“Ragazze interrotte”, il capolavoro di James Mangold ispirato al memoir di Susanna Kaysen, racconta una storia che intreccia il vissuto psicologico personale con l’analisi del disagio mentale collettivo.
Ambientato negli anni ’60, il film mette in evidenza un’epoca in cui il trattamento dei disturbi mentali si confrontava con paradigmi spesso rigidi e poco empatici.
La protagonista, Susanna, interpretata da Winona Ryder, rappresenta un punto di accesso unico al mondo complesso del Disturbo borderline di personalità.
Ricoverata dopo un tentativo di suicidio, si trova a fare i conti con una realtà alienante che, pur costringendola, le offre un’opportunità di introspezione.
Il film è capace di trasformarsi in una lente d’ingrandimento su un universo emotivo spesso frainteso.
Le radici del disturbo borderline: teoria e rappresentazione
Il Disturbo borderline di personalità, centrale nella trama, è descritto dal DSM-5 come una condizione di instabilità pervasiva nei rapporti, nell’autopercezione e nella gestione delle emozioni. A differenza di altre condizioni psichiatriche, il soggetto borderline vive una fusione disarmonica tra il sé e l’ambiente, che si traduce in un’incapacità di gestire le proprie emozioni senza scivolare in comportamenti disfunzionali.
Questa caratteristica emerge in modo vivido nelle azioni di Susanna, che alterna momenti di chiusura a gesti estremi, spesso guidati dall’impulsività.
Il film rappresenta con autenticità il caos interiore che accompagna questa condizione, offrendo uno scorcio sul meccanismo psichico alla base: la mancata separazione tra il mondo interiore e quello esterno.
Come indicato da Searles, l’incapacità di differenziare il sé dagli altri genera una sovrapposizione emotiva che rende difficile costruire relazioni sane o mantenere un equilibrio interiore.
L’ambiente della clinica: spazio di confronto e frammentazione
La clinica psichiatrica diventa lo specchio delle tensioni interne della protagonista. Ogni personaggio che Susanna incontra rappresenta un frammento di sé, quasi fosse una proiezione delle sue paure o aspirazioni.
Lisa, interpretata da Angelina Jolie, è il contraltare di Susanna: una figura al tempo stesso potente e fragile, capace di incarnare la ribellione e il disorientamento.
Il rapporto tra le due è uno dei fulcri narrativi del film. Lisa sfida Susanna a guardare oltre la superficie del proprio disagio, ma nel farlo le impone di affrontare i lati più oscuri della propria personalità.
Questo dualismo offre un quadro di come le relazioni possano essere sia fonte di crescita sia di ulteriore sofferenza per chi vive una condizione borderline.
Il cinema come veicolo di introspezione
“Ragazze interrotte” utilizza il mezzo cinematografico non solo per raccontare una storia, ma per far immergere lo spettatore nella psiche di chi convive con una condizione mentale complessa. Attraverso scelte registiche precise, come il passaggio tra presente e flashback, il pubblico viene trasportato in una dimensione di frammentazione e ricostruzione continua.
Le immagini, spesso cupe e claustrofobiche, riflettono lo stato d’animo della protagonista, mentre i dialoghi offrono uno spaccato autentico della lotta interiore che caratterizza il Disturbo borderline. Il risultato è una narrazione che supera la rappresentazione, diventando un’esperienza emotiva e riflessiva per lo spettatore.
Le emozioni al centro della narrazione
Un aspetto fondamentale del film è il modo in cui tratta le emozioni come protagoniste silenziose ma onnipresenti. La sofferenza, il senso di vuoto, la rabbia e l’insicurezza si alternano senza soluzione di continuità, creando un flusso narrativo che segue le oscillazioni del vissuto interno di Susanna.
Una delle scene più significative, quella in cui Susanna riflette sul desiderio di morire, rappresenta un momento di vulnerabilità assoluta.
Le sue parole, “so cosa significa voler morire e che sorridere fa male”, catturano in modo diretto e viscerale il tormento di chi vive con un costante conflitto tra il bisogno di sentirsi accettati e l’incapacità di conformarsi a ciò che gli altri si aspettano.
Il significato simbolico del titolo
Il titolo del film, “Ragazze interrotte”, assume un valore che va oltre la semplice traduzione del libro di Kaysen. L’interruzione a cui fa riferimento è una metafora della vita sospesa, frammentata, che caratterizza le protagoniste.
Queste interruzioni si manifestano nei percorsi esistenziali bloccati, nei rapporti familiari instabili e nei tentativi falliti di trovare una propria identità.
La pellicola riesce a trasmettere questa sensazione attraverso una narrazione volutamente frammentaria, dove i confini tra ricordo e realtà, tra razionalità ed emozione, si dissolvono.
Questa tecnica narrativa consente di esplorare il disagio mentale non come una condizione statica, ma come un percorso in continua trasformazione.
La fragilità come elemento di crescita
“Ragazze interrotte” non offre soluzioni né finali consolatori, ma invita a guardare la fragilità come a una parte ineliminabile della condizione umana. Attraverso il viaggio di Susanna, lo spettatore può interrogarsi sul valore del confronto con se stessi e con gli altri, in una società che spesso fatica a comprendere chi esce dagli schemi.
La forza del film sta proprio nella capacità di rappresentare il disagio senza edulcorarlo, ma nemmeno senza cedere alla disperazione.
Mostra che, anche nei momenti più bui, esiste la possibilità di intravedere una luce, non come promessa di una guarigione definitiva, ma come accettazione del proprio universo emotivo.
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