Partire…
Ho conosciuto Shykut 3 anni fa, aveva 32 anni, dal Bangladesh. Per 3 anni aveva lavorato presso un fruttivendolo: “era molto bravo e rispettoso” ed ha i documenti. Poi il fratello Nasrul torna in Bangladesh. E’ come se improvvisamente lui si scoprisse solo, fuori di “casa”! Subito ha difficoltà dal fruttivendolo e, poco dopo, i connazionali con cui divideva una stanza all’Esquilino lo mandano via da casa per ospitare un altro migrante. Sono piccoli episodi di comuna esistenza migrante, ma ti dicono che non hai più la terra sotto i piedi e tu cominci a cercare soluzioni possibili per recuperare quella sicurezza che ti da la terra sotto i piedi. Shykut si trasferisce lontano da quel posto, in un’aiuola all’ingresso di piazza Carpegna.
Segna un suo territorio con tante bottiglie e lattine. Pochi metri quadri dove non deve entrare nessuno, e se ti avvicini al confine lui ti scaccia violentemente. E’ il luogo dover salva la sua identità intima e tutto quello che gli serve accade entro quel confine di lattine e bottiglie. Per mesi la gente della piazza gli allunga qualcosa da mangiare. Più volte vengono chiamati i vigli o le ambulanze, ma Shykut non crea problemi: basta lasciarlo nei pochi metri dell’aiuola limitata dalle lattine vuote di birra e Coca-cola. Non è “paura”, ma si tratta di vita o di morte. Gli psichiatri lo chiamano Disturbo Post-Traumatico, e può migliorare anche velocemente perché Shykut è “sano”, ma, dopo che parte il fratello, improvvisamente si è trovato solo oltre i confini di casa sua. Per salvare quote di vita, ha solo sospeso i nessi fra sé e il territorio oltre le lattine.
Con Marta e Giorgia della Sala Operativa Sociale (SOS) del Comune di Roma riusciamo ad entrare, con molta cautela, e una discreta forzatura dei confini, nel suo dominio. Lo portiamo al S. Spirito. E’ sporco e gli abiti persino marci. Servono “rinforzi” per costringerlo ad entrare, ma varcata la soglia del PS, improvvisamente si rassicura!
Si fa una doccia ed accetta i nuovi vestiti tanto che la psichiatra del reparto, ora, riconosce che sta bene e non ha bisogno dell’ospedale! Sarà dimesso il giorno dopo. Per mesi perdiamo le sue tracce, ma un giorno mi chiamano dalla SOS: “dottore, alle Valli sull’Aniene abbiamo trovato un giovane del Bangladesh. E’ in condizioni pietose, ma non vuole farsi aiutare. Sappiamo che lei è riuscito a parlarci quest’estate. Cosa si può fare?”.
All’epoca, e dopo la prima esperienza, non pensavo si potesse fare nulla. Però Marta, Giorgia, Rodolfo della SOS lo vanno a trovare e riescono a riportarlo al SPDC del Policlinico. Dai documenti si scopre una residenza nel 3 municipio e il dott. Antonucci del CSM di via Lablache accetta di occuparsene.
Accompagnato da un amico, Rahman, riesce a ripartire per il Bangladesh dove si sposa. Forse per questo ha ripreso il viaggio per l’Italia: lavorare e mandare i soldi a casa.
…e ripartire
A Natale scorso lo ritroviamo a Roma dimesso dal SPDC di Firenze. Era confuso ed agitato. Ha idee deliranti mistiche. Fabrizio di “Binario 95” cerca di accompagnarlo a Fiumicino dove gli operatori della “Fenice” di Firenze, con cui collaboriamo, gli hanno procurato un biglietto aereo per tornare a casa. Ovvio che non è capace di partire!
Grazie a Fabrizio è possibile ricoverarlo al SPDC del S. Andrea dove, dopo iniziali difficoltà, si riesce a spiegare la situazione e si trova una buona collaborazione in attesa di un trasferimento in una clinica che “si renda disponibile”: Colle Cesarano a Tivoli. Intanto Fabrizio, e Alessia rintracciano connazionali che lo conoscono. Uno di loro, Firoz, ci aiuta a contattare la moglie e il fratello in Bangladesh; Silvia e Teresa di SMES- Italia lo vanno a trovare in clinica. Va a trovarlo anche il dott. Modica del CSM di via Lablache.
Shykut sta meglio e, soprattutto ora chiede un cellulare con cui ricontattare i familiari e i connazionali (è come se accettasse di varcare il confine tracciato dalle lattine a villa Carpegna: oltre le lattine, ora ci sono affetti che puoi ricontattare. Ci sono tante persone che non ti chiedono di mandare i soldi a casa, ma che ti riconoscono il dolore di essere fuori casa …).
Per quanto sia ancora attivo il biglietto aereo di ritorno, dal Bangladesh la moglie e i familiari gli ricordano il progetto migratorio con cui è partito: lavorare in Italia e mandare soldi per la sua famiglia. Shykut (ma anche noi…) rivediamo l’iniziale progetto di semplice rimpatrio. Shykut, dalla clinica ribadisce che non tornerà in Bangladesh, ma rimarrà a Roma ospite dei connazionali dove deve riprendere a lavorare. In realtà è evidente che, per ora, non sia in grado di lavorare e, inoltre: quale lavoro?
Per l’alloggio i connazionali che pure gli vogliono bene, non sono in grado di ospitarlo. Dopo due mesi di ricovero, il 25 agosto dovrà essere dimesso per forza dalla clinica dove tutto il personale si appassiona al suo caso. Mentre pensiamo che non ci siano soluzioni e che saremo costretti a forzare le pretese dei familiari e i progetti di Shykut, i connazionali ci presentano Nassir, un suo amico che fa il cuoco a Mestre. Lo accoglierebbe e lo introdurrebbe come lavapiatti nel ristorante dove lavora. Si ricompone il quadro che non avevamo colto. Capiamo che da Roma, dove era sbarcato dal Bangladesh, cercava di raggiungere l’amico di Mestre che gli aveva promesso un lavoro. Sul treno scoprono che non ha il biglietto: evidentemente, in un territorio troppo ampio, che non ha più i confini familiari, Shykut non sa muoversi; si perde e, come anche tre anni fa, comincia a vagare sostenuto dalla confusione e dal delirio.
Il 25 agosto Alessia ed altri operatori di “Binario 95” l’accompagnano in auto a Firenze dove gli operatori de “La Fenice” lo accompagnano poi a Mestre dove l’aspetta Nassir. Ora Nassir e Shykut ci terranno al corrente di come procede il progetto. Intanto a Mestre cercheremo di contattare il servizio psichiatrico territoriale dove Shykut speriamo possa essere seguito nella gestione dell’attuale terapia farmacologica.
Ci sorprende pensare che Shykut, dopo che il fratello lo ha lasciato solo, abbia continuamente cercato di ritrovare “casa” verso Mestre dove un amico l’avrebbe accolto. Un viaggio evidentemente difficile perché, nella dimensione traumatica, ripeteva l’esperienza di uscita dai confini familiari del Bangladesh. Un viaggio che puntualmente si fermava all’ingresso di villa Carpegna, oppure sulle rive dell’Aniene oppure alla stazione di Firenze.
Noi non lo avevamo capito, ma Shykut in un percorso di tre anni ci ha spiegato che avrebbe potuto abitare qualunque posto fuori dai confini, ma doveva per forza sentirsi “a casa”, altrimenti la “casa” la ricavava lui nell’aiuola di villa Carpegna, o sulle rive dell’Aniene. Per Shykut una serie di servizi (SPDC S. Andrea, Clinica Colle Cesarano, Binario 95, La Fenice, SMES-Italia, CSM di via Lablache…) hanno dovuto collaborare alla fine per diventare “casa”.
La cosa incredibile per noi è l’evidenza che a differenza dei numerosi interventi finalizzati a spostarlo dall’aiuola o dalle rive dell’Aniene, questo intervento è costato molto poco, ma ha richiesto una particolare collaborazione fra servizi. E’ evidente che le collaborazioni non possono essere “opzionali” (ovvero: “ti faccio il favore di…”), ma devono essere strutturali (ovvero: “collaboro con te perché mi costa meno soldi e la collaborazione mi conviene perché mi permetterà di risolvere un problema con meno fatica”). Ovviamente il problema da affrontare è come organizzare e curare una “collaborazione strutturale”. Per ora ci muoviamo come funamboli sul filo della collaborazione opzionale…
PS. (questi giorni si è parlato molto di un nigeriano di 21 anni che si è insediato di forza in un letto di un reparto maxillo-faciale obbligando i medici ad operarlo. La notizia sarebbe che un ennesimo barbone occupa un letto di ospedale in modo violento ha aggredito un poliziotto… In realtà quel giovane aveva già fatto la stessa cosa tre mesi fa e più volte si era recato a “Binario 95” minacciando gli operatori i quali dopo chiamata la polizia e il 118 non succedeva niente. In ospedale, sotto la sua minaccia, lo hanno visitato e gli hanno detto che “stava bene”! Alla fine aggredendo il poliziotto è riuscito a farsi accogliere almeno dal carcere! Nel semplice registro psicologico è evidente la sua richiesta di cura che, una organizzazione che usi solo il registro concreto e di respingimento, non riesce a cogliere obbligando la persona ad alzare il tiro…).