Vaso di Pandora

Ricordo di un Maestro: Roberto Speziale Bagliacca

A 25 anni dalla prima pubblicazione sulla Rassegna italiana di criminologia (IX, 2, 1998, pp. 395-400), e a qualche giorno dalla sua scomparsa, ripropongo su Il vaso di Pandora online questa recensione al volume Colpa. Considerazioni su rimorso, vendetta e responsabilità, pubblicato da Roberto Speziale-Bagliacca per Astrolabio nel 1997. Con la questo testo, che aveva apprezzato, desidero dedicare un affettuoso ricordo a quello che è stato per me, come per tanti colleghi passati per la Clinica di Genova tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90, un maestro generoso, del quale mi ritorna in questi giorni in mente in particolare l’utilizzo di film “ammutoliti” da parte sua per insegnarci ad apprezzare l’importanza della lettura della comunicazione corporea nello sforzo di  comprensione dell’altro.

Molte sono le chiavi nelle quali questo saggio che Roberto Speziale-Bagliacca dedica alla colpa potrebbe essere letto, e molti gli spunti di riflessione che offre. Ne prenderemo in esame solo alcuni. Il suo percorso, infatti,  attraversa in primo luogo tematiche interne al sapere psicoanalitico sul tema della colpa  e affronta, con la puntualità dello specialista, molte questioni ad esse collegate, che vanno dall’evoluzione della teoria del controtransfert, a partire dal contributo fondamentale di Paula Heimann, alla polemica sulla natura storica o simbolica della seduzione infantile evidenziata da Freud all’origine delle nevrosi, alla rottura tra Winnicott e la Klein, all’analisi dei codici di Franco Fornari; offrire sintesi in proposito apparirebbe ingeneroso rispetto alla completezza con cui sono affrontati questi punti nel testo. Particolare attenzione è dedicata al tema del contenimento psico-corporeo, un concetto elaborato da Speziale-Bagliacca a partire da quello bioniano di contenimento mentale che incorpora quest’ultimo ma tende in qualche modo a trascenderlo, ed è stato elaborato dall’Autore nel corso di numerosi scritti[1].

Il percorso contemporaneamente si  snoda poi, con pari competenza, sulle questioni antropologiche, filosofiche e giuridiche che il tema della colpa solleva, trovando riferimenti nel libro di Giobbe e nelle vicende mitologiche dei greci, nei filosofi, dagli antichi fino a Kirkegaard e a Sartre, e nei costruttori di quelle versioni moderne e laicizzate del mito che sono il romanzo ed il cinema. Tutti, a diverso titolo, chiamati in causa dalla natura davvero universale del problema della colpa, del rimorso, della responsabilità e della vendetta, del quale ciascun uomo fa esperienza, e ciascun gruppo umano deve farsi carico con le norme prevalse nella propria cultura e quelle sancite dagli assetti istituzionali che si è dato.

In due casi, la riflessione di Speziale-Bagliacca si avvicina a temi che mi sono particolarmente cari e vorrei quindi, consapevole di offrire una lettura certo incompleta e personale del libro, soffermarmi su di essi.

Il primo, mi pare riconducibile a quello del ruolo analitico, che può dirci indirettamente qualcosa sul delicato e attualissimo problema del rapporto tra etica e cura.

Speziale-Bagliacca ricorda, a proposito dei  pionieri della psicoanalisi, atteggiamenti che erano certo comprensibili in quella fase iniziale, ma oggi non possono non dar luogo a perplessità. È il caso, ad esempio, di Melanie Klein che analizzava il proprio figlio, o pretendeva di far da supervisore a Winnicott nel momento in cui era lui ad analizzarlo.

In molti altri casi oggi, invece, il problema di individuare, nella terapia, un atteggiamento che, rimanendo improntato a quello  che l’Autore definisce distacco partecipe – e non ricadendo dunque nella semplificazione della neutralità assoluta – usi con  prudenza del potere immenso conferito al terapeuta dal paziente, si fa più sfumato e impegnativo. Il giudizio, la colpevolizzazione, la direzione dell’altro costituiscono infatti spesso il contenuto inapparente delle nostre comunicazioni, e rappresentano un esercizio di autorità tanto più pericoloso perché inconsapevole; i riferimenti ad esempi clinici da parte di Speziale-Bagliacca sono a questo proposito particolarmente preziosi.

Con quale occhio lo psicoanalista, ma con lui – sembra lecito evincere – chiunque sia investito del compito della cura, deve guardare alla colpa del paziente?

Per rispondere, l’Autore propone di distinguere tra la logica della colpa e la logica della comprensione.

La prima èuna filigrana che sottende molti dei nostri comportamenti, pensieri, atteggiamenti e ci porta a giudicare, condannare, assolvere, punire, e specularmente punirci, perdonare o vendicarci, sulla quale si ergono nobili tentativi di regolare la vita civile dei popoli con le leggi e i codici morali[2], ma alla quale si ispirano anche mentalità moralistiche di basso profilo che possono esitare  nella sbrigativa designazione di chi è per qualunque ragione diverso allo scomodo ruolo di capro espiatorio. La logica della colpa tende ad evocare il tema dell’onnipotenza: ogni fatto deve avere, necessariamente, un colpevole: i popoli di epoche remote tendevano a reagire alle disgrazie naturali con il sacrificio propiziatorio per placare l’ira del nume che temevano di aver potuto offendere.

La seconda ci impone invece di tenere sempre presenti le concause che contribuiscono a determinare il comportamento di ciascuno, e sta alla base del procedimento scientifico o storico: può essere già rintracciata negli scritti di Galeno e viene ripresa da ogni forma di determinismo. Tra queste, rientra anche la psicoanalisi freudiana, perché è fondata sull’esistenza dell’inconscio, ma il determinismo può essere ritenuto, per Speziale-Bagliacca, in questo caso relativo, perché implica la possibilità, per l’uomo, di raggiungere, attraverso l’analisi, livelli sempre maggiori di libertà e consapevolezza.

A chi cura, si chiede comunque qualcosa di più della comprensione scientifica dei fenomeni: la ricerca della guarigione, qui definita in termini che meriterebbero un’ampia riflessione, come «una netta diminuzione stabile della sofferenza, accompagnata da un’aumentata capacità di contenerla (senza espellerla), con tutto quanto ciò può comportare a livello di scomparsa di sintomi, di controllo della compulsività ad agire secondo schemi rigidi e fissi, ma anche di capacità di pensare, vivere meglio e quant’altro accompagna il cambiamento».

Esiste tuttavia il problema di chi non vuole guarire, osserva ripetutamente l’Autore, che sembra voler prendere le distanze dall’ingenuo ottimismo proprio di tanta parte della riflessione psicoanalitica sul sociale negli scorsi decenni (penso a posizioni come quella di Erich Fromm).

Si tratta, in buona sostanza, del problema al quale la bioetica è solita riferirsi come alla contrapposizione tra il principio di beneficialità e quello di autonomia nella cura.

Del principio di beneficialità, abbiamo già detto: esso implica la capacità da parte del curante di andar oltre la logica della colpa e portare la logica della comprensione fino alle sue conseguenze operative sul terreno delle pratiche di modificazione delle cose, con la ricerca della guarigione.

Ma  implica inevitabilmente anche la necessità, da un lato, di acquisire una buona consapevolezza dei sentimenti che il paziente evoca dentro di noi, quello che in psicoanalisi si chiama il  controtransfert e, dall’altro, come Speziale-Bagliacca sostiene rifacendosi a originali intuizioni di Ferenczi, Rosenfeld, Paula Heimann, la disponibilità ad ammettere che alcune almeno delle critiche del paziente a quanto da noi detto od operato possano essere fondate e costruttive. Cioè la consapevolezza del fatto che, inevitabilmente, e certo anche quest’argomento può essere esteso ben al di fuori dell’ambito analitico, la cura è una costruzione comune del curante e del paziente.

Ancora più interessante, mi pare che sia, però, per la riflessione bioetica, la problematizzazione cui va incontro, alla luce della riflessioni operate da Speziale-Bagliacca, il concetto di libertà ed autonomia del paziente che rappresenta, accanto a quelli di beneficenza-non maleficenza e di giustizia, il pilastro che sta alla base delle tesi del principialismo etico sostenuto, in particolare all’interno della cultura statunitense, da autori come Tom Beauchamp e James Childress.

All’interno della prospettiva di determinismo relativo adottata da Speziale-Bagliacca non sembra aver senso, infatti, parlare di libertà intesa come voce autonoma dell’individuo a monte dell’incontro terapeutico, che rischierebbe poi di essere sopraffatta e ammutolita dalle imposizioni della medicina.

L’individuo, inteso come soggetto etico, non gode infatti di quell’autonomia aprioristica che i pensatori ispirati al neokantismo, a partire da Enghelhardt, tendono ad attribuirgli in bioetica. La sua libertà, al contrario, può esistere solo a valle dell’incontro con l’altro – spesso l’altro-curante nell’ambito della sanità – e di un faticoso percorso di liberazione dai condizionamenti più pesanti dei quali corriamo il rischio di essere vittima, quelli che operano da dentro di noi. La libertà della persona, cioè, non può sbrigativamente essere confusa con la prima espressione del suo punto di vista.

Il consenso informato del paziente, in quest’ottica, può essere autenticamente libero soltanto all’interno di un percorso di scambio e di negoziazione tra curante e curato, in cui certo si evitino le insidie legate alla suggestione e alla manipolazione, contro le quali Speziale-Bagliacca mette in guardia nel caso della psicoanalisi, ma  che sono sempre presenti in un incontro, e di questo passaggio non sfugge la delicatezza. Poiché l’Io non è sovrano assoluto in casa propria, operare per la cura significa anche assumersi la responsabilità di agevolare, nell’altro, i percorsi di liberazione del punto di vista che più profondamente gli è proprio, e non accontentarsi di registrare passivamente quella che può sembrare in prima battuta la voce della sua apparente autonomia.

Qualcosa, infondo, assai più vicino al concetto dinamico di alleanza terapeutica tra due soggetti, disponibili entrambi a modificare le proprie posizioni attraverso il loro incontro, sostenuto per esempio dal bioeticista italiano Sandro Spinsanti, che non a quello, più statico e asettico, di contratto terapeutico, al quale sono in genere più sensibili i bioeticisti di scuola anglosassone.

Rimane, in ogni caso, la necessità di sapersi rassegnare al fatto che possiamo imbatterci anche in casi in cui le nostre istanze di ricercare quello che ci sembra il bene del paziente devono bloccarsi di fronte al limite rappresentato dall’indisponibilità dell’altro ad accettare aiuto, rinunciando a  sconfinare in un atteggiamento di onnipotenza salvifica.

Passiamo dunque all’altro tema che desidero riprendere: la logica della comprensione può riguardare, oltre all’uomo di scienza, anche l’uomo di legge? Possiamo, cioè, immaginare un completo superamento della logica della colpa?, si chiede Speziale-Bagliacca.

Se nel primo caso la questione sullo sfondo era quella, centrale nel dibattito bioetico, dell’alleanza terapeutica; qui si tratta, invece, di un punto critico del pensiero giuridico contemporaneo: dove inizia la capacità di intendere e di volere, in nome della quale a un individuo deve essere chiesto di rispondere delle proprie colpe, esponendosi alla – sia pur regolamentata, e applicata in riferimento a criteri di rispetto e umanità – vendetta, per conto della vittima, della sua collettività?

Sembra questo, infatti, a scapito di, spesso mistificatori, riferimenti alla sua funzione riabilitativa, il nodo centrale che viene identificato nella pena: Speziale-Bagliacca riprende, a questo proposito,  Reik per il quale «è bene notare che la comprensione non serve più a nulla, quando le persone offese o danneggiate siamo noi». Il che, per la verità, è certamente vero per quanto riguarda le reazioni istintive, immediate a un sopruso; è il caso della donna sfiorata nell’uscire da un negozio da una pantera della polizia lanciata a tutta corsa, portata, lì per lì, certo tutt’altro che a comprendere. Ma è altrettanto vero che la civiltà cui (fortunatamente) apparteniamo renderebbe poco accettabile, alla lunga e per una larga parte almeno della pubblica opinione, una pena che non contenesse, certo in modo necessariamente contraddittorio, almeno flebili germogli di speranza, di solidarietà col reo e di riscatto. La presa di posizione dell’Autore contro la pena di morte, del resto, va in questa direzione.

Le posizioni a proposito del determinismo, comunque, sono note, e riprese con completezza nelle pagine del saggio.

A un estremo, la crisi del concetto di imputabilità, legata al carattere spesso poco affidabile delle diagnosi psichiatriche, ma soprattutto a una nuova immagine della follia, non più dialetticamente contrapposta alla ragione come qualcosa di totalmente alieno: tutti devono essere considerati, almeno in qualche misura, imputabili.

All’altro l’idea, che può esser fatta risalire, come abbiamo visto,  a Galeno, ed è stata sostenuta con forza dalla Scuola positiva del secolo scorso – e solo ulteriormente enfatizzata da applicazioni della psicoanalisi al campo penale –  che l’azione dell’uomo non è mai libera, ma sempre determinata da fattori di natura biologica, psicologica, socioeconomica, che fanno sì che il giudizio penale perda senso nel moltiplicarsi all’infinito delle attenuanti: fino al limite estremo per il quale nessuno è più imputabile. E la punizione può trovare giustificazione solo in riferimento ad esigenze di difesa sociale.

Sullo sfondo, l’eco del  dibattito ottocentesco, ma più che mai attuale ai nostri giorni, tra la scuola classica e quella positiva di diritto penale.

Speziale-Bagliacca  fa riferimento, a questo riguardo, a un episodio personale, in cui fu chiamato a giudicare il comportamento di alcuni colleghi che avevano infranto le norme dell’istituzione alla quale appartenevano. Ricorda infatti: «Come membro di un’associazione psicoanalitica ho votato a favore dell’espulsione di soci che ritenevo dannosi agli altri (e soprattutto ai pazienti), pur ritenendo che l’espulso fosse bisognoso di cure e non di una punizione. Ma dovevo anche accettare il fatto, altrettanto tragico, che chi doveva essere espulso di farsi curare non ne avrebbe voluto sapere».

Prescindendo, ovviamente, del tutto dal merito della questione, desidero riprenderla come esempio per notare come quest’idea che un’istituzione potesse adottare la cura in sostituzione del provvedimento disciplinare verso i propri membri ribelli possa far rabbrividire. Perché sembra nascondere, dietro l’apparente oblatività dell’atteggiamento, lo stesso autoritarismo della rieducazioneo della pretesa del ravvedimentodel nemico, in sostituzione della sua punizione, delle quali balzano certo alla mente di ciascuno tanti dolorosi e tristi esempi.

Come deve prendere su di sé le proprie responsabilità di fronte agli eventi naturali o alla storia (esistono anche le rose che non si schiudono), così, sembra suggerire  l’Autore – che ha formazione giuridica oltre che psicoanalitica – l’uomo (salvo casi estremi, un concetto opportunamente problematizzato nel testo[3]), deve assumersi invece una dolorosa responsabilità tragica di fronte alle istituzioni responsabili di fare osservare le norme che ha infranto.

È questo per Speziale-Bagliacca il paradosso schizofrenico, rappresentato dalla necessità di rimanere contemporaneamente all’interno della logica della colpa, al di fuori della quale, come temeva che potesse avvenire Camus, i comportamenti si equivalgono e l’innocenza perde i propri diritti, e soddisfare le esigenze di verità e di spiegazione ragionevole  degli eventi che solo la logica della comprensione può garantirgli.

Non è un bel destino, viene da pensare, allora, quello del giudice, che sembra vincolato alla difficile e contraddittoria contaminazione tra comprensione e giudizio colpevolizzante, e solo nella ragionevole mediazione del caso concreto può, volta per volta e in modo sempre opinabile, tentare di trovarla. Lo vorremmo, forse, inchiodato in modo trasparente alla logica della colpa, in quei casi in cui più evidente è la relazione tra il reato e una scelta del reo che vogliamo rispettata come dignitosa, libera e responsabile interlocuzione con le istituzioni da lui scelte come nemico (può essere il caso del reato politico o religioso); ma, contemporaneamente, disponibile e permeabile alla logica della comprensione quando questa relazione tra la scelta libera e consapevole e il reato va, secondo la nostra personale sensibilità,  attenuandosi (può essere il caso dei delitti passionali, di quelli commessi in relazione con quadri psicotici, disturbi della personalità o del controllo degli impulsi, perversione, tossicodipendenza, o in stato di necessità economica).


[1] Si cfr. in proposito: R. Speziale-Bagliacca: La capacité de contenire: notes sur la facon dont elle opère dans le changement psychique, Révue Francaise de Psychanalyse, 5, 1990, pp. 1363-1373, o, in lingua inglese:The capacity to contain: notes on its function in psychic change, International Journal of Psycho-Aalysis, 72, 1, 1991, pp. 27-33. Il tema è stato recentemente ripreso in: R. Speziale-Bagliacca: Ferenczi: il corpo, il contenimento ed il controtransfert, Relazione al Congresso Internazionale Ferenczi e la psicoanalisi contemporanea, Madrid, 6-8 marzo 1998.

[2] Cfr.: R. Speziale-Bagliacca: Esiste una logica della colpa?, Lineamenti di storia del pensiero giuridico, in stampa.

[3] Si rivedano in proposito anche le opinioni espresse dall’Autore sul d.d.l 177/1983, teso all’aboliozione della non imputabilità per incapacità di intendere e volere riferita all’infermità di mente in: R. Speziale-Bagliacca: Matti da imprigionare,  Difesa Penale, 5 (Suppl.), 1984, pp. 59-69).

Commento di Giovanni Giusto

Forse alcuni lo ricordano.
Penso sia utile però farlo ancora perché Speziale Bagliacca ha avuto una parte importante nell’organizzazione de Il Vaso di Pandora.
Quando gli dissi della mia intenzione, ricevendoci nel suo studio di Bogliasco, mi suggerì un grafico a cui affidarmi per la copertina e per l’impaginazione.
Il risultato è ancora visibile e ritengo moderno.
Successivamente arricchì la neonata rivista di suoi scritti, sempre nella precisione e nel rigore che lo ha caratterizzato sia come docente che come psicoterapeuta.
Ringrazio Paolo Peloso che mi  permesso di ricordarlo a tutti ora che ci ha lasciato.

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Commenti su "Ricordo di un Maestro: Roberto Speziale Bagliacca"

  1. Grazie Paolo! Credo sia un buon modo per ricordare il professor Speziale riproporci uno tra i suoi più importanti contributi. E’ davvero una grande perdita, anche se da quando si era ammalato non l’avevo più incontrato, è rimasto anche per me un punto di riferimento culturale e clinico prezioso nel ricordo di quanto mi ha insegnato e per l’amicizia di cui mi aveva onorato.
    Spero non abbia troppo sofferto in questi anni di malattia e che riposi in pace!

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