REMS
Crocevia di scienze umane e naturali la psichiatria (lo psichiatra) si confronta con la trasgressione ed il delitto e diventa consulente dei magistrati per quei casi in cui il reato é conseguenza della parziale o totale incapacità di intendere e volere.
L’ospedale psichiatrico giudiziario era l’esempio di una contraddizione: l’esigenza di cura negata dalla prevalenza della custodia.
Il fatto che fosse governato dal Ministero di Grazia e Giustizia la sottolineava.
I risultati sono stati pessimi se non incivili, certamente non terapeutici.
Delle REMS (Residenze per l’Espiazione delle Misure di Sicurezza), che in parte lo sostituiscono che ne sarà?
Nascono sotto l’egida del Ministero della Sanità.
Parrebbe un buon inizio prevalendo l’esigenza di cura senza trascurare la sicurezza reciproca.
Dovrebbero essere strutture ad alta intensità di curariabilitazione con un numero di posti letto ridotti ed un alto rapporto paziente-operatori.
Chissà se succederà.
Quante ce ne dovranno essere?
Che linguaggio prevarrà al loro interno: quello legale o quello sanitario?
Avremo prevalenza del magistrato psichiatra o dello psichiatra giudice se non avvocato?
Auspicabile un dialogo intenso nel rispetto delle competenze reciproche, con la necessaria complementarità.
Lavoro complesso e non scevro da rischi; pertanto mi parrebbe indispensabile individuare preventivamente dei limiti alle reciproche competenze ribadendo però il primato della cura e dei percorsi terapeutici possibili ed auspicabili.
Se così non fosse il rischio di degenerazione e confusione sarebbe gravissimo.
Dalla pratica e dalla cultura comunitaria potremo trarre vigorosi insegnamenti.
L’acronimo REMS come da me tradotto fa volutamente riferimento al termine espiazione anziché esecuzione per evidenziare un elemento di possibile confusione in relazione al progetto…
Interessante l’attrattiva per le REMS da parte degli psicoburocrati
Li tranquillizza forse la distanza dalla sofferenza vera?
L’apertura delle REMS potrebbe e dovrebbe segnare un cambiamento epocale. La chiusura definitiva degli OPG rappresenta un momento storico quasi avvicinabile alla chiusura dei manicomi, un nuovo enorme passo avanti verso il riconoscimento della dignità e dei diritti che meritano, al pari di tutti, le persone affette da patologia psichiatrica, e parimenti è un progresso necessario anche nella lotta allo stigma e ai pregiudizi che ancora colpiscono drammaticamente questa fascia di popolazione.
Per quanto concerne la piccola realtà genovese, spiace notare che talvolta anche figure autorevoli afferenti l’ambito psichiatrico esprimano, seppur sottovoce, un certo disinteresse a questa esperienza. Per fortuna tra i giovani e i giovanissimi (penso per esempio agli studenti di TeRP) invece l’entusiasmo è alto.
Nell’espressione “Esecuzione delle misure di sicurezza” c’è ben poco di sanitario, di sociale, di riabilitazione, di integrazione, di assistenziale. Quindi, alla domanda “Si tratterà di residenza giudiziaria o propriamente sanitaria?”, a me sembra che l’aspetto meramente giudiziario rischia inevitabilmente di prevalere, se guardiamo al linguaggio soltanto utilizzato, almeno.
L’idea dell”Espiazione” aspetterei a rigettarla come una semplice “provocazione inquieta”. In verità, preferisco l’intransigente austerità che accompagna il termine “Espiazione” invece dell’inflessibilità in tanti casi demente, del formalismo da questurino che risuonano nell’espressione “Esecuzione”. È contenuta nel termine “Espiazione” un’istanza morale che oggettivamente manca in molti campi dell’agire sociale e “politico” attuali. Vista l’impossibilità effettiva o meglio la difficoltà di abbandonare il “mito dell’espiazione” in materia di sanzione penale non resterebbe che riconciliarsi con esso spogliandolo da un lato di tutte le prerogative di afflizione e redenzione tipiche della componente puramente religiosa e dall’altro agire affinché sull’intervento legislativo-giudiziario-sanitario non abbia il sopravvento puramente una perversa “istanza di vendetta socialmente avanzata”.
Occorrerà guardare all’epistemologia di riferimento o alla “politica” che i professionisti della sanità utilizzeranno per sanare questa secolare contraddizione sanitaria-giudiziaria (che già riscontriamo nell’istituto del Tso, da tempo immemore, ad esempio). Le Rems, secondo me, non sono questione di giustizia penale, né di psicologia, semplicemente. Esse sono questioni di “politica” e ci interrogano urgentemente sull’idea di “politica” che intendiamo “agire” nella concretezza del nostro lavoro quotidiano da qui ai prossimi anni.
Secondo me come ho adombrato precedentemente è questione di “politica”, per così dire. [b]Allora, cosa centra la “politica” con le REMS?[/b]. A tal proposito mi rifarei ad un [b]concetto di “psicologia politica” [/b](o di “politica psicologica”); intesa qui come quella branca della psicologia che si occuperebbe della salute psicologica (bene pubblico, per eccellenza, dunque) della “polis” (città) e dei suoi “polites” (cittadini). Quella “politica” che opera in tutte le strutture deputate a determinarla. [b]In questo senso una CTR o una REMS (in futuro) dovrebbero considerarsi strutture “politiche” in cui si declina stabilmente la “Politica” di uno Stato[/b] con le sue ramificazioni sociali ed economiche e sanitarie che concretamente e quotidianamente – sottraggono la politica all’astrazione in cui rischia di rimanere perennemente confinata -. Se è vero che è stata abbandonata la “poesia della politica” pensata e vissuta come dimensione indissolubilmente legata alla religione non si può nemmeno pensare di rifarsi ad un ideale della giustizia senza misura alcuna che trae alimento da una “dimensione politica che si fa soprattutto economia”. E non può esserci “ordine politico, né giustizia che si basi unicamente sulla dimensione economica della giustizia e della politica” (e della sanità, aggiungerei). Perché la forza e la civiltà di una democrazia si misurano anche dal modo in cui quest’ultima (e le sue emanazioni) tratta i suoi prigionieri, i suoi “infermi” e i suoi lavoratori.
[b]Non sfugge che ho accomunato il “destino” di operatori, rei e pazienti in perfetto “stile Racamier” (se mi è permesso scomodarlo) in quanto credo anch’io che “l’oggetto della cura è quel particolare contesto dato dall’insieme di pazienti e operatori che rappresenta l’istituzione curata” (Ferro, 2004, 2007)Qui non si vuole indulgere all’astrusità filosofica, ma ci sforziamo di farci piacere una “politica” intesa come quell’ “attività che ottiene il concorso di altri uomini per la realizzazione di un fine o un progetto”. In tale contesto, l’arte politica si configura pertanto come “una tecnica dell’addizione delle forze umane per mezzo della confluenza delle volontà”. Quindi, è comunque“politica”l’azione dell’istituzione il cui fine è “la costituzione o il mantenimento di un aggregato umano in quanto tale”. La politica così individuata dovrebbe esprimere il suo massimo potenziale nelle organizzazioni sanitarie, tra le altre. [b]E cosa sono ad esempio una Ctr o una Rems se non prima di tutto “edifici antropici” dove si costituiscono e si consolidano aggregati umani di lavoratori e pazienti?[/b] In questo senso, “politico”è anche il progetto di presa in carico di un paziente o di un reo perché tale “piano di lavoro”dovrebbe godere della convergenza di varie“volontà”ovvero di competenze professionali diversificate il cui fine principale è il benessere e la qualità di vita dell’assistito, prima di tutto, riaffermo. Ancora una volta per scongiurare l’esilio dei “pazienti-rei” e la loro morte civile bisognerà guardare oltre i reati commessi e i disturbi sofferti con l’aggiunta non secondaria che le persone (operatori compresi) non sono riducibili a meri portatori di “disvalore”, quel disvalore ritenuto indesiderabile e “socialmente dannoso” ed “economicamente svantaggioso. Mi piacerebbe sviluppare il tema dell’”Espiazione” provocatoriamente e non senza qualche inquietudine avanzato dal Prof. Giusto a proposito di REms. Ma più in là magari.