Commento all’articolo apparso su La Repubblica il 10 gennaio 2016
Tema di grande interesse: ma non aderirei ad una alternativa secca fra desiderio sessuale incestuoso e desiderio di verità (contrapposizione a dire il vero presente più nella sintesi del giornalista che nel testo di Massimo Recalcati).
Nel linguaggio comune, l’incontro sessuale ha preso anche il nome (sia pure un po’ desueto) di conoscenza carnale, e nella Bibbia il termine “la conobbe” non lascia spazio a equivoci. Nella Genesi, la valenza metaforica attribuita al frutto proibito è la conoscenza del bene e del male; ma tale interpretazione ha lasciato ampio spazio alla fantasia che rappresenti invece l’incontro sessuale. Ciò, forse perché queste due visioni sono solo in apparenza distanti: la spinta a conoscere e il desiderio erotico hanno una radice comune, e anzi la curiosità può esser legittimamente considerata una delle forme del desiderio.
Donald Meltzer ci offre una visione della lontana origine comune delle due pulsioni. Mostra come la conoscenza porti con sé violente implicazioni relative agli impulsi, rifacendosi anche a Shakespeare: Amleto è impegnato in un processo di dolorosa conoscenza, che porta alla luce un indefinibile malessere: “c’è qualcosa di marcio…”. Per Amleto, questo è l’inconfessato conflitto edipico col padre-zio; ma secondo Meltzer la radice è chiaramente più arcaica, in quel nodo che egli definisce conflitto estetico con riferimento alla risposta appassionata alla bellezza del mondo e della madre: è un conflitto fra la diretta e immediata esperienza del bello e del buono, vissuta nel rapporto col seno, e l’irraggiungibilità dell’interno del corpo materno, che l’infante vorrebbe conoscere più a fondo.
Come nell’Edipo Re, anche nella nostra vita quotidiana la conoscenza che desideriamo è possibile fonte di dolore, che può esserne addirittura la condizione come ci narra il Kafka di “Nella colonia penale”: il condannato potrà finire col decifrare il messaggio-sentenza che gli viene inciso sul dorso, ma la condizione è avere attraversato il dolore: si può giungere a capire, ma non con una semplice lettura asettica e indolore. Si può, ma senza alcuna garanzia: quando l’ufficiale si fa giudice e carnefice di se stesso, la cosa non funziona. Mi pare possibile che a questo apologo si sia ispirato Lacan in quello, citato da Recalcati, dello schiavo-messaggero che porta sulla nuca un messaggio senza poterlo leggere.
La tradizione induistica ci offre un mito ben confrontabile con quello di Edipo, che come questo evidenzia il collegamento fra curiosità, desiderio sessuale, conflittualità generazionale: ma c’è una importante differenza. Ganesh, figlio di Shiva e Parvati, viene colto dal padre mentre guarda la madre svestita e addirittura, in un rapporto di complicità con Parvati, gli impedisce l’ingresso. Lo scontro è inevitabile, ma l’esito è diverso da quello della storia di Edipo: il padre vince, e decapita il figlio. Cedendo alle preghiere della moglie, fornisce al figlio una testa di ricambio, quella di un elefante. L’armonia familiare così si ricompone, a condizione che il figlio “cambi testa”, affermandosi come riconosciuto oggetto di culto, dio fra gli dei, rassicurante elemento dell’establishment.
Molto diverso il destino di Edipo, che dopo l’uccisione del padre conduce e tollera una vita raminga, da sradicato, da “immigrato” cieco che chiede un’accoglienza non sempre accordatagli senza riserve: ma che nell’“Edipo a Colono” conclude il proprio viaggio nella vita con grande dignità, non senza promettere ancora un ulteriore impegno sulla via del disvelamento della verità: “ti svelerò cose interdette alla parola umana, quando saremo laggiù, da solo a solo”.
Tutto questo può essere non soltanto una chiave di lettura della mente individuale, normale o patologica, ma forse anche un mito fondante della cultura occidentale che con la libera ricerca tende a mettere in crisi la soggezione all’autorità; ciò, anche in quello sviluppo dell’approccio scientifico che dopo gli inizi risalenti alla scuola ionica con Anassagora e tanti altri, ancora vivo in Lucrezio ma poi a lungo eclissatosi, si è pienamente dispiegato negli ultimi secoli, e in un parallelismo forse non casuale con una rinnovata ricerca della libertà sessuale.