Vorrei esprimere alcune opinioni, maturate in questi ultimi tristi anni, legate al ritorno della guerra come metodo per risolvere le controversie.
La guerra tra Russia e Ucraina
Si è cominciato con l’invasione russa dei territori dell’Ucraina confinanti con la Russia.
Non si può negare che, in quel caso, ci fossero dei fatti importanti che avevano preceduto l’inizio delle ostilità e che hanno influito in maniera decisiva sulla decisione di passare dalle parole ai fatti.
Fatti importanti rispetto ai quali esistevano letture differenti, da un lato e dall’altro, di fronte ai quali si è preferito spingere sull’acceleratore e non fermarsi e chiedere di parlare delle controversie con l’aiuto di un mediatore importante, per es. l’ONU.
Non sto prendendo le parti degli uni o degli altri, sto soltanto dicendo che, come la pace si fa in due, se le parti in causa sono due, così la guerra si fa in due, più gli alleati dell’una e dell’altra parte.
Quello di cui sto parlando è il metodo che i paesi del mondo hanno a disposizione per risolvere le controversie: le trattative, magari condotte da un’autorevole parte terza, quali dovrebbero essere le Nazioni Unite oppure la guerra.
Si poteva prevenire la guerra?
È stato fatto tutto, prima dello scoppio della guerra tra Russia e Ucraina per scongiurare questo pericolo? La mia sensazione è: no. Anzi si rincorrevano voci che parlavano della debolezza del gigante russo e che ci hanno convinto che, tutto sommato, avremmo trovato il modo di renderlo meno forte, costringendolo a combattere una guerra. Voci che si sono rivelate prive di fondamento dato che, non solo la Russia non è rimasta isolata e in difficoltà ma, al contrario, è stata in grado di formulare e stimolare la crescita di nuove alleanze che, di fatto, hanno finito per dividere il mondo in due grandi fazioni.
Il risultato drammatico di tutto questo discorso è sotto gli occhi di tutti: il conflitto tra Russia e Ucraina ha radicalizzato il mondo, costringendo ognuno e ogni paese a schierarsi, da una parte o dall’altra.
E, a questo punto, dopo questo disastro, come si torna indietro?
Facendo un’altra guerra…
Che cosa è successo, infatti?
“Improvvisamente” è scoppiato un altro conflitto, anzi un altro macello.
La guerra tra Israele e la Palestina
Israeliani e Palestinesi si trascinavano problemi irrisolti tra loro almeno da subito dopo la Seconda Guerra Mondiale. Anche qui non entro nel merito di chi ha ragione e di chi ha torto. Ci sono torti e ragioni da entrambe le parti, ma anche qui il metodo che i contendenti, da un lato e dall’altro avevano in mente per risolverli, era solo uno: la guerra e l’assassinio.
Anche in questo caso, prima, o si è ignorato l’insorgere dei problemi o si è fatto finta di non accorgersene.
Abbiamo dovuto ad assistere ad una strage annunciata e ad una guerra combattuta tra carri armati e case, sotto alle quali i contendenti degli Israeliani avevano costruito un sistema difensivo sotterraneo basato, nei fatti, sulla presenza della popolazione, usata come scudo umano.
Anche in questo caso, è difficile dire chi ha fatto peggio.
Netanyahu e Hamas
L’unica cosa sicura è che, all’interno delle due fazioni in lotta, israeliani e palestinesi, hanno prevalso le due ali, il governo Netanyahu e Hamas, che ritengono che l’unica soluzione consista nella distruzione dell’altro. E, rispetto a questo obiettivo, ogni ala oltranzista, presente da un lato e dall’altro, ha lavorato di comune accordo implicito con la controparte avversaria per raggiungere l’obiettivo che è sotto gli occhi di tutti: 1800, per lo più civili israeliani, trucidati il “7 ottobre” e 39.000 palestinesi, di cui più di un terzo bambini, uccisi sotto le bombe degli aerei o a cannonate dai carro-armati.
Con l’ONU a chiedere invano la sospensione delle ostilità. Anzi, addirittura accusata, senza che mai ne fossero fornite le prove da Israele, di aver partecipato, tramite persone che lavoravano nei suoi uffici all’interno della Striscia di Gaza, all’assalto criminale del 7 ottobre.
In questo caso, Israele non solo seguita a non riconoscere, come fa da settanta anni, alcun valore alle risoluzioni dell’ONU, ma ha incluso le maestranze dell’ONU tra i suoi nemici da distruggere.
Mi sembra che ci troviamo di fronte a drammi senza fine, con popolazioni stremate, paesi distrutti e, almeno per ora, nessuna seria volontà di uscirne.
Ma perché succede tutto questo, proprio ora, in questo momento dell’evoluzione della storia?
Io penso che il motivo risieda nel fatto che, in realtà, l’umanità si trova di fronte a problemi molto più grandi di quelli enormi a cui ho fatto riferimento fino ad ora.
Io penso che si trovi di fronte alla necessità di cambiare radicalmente atteggiamento per quanto riguarda i rapporti tra gli stati e, quindi, tra gli uomini.
La crisi climatica
In relazione al rapido e forse irreversibile manifestarsi della crisi del clima, che dovrebbe essere preso in considerazione da tutti i membri di tutti i paesi come un problema che riguarda tutti e che, forse, si potrebbe risolvere se tutti ci dessimo una mano, l’umanità dovrebbe essere costretta a modificare radicalmente l’atteggiamento nei confronti dell’altro: a non partire dalla considerazione che è un nemico e che, se si comporterà bene, forse, potrò divenire suo amico, magari dopo averlo battuto…
Qui si tratta di capire che siamo tutti sulla stessa barca e che ci salveremmo se cominciassimo a remare tutti nella stessa direzione, facendo posto all’altro e non seguitando a cercare di “buttarlo di sotto”
Come vivranno le mie nipoti, di sette e tre anni e dove?
Le previsioni più catastrofiche, a proposito dell’evoluzione della situazione del clima parlano del fatto che, se entro il duemila e cento, la temperatura della terra dovesse aumentare di 4 gradi, resterebbero abitabili soltanto le zone del nord della Russia e della Siberia e del nord del continente americano, soprattutto il Canada. Il resto del mondo non sarà più vivibile (Vance, “Il secolo nomade”).
Di fronte ad un problema di questo tipo, l’umanità che fa? Si mette a farsi la guerra nei luoghi dove è più facile, dove ci sono attriti apparentemente insanabili, che possono giungere ad essere risolti soltanto con la “fine” dell’uno o dell’altro: esiste ancora l’Ucraina, ora che è distrutta? Il Parlamento Israeliano ha recentemente approvato una risoluzione in cui definisce inequivocabilmente l’impossibilità di pensare di arrivare ad una soluzione comprendente due stati: uno israeliano e uno palestinese.
L’estinzione dell’uomo
Io penso che esiste un problema inconscio di dimensioni apocalittiche: l’uomo non riesce a pensare che potrebbe finire per estinguersi, pensa che, prima o poi, la soluzione si troverà.
E, pur di non pensare ad un dramma di queste dimensioni, reagisce facendo la guerra, dividendo il mondo in blocchi che non si parlano.
Tanti auguri, perciò, al film di Amos Gitai. Mi auguro che sia visto e apprezzato, a Venezia e altrove, perché comunque parla della indecifrabilità dell’animo umano, dei misteri che lo avvolgono con o senza l’Intelligenza artificiale.
L’arte è un grande veicolo, ha tutta la mia ammirazione, ma non so se riuscirà a costruire un “ponte”.
Personalmente sono sfiduciato, ma pronto a ricredermi.
Forse l’unica cosa importante sarebbe uscire dalla posizione di essere convinti di possedere la verità e provare ad accarezzare il dubbio che un po’ di ragione ce l’abbia anche l’altro e che, forse, la cosa più importante è costituita dalla capacità di aprire una trattativa, prima di tutto con sé stessi e, poi, anche con gli altri.
Trattare, trattare e sopravvivere.