sul comportamento se ne sostituisce una fondata sulla provenienza territoriale. La proposta viene accolta e attuata, dopo appassionate discussioni.
Nelle elezioni del 1975 il PCI ottiene la maggioranza relativa e, in una Giunta Provinciale presieduta dal socialista Magnani, può collocare all’Assessorato all’assistenza lo psichiatra Lamberto Cavallin. La nuova giunta incoraggia i cambiamenti in corso, pur contenendo le spinte autonomiste di base che avevano assunto aspetti paradossali e poco realistici: un collega molto progressista proponeva non che il C.O.S. chiedesse un incontro agli esponenti della Amministrazione, ma che “li convocasse”. Dal canto suo il Dr Cavallin: “Mi sembra che il C.O.S. pensi di essere diventato l’esecutivo”.
Ma soprattutto l’esito elettorale pare preannunciare un radicale cambiamento degli equilibri politici anche nazionali.
Sono intanto entrati nello staff nuovi protagonisti, medici, psicologi, assistenti sociali, che non hanno alle spalle una lunga carriera manicomiale, e che in parte entrano nell’istituzione con la precisa intenzione di modificarla (qualcuno proviene dall’esperienza pilota di Arezzo). Sono momenti di fermento e di contrasti, momenti che si ricordano. Quasi nessuno prende ormai apertamente le arti della conservazione; ma c’è chi di fatto la difende frapponendo difficoltà più o meno pretestuose, chi ritiene che il cambiamento sia perseguibile con pazienti mediazioni e compromessi, chi è decisamente più combattivo, a parole o nei fatti. L’ideologia libertaria che sostiene il cambiamento riguarda anche, come del resto nell’intera società civile, anche l’area dell’Eros ritenuto portatore di valenze anche politiche di libertà: “il personale è politico”. Le interazioni dello staff divengono alquanto movimentate anche sotto questo aspetto. Esso è fonte di contrapposizioni anche quanto alla gestione delle pazienti, le cui possibilità di soddisfazione sessuale – certo soggette anche a forti inibizioni interne – erano state fino allora conseguibili, di massima, solo con comportamenti masturbatori o omosessuali: da un lato appare sempre più ingiusto imporre anche questo tipo di privazione, dall’altro si teme di incorrere nei rigori della legge qualora qualche fatto (in particolare la temutissima gravidanza) configuri il reato di violenza carnale presunta, con conseguente accusa al sanitario di colpevole acquiescenza e mancata tutela.
Meno variegata la posizione degli infermieri, che solo in qualche ridotta avanguardia favoriscono il cambiamento: la più parte lo teme, o per inconfessato timore di inadeguatezza personale tecnica ed emotiva, o per quello di perdere il posto di lavoro o di essere assegnato a destinazioni lontane e scomode. Tuttavia in qualche reparto si riesce ad avviare un embrionale lavoro territoriale.
E’ in questo quadro che si giunge alla riforma psichiatrica.