Vaso di Pandora

Siamo figli anche degli Irochesi

Non siamo più “tutti figli di Manuel”, come diceva Verdone in un celebre film tanti anni fa… Carlo Rovelli torna sulla questione della necessità di conoscere le storie e le tradizioni popolari, insomma la cultura anche degli altri paesi del mondo, non solo dell’Occidente Cristiano. Lo fa con un articolo sul Corriere della Sera, in cui ci racconta che il Capo di una Tribù indiana, Canassetego della nazione degli Onondaga, che faceva parte insieme ad altre cinque Tribù del popolo degli Irochesi, suggerì a Benjamin Franklin l’idea che i coloni potessero formare un’unione di tutte le colonie, cioè che i coloni potessero fare come loro, i “nativi”, avevano già fatto. La sua, infatti, era una delle sei nazioni che costituivano il popolo degli Irochesi.

Siamo nel 1744, prima della fondazione degli Stati Uniti d’America e della promulgazione della Costituzione Americana, che precede la Rivoluzione Francese e tutto il resto.

Gli Irochesi e lo sviluppo dell’organizzazione statuale

Come ci racconta l’Autore, i nativi americani, “i selvaggi” che i film western e la cultura prevalente dell’”uomo bianco” ci hanno insegnato soltanto ad odiare perché levavano lo scalpo a chi uccidevano, etc.etc. e che abbiamo riscoperto con il film: “Balla coi lupi”, in particolare gli Irochesi, hanno avuto un importante influsso sullo sviluppo dell’organizzazione statuale del più forte paese del mondo. 

“Nativi e coloni avevano in comune la nozione di libertà individuale e la l’idea della separazione dei poteri”, ci dice l’Autore. 

Questa affermazione mi fa rabbrividire in un momento, come quello che stiamo vivendo, in cui un presidente del consiglio annuncia alla nazione che l’informativa inviatale da un giudice, che non può indagare su di lei, la mette al corrente dell’ipotesi che, forse, lei e i suoi ministri c’entrano in qualche modo con l’espulsione dal nostro paese di un ricercato dalla Corte Internazionale dell’Aja e con il suo ri-accompagnamento a casa su un aereo di stato e ci comunica, contestualmente, che quanto accaduto può danneggiare l’immagine del nostro paese e, quindi, non va fatto, aggiungo io. 

Le origini delle cose buone

Sottolineo che mi sembra importante tenere conto che le origini delle “cose buone” non vengono tutte dallo stesso lato. Che di cose buone ce ne possono essere anche in campo avverso e che, forse, si tratta solo di prenderle in considerazione, privandoci dei paraocchi che ci costringono a vedere solo quello che viene da una determinata area del mondo.

Allo stesso modo le cose si possono svolgere per quanto riguarda il mondo delle idee.

Torno ai programmi di riorganizzazione dell’insegnamento nella Scuola che puntano ad una maggiore conoscenza del mondo greco-romano, visto che tutto viene da lì.

Non discendiamo solo da greci e romani

L’Autore ci fa capire che non siamo soltanto i discendenti di greci e romani, a cui nessuno nega la loro importanza, ma che, forse, a proposito di come interpretiamo il mondo nel quale viviamo oggi, c’entrano qualcosa anche gli “altri”, i reietti, quelli a cui è stato giusto rubare la terra e portare il progresso, i “nativi” americani, quelli che la natura la rispettavano.

Tutto questo dibattito che cosa centra con Redancia?

A mio parere centra molto: io penso che lo “stile di lavoro” di Redancia, come lo definisce Gianni Giusto, dovrebbe essere preso in considerazione, oggi, nel 2025, da chi si occupa di Psichiatria e e pensa di ri-scrivere una Legge che la faccia funzionare meglio.

Si tratta di prendere in considerazione non soltanto quello che è stato elaborato, in questi anni, dall’Università e da chi lavora nei Dipartimenti di Salute Mentale pubblici., ma anche quanto prodotto dal “privato-convenzionato”.

Sarebbe opportuno prendere in considerazione uno “stile di lavoro” basato sul rispetto della persona e in cui gli operatori, se non si stanno occupando dei pazienti nelle Comunità Terapeutiche, passano una parte del loro tempo ad interrogarsi su come migliorare i processi di apprendimento necessari a rendere gli operatori più giovani in grado di competere con la malattia mentale grave, di non farsene impaurire fino a costringerli a rifugiarsi in una posizione di comodo, lontano dalle sofferenze che ogni utente si porta con sé e, in un modo o nell’altro, tira fuori in CT, finendo per metterli, duramente, alla prova.  

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Commenti su "Siamo figli anche degli Irochesi"

  1. Ringrazio Andrea Narracci , anche per aver ricordato che la Dichiarazione di indipendenza americana ha preceduto – esattamente di 13 anni – la Dichiarazione dei Diritti francese, e l’ha ispirata. I concetti fondamentali sarebbero stati trasmessi da Lafayette, che aveva operato nei due ambiti rivoluzionari, e che nella compilazione della Dichiarazione francese avrebbe avuto l’aiuto diretto di Jefferson.
    I concetti fondamentali della Dichiarazione hanno tardato ad affermarsi in Europa: una cinquantina di anni dopo, Tocqueville nel suo “La democrazia in America” descriveva essa come esempio di assetto “rivoluzionario” in senso lato: qualcosa di perturbante e non facile da capire in una Europa in larga parte dominata da monarchie assolute, con pochi elementi di discontinuità: qualche concessione di Statuto, qualche movimento rivoluzionario di corto respiro.
    Più innovativo, almeno per me, il riferimento all’assetto e ai movimenti delle popolazioni indigene dell’America del Nord, dove imperava l’assetto tribale ( in quella del Sud e nel Messico si andavano affermando entità statali rette da monarchi, poi distrutte dai conquistadores). Il descritto raggrupparsi di alcune di queste tribù poteva forse esser l’iniziale formarsi di entità statali: sviluppo impedito dagli aggressivi immigrati europei.
    Può esser d’aiuto alla riflessione utilizzare Tacito, che in “Germania” descrive una condizione parallela. I c.d. “barbari”. vivevano in assetto ancora tribale in cui cominciavano a formarsi aggregazioni più vaste, premessa della formazione di uno Stato. Ci fornisce innumerevoli nomi di tribù, nomi ormai da noi dimenticati, sostituiti da altri che indicano le nuove più vaste aggregazioni: Alemanni, Visigoti, Vandali, Franchi … e ormai parliamo globalmente di Tedeschi.
    Nella tribù, abbastanza ampi gli spazi di libertà: Tacito ci parla di “libertà dei Germani”, della elettività dei capi che divengono e restano tali solo se danno prova di valore. La schiavitù esiste, ma molto più morbida di quella vigente nell’Impero.
    Mi scuso se sono stato pedante: ma forse trovare aspetti comuni fra spazi e tempi così lontani e fra popolazioni diverse può contribuire a quel rispetto dell’Altro: l’esigenza che Andrea giustamente ci ricorda.

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