Commento alla notizia dell’ 8 marzo 2016
Ciò che colpisce è che questa inchiesta sul sempre più esteso uso dei messaggi telefonici e sulla riservatezza perseguita dagli utenti è stata condotta da Eurodap, associazione che si occupa del disturbo da attacchi di panico: come mai, dato che il motivo di questo specifico interesse non è così evidente a prima vista? Curiosi per mestiere come siamo, vien da rifletterci.
Secondo varia letteratura, della dinamica psicologica degli attacchi di panico fanno parte vissuti di perdita di sicurezza e protezione con sensazione di dissolversi e sparire, difetto di insight e di capacità di riconoscere le proprie emozioni nonché di coglierne il senso e di gestirle, non pensabilità dell’evento traumatico, il tutto sintetizzato nel termine “analfabetismo emozionale”.
Tutto ciò può intrecciarsi con le caratteristiche del messaggiare con il cellulare. Esso è veicolo di informazioni pratiche ma anche di comunicazioni emotive, cui offre particolari modalità: è un un canale di comunicazione ma anche un filtro.
La comunicazione faccia a faccia e anche quella telefonica tradizionale associano al significato letterale un insieme di componenti non verbali mal controllabili come la mimica e il tono di voce; inoltre, “voce dal sen fuggita più richiamar non vale”. Tutto ciò non vale nei messaggi di cui parliamo, portatori del solo significato verbale letterale. Inoltre, fra la formulazione del messaggio e il suo invio si inserisce un intervallo che può essere di riflessione: il messaggio può esser ritoccato, rimaneggiato, cancellato. Non è azzardato pensare che possa divenire un tramite comunicativo privilegiato soprattutto per persone che hanno un difficile contatto con le proprie emozioni, e che proprio perciò possono avvertire un accentuato bisogno di riserbo se non di segreto.
E’ da ricordare anche il fenomeno del ricorso a simboli impersonali quali indici di uno stato d’animo: cuoricini, faccine sorridenti o imbronciate, compromesso che aiuta a comunicare qualcosa di molto generico, senza metterci troppo di se stessi.
Certo, non è da pensare che questi siano comportamenti esclusivi del disturbo da attacchi di panico, né a quanto ne so esistono dati epidemiologici che li dimostrino più frequenti in tale disturbo; ma forse il collegamento che ipotizzo può aiutare a capire una delle motivazioni di un massiccio ricorso al messaggio.