Sette anni di saggezza, equilibrio e umanità da non dimenticare
Introduzione
La Relazione al Parlamento per l’anno 2023 del Garante Nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale (Relazione)[1], l’ultima del settennato del Dott. Mauro Palma, è un lascito fondamentale. In questo contributo, prendendo le mosse dagli studi del Garante, proveremo a tracciare alcune linee di tendenza per quanto attiene la salute mentale.
Allarme suicidi
Il primo elemento molto significativo è l’incremento del numero dei suicidi nei detenuti. Nel 2022 sono stati 85, un dato ben più alto rispetto ai 59 del 2021 e 62 del 2020. Si è arrivati alla media di 1,54 suicidi ogni mille detenuti contro la media di 1,10 del 2021 (+31%). Tale dato diviene di particolare interesse se confrontato con quello riguardante la popolazione generale. La media annuale dei suicidi nella popolazione italiana è di 6 suicidi ogni 100mila abitanti, nel contesto, invece della popolazione detenuta il dato diviene 25 volte maggiore con 154 suicidi ogni 100mila persone.
Una condizione che l’Ufficio del Garante ha ritenuto di approfondire mediante una pubblicazione dell’aprile 2023 intitolata “Per un’analisi dei suicidi negli Istituti Penitenziari”[2] dalla quale emergono dati molto importanti.
Delle 85 persone che hanno attuato il suicidio, 80 sono maschi e 5 femmine (5,9%). Tale dato porterebbe ad inquadrare il fenomeno come prevalentemente maschile. A ben guardare, tuttavia, se il dato viene rapportato alla popolazione detenuta al 31 dicembre 2022 – composta da 56.174 maschi e 2.372 femmine – si evidenzia che il tasso di suicidi nei maschi è 1,42 per mille mentre quello delle femmine è 2,1 per mille. Un tasso di suicidi nelle detenute che è quindi significativamente superiore a quello maschile. Ciò è ancor più rilevante se si tiene conto che nella popolazione generale il tasso di suicidio femminile è circa un terzo di quello maschile. Questo, seppure sulla base di numeri limitati, fa riflettere sul delicato rapporto tra la condizione di genere e la privazione della libertà.
Altro dato di rilievo è la nazionalità: i suicidi di nazionalità italiana sono 49 a fronte di una popolazione italiana detenuta di 38.446, da cui si desume un tasso di suicidio di 1,27 per mille. Di contro, le persone suicide con nazionalità straniera sono 36 su una popolazione straniera detenuta pari a 17.728 e quindi con tasso di suicidio di 2 per mille.
Se si tiene conto che 20 degli stranieri che hanno attuato il suicidio sono senza fissa dimora (pari al 23,5% del totale dei suicidi) si comprende come le due condizioni, straniero e senza fissa dimora, siano a rischio.
Le persone suicide con disturbi mentali certificati sono 11 su 85 (13%). L’età è molto ampia, dai 21 a 73 anni, e il suicidio in tre casi si è verificato in sezioni destinate all’assistenza (Infermeria, Servizi assistenza Intensificata, Articolazioni tutela salute mentale).
Un ulteriore dato significativo è che degli 85 detenuti che si sono tolti la vita nel 2022, 68 persone erano state coinvolte in eventi critici e 28 (33%) avevano pregressi tentativi di suicidio.
Di particolare interesse sono i tempi del suicidio rispetto a momento dell’inizio della detenzione: 50 persone (59,5%) lo hanno compiuto entro 180 giorni e 16 detenuti, addirittura, entro 10 giorni dall’ingresso in carcere. Sembra quindi che un periodo a rischio sia la fase iniziale della detenzione ma i dati rilevano che lo è anche il periodo antecedente la scarcerazione, probabilmente per l’assenza di supporti esterni e lo stigma.
Nel 2022 un picco di suicidi si è avuto ad agosto quando sono stati 17 (pari a 20%).
In relazione alla posizione giuridica dei suicidi dai dati offerti dal Garante emerge che 32 persone erano in attesa di giudizio (37,5%), mentre 42 erano destinatari di una sentenza definitiva.
Colpisce anche che per una parte rilevante dei suicidi – 38 persone su 85 – la pena residua fosse inferiore ai 3 anni. I reati, a volte multipli per la stesso soggetto, sono contro il patrimonio in 54/85 mentre quelli contro la persona e la famiglia sono 50/85 .
Lo studio rileva che i suicidi avvengono in 72 casi su 85 (84,7%) nella “media sicurezza” e che gli Istituti maggiormente interessati sono quelli ove si registra un elevato indice di sovraffollamento, pur essendovi suicidi, seppure in misura minore, anche in Istituti sottoaffollati. In 39 Istituti si è avuto un solo suicidio.
L’analisi effettuata indica la rilevanza del genere femminile, dell’essere straniero specie se senza fissa dimora. Sono importanti i disturbi mentali e ancor più gli elementi anamnestici come i precedenti tentativi suicidio e l’essere in una condizione di vulnerabilità e fragilità. Azioni di contrasto al fenomeno possono essere fatte con interventi sociali (l’attenzione a casa, formazione e reddito), psicologici mantenendo le relazioni affettive su cui, di recente, un magistrato del Tribunale di Sorveglianza di Spoleto ha sollevato una questione di legittimità costituzionale[3]. E’ innegabile, mutuando le parole dell’ordinanza di rimessione, che “una amputazione […] radicale di un elemento costitutivo della personalità, quale la dimensione sessuale dell’affettività, finisce per configurare una forma di violenza fisica e morale sulla persona detenuta che, nella mancanza di una giustificazione sotto il profilo della sicurezza, si volge in mera vessazione, umiliante e degradante”[4]. Di fondamentale importanza è, pertanto, la costruzione di reti e di identità al fine di superare l’anomia, l’assenza di ruoli, lo stigma sapendo che il suicidio consegue alla perdita di ogni speranza e allo strutturarsi di un vissuto di dolore mentale intollerabile che solo la morte può sopprimere.
In tema di salute
Il Garante si occupa di REMS, dei servizi psichiatrici di diagnosi e cura e della residenzialità di natura sociosanitaria e assistenziale, ambiti con problemi diversi ma tutti accomunati dal possibile rischio di incidere sui diritti delle persone accolte.
Relativamente al percorso di chiusura degli OPG scrive: “Più volte è stato sottolineato il valore di una riforma che ha sanato l’incongruenza di un residuo manicomiale rimasto intoccato per oltre quarant’anni dopo la trasformazione dello stesso paradigma psichiatrico operata nel 1978 con la legge di chiusura dei manicomi e con il suo complemento nello stesso anno con l’istituzione del Servizio sanitario nazionale. Per questo, nonostante alcuni tratti rendano le Rems ancora acerbe nel dibattito pubblico, occorre guardare positivamente al percorso intrapreso, potenziando laddove necessario l’effettività della presa in carico delle persone e della delineazione per ciascuna di esse di un piano terapeutico riabilitativo, tuttora ancora definito soltanto per il 46 percento dei pazienti definitivi accolti. Occorre però anche saper riconoscere le difficoltà che i singoli presentano e che si riflettono sul loro ambito affettivo e sull’aggregato sociale di loro riferimento, perché tale riconoscimento è premessa per dare strumenti operativi e risorse ai servizi territoriali per la piena attuazione del superamento di un’ottica meramente custodiale e per il reale sviluppo di un approccio relazionale che richiede tempi e investimenti: altrimenti la percezione di abbandono rischia di essere confermata dalla realtà e si riprospettano periodicamente tentativi di arretramento”[5].
Dopo aver di nuovo auspicato un migliore coordinamento tra le amministrazioni interessate, anche alla luce dell’accordo della Conferenza Unificata delle Regioni del 30 novembre 2022[6], la Relazione ripropone osservazioni critiche per le strutture c.d. “polimodulari” e le collocazioni extraregionali di pazienti.
In riferimento alla REMS di Calice al Cornoviglio “ha formulato alcune Raccomandazioni e auspica che essa non costituisca un passo né per una de-territorializzazione delle persone più gravi, né per un’impropria organizzazione delle REMS sulla base dei presidi di sicurezza in ciascuna di esse previsti.[7]”
Il Garante dei detenuti pone inoltre l’attenzione sull’aumentato ricorso a misure di sicurezza, decisamente cresciute dopo la chiusura degli OPG. In particolare le misure provvisorie che riguardano il 46,7% dei 632 ospiti delle 31 REMS e rappresentano il 61% della lista di attesa. Delle 42 persone detenute sine titulo, ben 37 (88%) hanno misure provvisorie.
Sembra delinearsi nella magistratura una tendenza ad affidare ai servizi sanitari la cura di persone prima ancora della definizione dell’imputabilità e del giudizio. Una linea accentuata dalla legge n. 69/2019 (c.d. Codice Rosso) e dall’aumento della conflittualità intrafamiliare, da affrontare con strumenti e trattamenti non esclusivamente giudiziari, ma con “trattamenti” (Protocollo Zeus, Liberiamoci dalla Violenza) di persone con condotte “sbagliate” ma spesso non malate. A questo si aggiunge la messa alla prova e l’affidamento ai servizi sociali. In altre parole, a partire dal superamento degli OPG, sembra si stia strutturando nelle prassi un sistema giudiziario e di cura di comunità. Infatti, nel complesso le misure alternative alla detenzione, al 31 marzo 2023, sono 77.426 rispetto alle 72.713 del 2022 (+6,5%). Le persone con libertà vigilata al 30 aprile 2022 erano 4.567, di cui 4.298 maschi e 269 femmine e sono lievemente aumentate al 31 marzo 2023 diventando pari a 4.616 (4.307 maschi e 309 femmine). Il numero di persone affidate al servizio sociale che, nell’anno precedente, era pari 21.464 (19.543 maschie 1921 femmine) oggi è cresciuto, divenendo di 25.057. Le sanzioni di comunità hanno riguardato 9.959 persone e la messa alla prova 25.030 persone.
Queste incoraggianti tendenze di potenziamento delle misure alternative alla detenzione dovrebbero essere, a nostro avviso, lo sguardo con cui affrontare il tema delle REMS il cui funzionamento è fortemente ostacolato dall’eccessivo utilizzo delle misure di sicurezza provvisorie. Si pensi che, ad oggi 271 su 580 ospiti delle REMS in Italia sono destinatari di una misura di sicurezza provvisoria. Esse sono nettamente prevalenti anche nella lista di attesa rappresentando il 61% del totale (411 su 675). Alla rilevazione del 31 marzo 2023 le persone in lista di attesa sono 675 di cui 42 detenute (37 con misure provvisorie e 5 definitive) e 633 in libertà.
Le persone con misure definitive (ex art 222 c.p) ospiti delle REMS nel 2022 sono 237, le stesse del 2021 contro le 258 del 2020 e rappresentano solo il 40,8 % degli ospiti. Pressoché stabile è il dato delle persone con misure ex art 219 c.p., le quali sono 72 nel 2022 rispetto alle 68 dell’anno precedente e costituiscono il 12,4% del totale degli ospiti delle REMS. Trattandosi di persone che hanno già scontato una pena in carcere, viene da chiedersi che senso abbia il loro ingresso in REMS e perché non sia stato possibile un percorso alternativo come prevede la legge n. 81/2014.
Dopo una progressiva crescita del tempo medio di permanenza in REMS[8], la Relazione evidenzia una riduzione a 633 giorni. Un’inversione di tendenza che, tuttavia, deve confrontarsi con una riduzione degli ingressi (da 298 nel 2021 a 206 nel 2022) e delle uscite (278 nel 2021 a 198 nel 2022).
Tali dati andrebbero approfonditi per comprendere le ragioni della riduzione del turnover. Tra le possibili cause vi potrebbero essere: la gravità dei reati, l’assenza di progetti specie per le misure provvisorie, il contenuto numero dei PTRI (presente solo il 46% dei definitivi), l’assenza di prospettive esterne per senza tetto (circa il 10% degli ospiti) e carenza di percorsi per stranieri 131 (22,3%) e le donne (in REMS sono 70, pari al 12% degli ospiti).
Serve una riflessione profonda sull’utilizzo delle REMS cui, secondo i dati, si fa ricorso in misura crescente soprattutto per misure provvisorie ed anche per reati di minore gravità. Ciò, chiaramente, mette in discussione il principio di residualità della REMS – uno dei cardini della l.n. 81 del 2014 – ove per altro permangono persone dimissibili. Questo rende difficoltoso il reperimento di posti REMS con la conseguente permanenza all’interno del carcere di persone detenute sine titulo (anche se per la maggior parte con misure provvisorie). Una condizione, giova ricordarlo, ingiusta e illegale così come emerge dalla ferma condanna dell’Italia da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo nel caso Sy contro Italia[9].
Un miglioramento della gestione dei posti e del turnover nelle REMS si può avere se verrà applicato l’Accordo della Conferenza Unificata del 30 novembre 2022. In tal senso è positivo che le attività terapeutiche-riabilitative, quali elementi costitutivi del percorso di cura, ancorché svolte in luogo esterno alla REMS, se vengono riportate nello specifico PTRI e non necessitino più di un ulteriore avvallo da parte dell’Autorità Giudiziaria. Le REMS, intese come luoghi di accoglienza residuali e transitori, operano, quindi, in completo raccordo con il Dipartimento di salute mentale del territorio e nell’ambito di un approccio di psichiatria comunitaria che ha come obiettivo la deistituzionalizzazione graduale e il reinserimento sociale della persona.
Un altro punto rilevante ma spesso in ombra sono le Articolazioni Tutela Salute Mentale (ATSM) presenti in 32 istituti su 190. Si ritiene che andrebbe valutata la loro distribuzione al fine di assicurare il rispetto del principio generale della territorialità che è essenziale per la presa in cura dei DSM. Nel 2020 le ATSM ospitavano un totale di 298 persone, nel 2021 262 e ulteriormente diminuite, al 31 marzo 2023, a 232 (-11,4%).
Negli Istituti di Pena le persone con un disagio accertato, cioè inquadrato in precisi articoli del codice penale o del DPR 230/2000, erano 381 nel 2022 diventati, al 31 marzo 2023, 350 (di cui 42 in attesa di REMS) pari allo 0,6% dei detenuti. Anche qui un trend in lenta diminuzione.
Conclusioni
La Relazione, in continuità con quelle degli anni precedenti, è colta, ricca di insegnamenti. Costituisce una bussola importante e indica il cammino da percorrere. Di seguito riportiamo alcune indicazioni per la salute.
In primis la costante sollecitazione ad un’ampia e fattiva collaborazione tra le Istituzioni che, nello spirito della Costituzione siano in grado, ciascuna per le proprie competenze, di affrontare la pluralità dei bisogni, a partire da quelli di base, sociali, educativi, formativi, lavorativi, alloggiativi, sanitari, di sicurezza. Secondo il Garante “chi ha una responsabilità istituzionale deve sempre tenere ben salda, anche quando i contesti mutano e la complessità si accentua: la direzione è quella della continua ricerca della maggiore inclusività e della maggiore coesione possibile”[10].
Una concezione della pena vista non solo come espiazione, rieducazione e reintegrazione sociale ma anche come possibile fonte di riparazione e riconciliazione. Una visione utile ad affrontare i problemi nella loro complessità e unitarietà, considerati nella loro co-esistenza, nella loro dialettica – talora contraddittoria – ma capace di sintonie se vissute in relazioni profondamente umane soprattutto se nate laddove sembra ormai svanita ogni speranza.
Per quanto attiene i percorsi per i pazienti con disturbi mentali autori di reato, l’insegnamento del Garante è di prevenire ogni spinta regressiva o tentativi di ritornare agli OPG. La riforma, ancora acerba e con diversi problemi, va completata sia con interventi legislativi sia con un lavoro congiunto tra Magistratura, Avvocatura, DAP, UEPE, periti, servizi sociali, psichiatria, Sindaci con il coinvolgimento di utenti, familiari, società civile e Garanti che può essere la base per una crescita culturale e al contempo la migliore condivisione dei percorsi e la definizione delle condizioni per la loro realizzazione. Ridurre al minimo o abolire il ricorso a misure di sicurezza detentive provvisorie e concertare i tempi tra giustizia e psichiatria potrebbe risolvere larga parte dei problemi, soprattutto se verranno stanziate adeguate risorse per l’intero sistema riformato al fine di strutturare, ciò che si sta delineando nelle prassi, e cioè un sistema di welfare e giudiziario di comunità.
Un riferimento per i diritti e i doveri che consente la più appropriata declinazione dei contenuti della misura giudiziaria e degli interventi sanitari che richiedono consenso (“nulla su di me senza di me”)[11], protagonismo, responsabilità e speranza in quanto sappiamo che non vi può essere cura nella coercizione.
Se la l.n. 180/1978 ha reso i malati mentali “cittadini”, ancora molti sono i diritti violati[12] e, a completamento della Riforma, si ritiene che il legislatore dovrebbe realizzare una riforma organica superando il sistema del doppio binario come proposto nella proposta di legge n. 1119/2023 promossa dall’on. Magi.
In tutti questi anni, le Relazioni si sono caratterizzate per una saggezza intrisa di umanità e sapienza nell’affrontare fenomeni complessi, dolorosi, carichi di aporie, visti nella loro evoluzione. In ogni passaggio emerge la capacità di tenere insieme punti di vista assai differenti e lontani, tra reo e vittima, tra chi si occupa di giustizia, sicurezza, sociale, salute e cultura, senza tralasciare, quando necessario, gli elementi critici, per indicare a tutti e alla comunità nel suo complesso, la necessità di trovare punti d’incontro, di dialogo, che diano senso e valore ad esperienze privative della libertà affinché questa possa tornare ad essere piena in quanto diritto e bene comune.
Essere garanzia non solo in nome della legge ma di un mandato vissuto come proprio da ogni Istituzione consente di affrontare la sofferenza nella sua essenza profondamente umana. Ciò è tanto più importante, in questo periodo post-pandemico, una fase definita “sindemica” nella quale diverse crisi sanitaria, sociale, economica, ambientale e della pace si complicano e si aggravano reciprocamente portando frammentazione, dispersione, conflitti. Questo può essere evitato da uno sguardo lungo, unitario e fortemente radicato nella Costituzione. Al Dott. Mauro Palma e al Collegio va un sentito ringraziamento per l’alto valore culturale, l’equilibrio rispetto ai problemi, la capacità di cogliere la complessità e la sofferenza alimentando sempre la speranza.
[1]https://www.garantenazionaleprivatiliberta.it/gnpl/pages/it/homepage/pub_rel_par/
[2] Scaricabile al sito: https://www.garantenazionaleprivatiliberta.it/gnpl/it/pub_rel_par.page
[3] Ufficio di sorveglianza di Spoleto, Ordinanza n. 23/2023.
[4] Ufficio di sorveglianza di Spoleto, Ordinanza n. 23/2023, p. 7.
[5] Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, Relazione al Parlamento 2023, p. 48.
[6] Accordo 30 novembre 2022 della Conferenza Stato Regioni “sulla proposta del Tavolo di consultazione permanente sulla sanità penitenziaria di collaborazione interistituzionale inerente la gestione dei pazienti con misura di sicurezza”.
[7] Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, Relazione al Parlamento 2023, p. 50.
[8] La permanenza media in REMS è stata di 452 giorni nel 2018, 548 nel 2019, 634 nel 2020, a 708 nel 2021.
[9] Corte europea dei diritti dell’uomo, AFFAIRE SY c. ITALIE (Requête no 11791/20).
[10] Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, Relazione al Parlamento 2023, p. 38
[11] Convenzione ONU Diritti delle persone con disabilità (2006) ratificata con la Legge n. 18/2009
[12] Pellegrini P., Paulillo G., et al. Persone con disturbi mentali in ambito penale. Diritti e doveri: molto resta da fare! L’Altro, Anno XXIV, n. 2 Luglio Dicembre 2021Gennaio-Giugno 2021, 25-30