Vaso di Pandora

Sindrome di Cassandra, riconoscere e affrontare le difficoltà di credibilità

“Non ce la farò mai” o “andrà tutto male”, queste sono solo due delle tipiche affermazioni caratteristiche di chi soffra della cosiddetta sindrome di Cassandra. Nel tempo, il mito di Cassandra, proprio come quello di Pigmalione per l’effetto Pigmalione, quello di Edipo nel complesso di Edipo individuato da Sigmund Freud o quello di Medea da cui ha preso il nome la sindrome di Medea definita da John W. Jacobs, è stato preso in prestito dalla psicologia. Cassandra identifica una persona pessimista, con visioni catastrofiche e malauguranti, vittima delle sue stesse aspettative negative. Per chi soffre di questa sindrome il futuro è categoricamente negativo e non ci si può far niente. Quel che può andare male, ci andrà. Approfondiamo la condizione.

Il mito di Cassandra

Nella mitologia greca, la celebre Cassandra era figlia di Ecuba e Priamo, re di Troia. Era una giovane talmente bella che persino il dio Apollo si innamorò di lei. Questi, per indurla a concedersi, le fece il dono della Profezia. Era infatti certo che la ragazza sarebbe rimasta estasiata dalla capacità di predire il futuro e affascinata da chi gliela aveva donata. Cassandra, però, si negò ad Apollo, causando in lui una profonda delusione che, presto, mutò in ira. La divinità allora si vendicò, rendendo inefficace il dono che le aveva fatto in precedenza, senza annullarlo del tutto. Cassandra continuò a prevedere il futuro, prennunciando soprattutto tragedie ed eventi catastrofici, ma non fu più creduta. Fece tante profezie su futuri eventi negativi ma le sue previsioni non furono mai considerate vere, sebbene lo fossero. 

Definiamo la sindrome di Cassandra

Sindrome di Cassandra: un uono deluso
Chi soffre della sindrome di Cassandra si sente inutile e inadeguato

Dal punto di vista psicologico, il mito di Cassandra si deve al filosofo francese Gastón Bachelard. Ne scrisse per la prima volta nel 1949, quando descrisse persone che fanno previsioni sul futuro, generalmente catastrofiche, alle quali gli altri non credono. La reazione della Cassandra è allora quella di provare un forte sentimento di svalutazione e maturare pensieri di inadeguatezza e inutilità. Bachelard definì anche le caratteristiche principali della vittima del complesso di Cassandra, la quale sperimenta:

  • bassa autostima e depressione;
  • paura e timore;
  • desiderio di mettersi costantemente alla prova.

La sindrome di Cassandra, in psicologia, è una patologia. Porta a formulare sistematicamente profezie avverse sul proprio futuro, o su quello degli altri. Coloro che soffrono di questo complesso, alla lunga, perdono credibilità di fronte alle persone che sono parte della loro cerchia sociale e finiscono per non riuscire ad amare se stessi, dal momento che perdono tutta la propria autostima. Questo porta, molto spesso, a sviluppare una forma di depressione reattiva, oltre che una profonda frustrazione dovuta a incapacità di agire prontamente ed efficacemente.

Le carenze affettive subite durante prima e seconda infanzia originano inevitabilmente un’identità che si basa sulla ricerca dell’approvazione altrui, la mancanza di autostima e la tendenza a farsi carico di ogni responsabilità. Questo provoca nel soggetto una costante autosvalutazione. Chi soffre della sindrome di Cassandra convive con una paura che non lo abbandona mai. La prova in ogni circostanza e vive con una forte frustrazione, dovuta proprio al fatto che non riesce a liberarsi del timore. Sviluppa generalmente la cherofobia, temendo sempre che succeda qualcosa di brutto. Non vedendo vie d’uscita assume un atteggiamento passivo, rinunciatario e pessimistico, arrivando a credere di essere incapace di esercitare una qualunque influenza sull’ambiente sociale cui si riferisce e nel quale si ritrova. Le cause di questa sindrome, dunque, non dipendono esclusivamente dagli altri ma sono anche legate all’infanzia del soggetto.

Superare la sindrome di Cassandra

Si può guarire dalla sindrome di Cassandra? Sì, la buona notizia è che è possibile uscirne. Farlo non è però così semplice. Innanzitutto, è importante fare un viaggio nel passato e nella propria storia, per comprendere a cosa si debba lo schema di pensiero disfunzionale che caratterizza questa situazione. È possibile acquisire consapevolezza del fatto che i sintomi non siano imbattibili. Alleniamoci a sostituire quelle che sono le nostre profezie catastrofiche, ovvero le aspettative negative verso il futuro, con delle altre, più legate ai dati della realtà. Gli sviluppi non sono solo ed esclusivamente negativi, esistono anche potenziali esiti positivi. L’ingrediente fondamentale per poter intraprendere questo viaggio è la motivazione: deve essere molto forte perché, altrimenti, finiremo a impantanarci di nuovo nelle sabbie mobili della sindrome di Cassandra.

Questa condizione si può sperimentare anche nei rapporti sentimentali. Se si ha paura che succeda qualcosa di brutto, ci si sente non meritevoli di stima e di amore. Come afferma la psicoanalista Laurie Layton Schapira, chi soffre di questa sindrome tende a soffrire di gelosia e ad avere relazioni tossiche che vertono sulla distanza emotiva. Inoltre, è più propenso a scegliere dei partner che rispecchiano il pensiero di non valere nulla. La situazione è tale che si cerca una conferma della propria miseria e del proprio basso valore, sebbene né l’uno né l’altro rispecchino in alcun modo la realtà. Va da sé che questa sindrome abbassa considerevolmente la qualità della vita ed è necessario uscirne per riprendere in mano la propria esistenza. Lo si può fare anche rivolgendosi alle attenzioni di un professionista.

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