Commento all’articolo del 18 gennaio 2016
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La cyberdipendenza è una nuova dipendenza comportamentale, un fenomeno in espansione tra gli adolescenti. Già nel 2011 il Telefono Azzurro e Eurispes hanno presentato a Roma l’indagine conoscitiva sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia”, svolta su un campione di 1.523 ragazzi e 1.100 bambini.
I dati emersi sono preoccupanti: il 23,6% dei ragazzi tra i 12 e i 18 anni sono stati vittime di cyberbullismo, una percentuale degli under 11 ha già esperìto il gioco d’azzardo, il 4,9% degli adolescenti ha cercato consigli per il suicidio, il 68,7 % non riesce a staccarsi da internet quando richiesto.
Il termine Internet Addiction fu coniato nel 1995 da Ivan Goldberg che propose dei criteri riformulando quelli della dipendenza da sostanze del DSM-IV: un uso maladattivo di internet, che conduce a menomazione o disagio clinicamente significativi, come manifestato da tre (o più) dei seguenti, che ricorrono in qualunque momento dello stesso periodo di 12 mesi.
La letteratura individua cinque tipologie di cyberdipendenti: Cyber-Relational Addiction, Net-Compulsions,Information-Overload, Cybersexual-Addiction, Computer-Addiction. Un tempo la vita reale si contrapponeva a quella del sogno, spazio privilegiato per esprimere desideri inconsci e per vivere, sia pure sotto il controllo della censura onirica, tensioni e pulsioni inappagate; oggi questa dimensione fantastica ci si presenta attraverso il potenziale tecnologico dell’elettronica e può essere talmente coinvolgente che si parla sempre più di Internet-dipendenza.
È facile immaginare come fenomeni dissociativi e paranoidei siano spesso alla base delle dipendenze da Internet: il controllare la vita degli altri tramite Internet, l’abbandonare le amicizie reali e i propri svaghi (come ad esempio la palestra) per passare del tempo on-line, la mancata percezione del tempo che passa, il vivere una realtà virtuale con una nuova identità oppure l’aver bisogno di uno schermo per potersi esprimere liberamente denotano personalità con forti problemi interpersonali, che hanno difficoltà nell’instaurare relazioni autentiche e che non godono di una buona autostima.
Anche l’espressione dell’aggressività, tipica dell’adolescente passa attraverso il web, trasformandosi in quello che viene definito cyber-bullismo. Le ricerche attuali sottolineano come il cyber bullismo sia non il nuovo bullismo ma una sua appendice.
I ruoli non cambiano, il comportamento derisorio o violento non è più indulgente su internet dove il pubblico è maggiore. I rischi delle vittime e anche dei bulli sono gli stessi, i dati delle ricerche riportano che permane, come conseguenza di questa esperienza, l’abbassamento dell’autostima fino al rischio di cadere in episodi depressivi.
Certamente il problema non sono i social-network in sé. L’avere un profilo Facebook, Twitter e Google+, non sono sinonimi di una cyberdipendenza. Piuttosto bisogna interrogarsi su quali rapporti reali, su quali amicizie, su quali “migliori amici” si hanno nella vita reale.
Frequenti sono i casi di ragazzi che passano ore e ore davanti allo schermo aspettando “amici” di cui non conoscono nulla… “postano” foto per ricevere “mi piace”, quasi da poter essere definita da loro stessi la “like therapy”, per aumentare la loro autostima.
Emerge una forte difficoltà a staccarsi dal web perché hanno un forte bisogno di essere on line… per essere sempre presenti e non scomparire ed “esistere”.
La maggior parte sono ragazzi che di per sé non hanno grosse difficoltà relazionali o per forza un livello basso di autostima, ma sicuramente vivere una realtà virtuale ha una caratteristica di velocità, di facilità che attrae e che li conquista e li inghiottisce. Vivono relazioni sul web intensamente, come adolescenti, ma non si espongono realmente alle emozioni, si riparano dietro uno schermo, a una frase copiata da un altro sito.
Il ruolo dell’adulto e delle esperienze di socializzazione possono essere i mediatori tra la vita reale e la vita sul web. Coinvolgere e non abbandonare i ragazzi ma spronarli a vivere esperienze e a sperimentare le emozioni, avendo vicino persone in grado di poter spiegare e tradurre le emozioni vissute, che spesso i ragazzi non riescono a decifrare e se ne spaventano, eviterebbe il rifugiarsi in silenzio nella propria stanza e collegarsi in rete…