Non sono affatto esperto di AI, e neppure di informatica in generale, ma il tema – l’intelligenza artificiale è pensiero? – è tanto grosso che non può esser lasciato ai soli esperti: riguarda tutti noi e il nostro futuro. Sollecita angosce in parte giustificate, in parte venate dalla persecutorietà sempre sollecitata da novità così pervasive: è angosciante la possibilità che l’uomo, signore del creato, possa essere scavalcato da “qualcosa” o “qualcuno” che lo supera e magari lo può dominare; angoscia accresciuta, anziché diminuita, dalla consapevolezza che questo qualcosa sia stato da noi creato o sprigionato, come il genio dalla bottiglia. Anzi, questa consapevolezza può insinuare nella nostra reazione una nota di colpevolezza. La macchina “pensante” può rappresentare una minaccia, immaginaria e/o reale, alla nostra identità esclusiva di “re del creato”. Tutto ciò può rappresentare un Bias nella nostra valutazione delle possibilità e rischi connessi all’Intelligenza Artificiale. Un bias opposto può essere l’entusiasmo creativo degli addetti ai lavori.
Le previsioni del grande Turing
L’articolo di Maurizio Ferraris sul Corriere della Sera, ricorda come il grande Turing avesse già previsto la creazione di macchine capaci di pensare, tali da rendere difficile distinguere questa loro attività da quella umana. Ciò si è ampiamente realizzato: la capacità computistica, ragionieristica, della macchina supera e di molto quella umana, grazie alla sua capacità di accumulare ed elaborare enormi quantità di dati. Ciò si esemplifica in modo semplice e diretto nella sua dimostrata superiorità negli scacchi. Lì vince chi sa prevedere gli effetti della possibile mossa su una serie più lunga possibile di successivi passaggi: compito pressoché infinito, poiché il numero di alternative si va moltiplicando in una progressione che non so se definire geometrica o esponenziale.
Sviluppare una coscienza
Ma le macchine quanto possono rivaleggiare con l’uomo o superarlo quando si tratta di sviluppare una coscienza? Pare che Turing lo ritenesse possibile, o almeno non facilmente negabile considerando che anche della coscienza umana sappiamo ben poco: ognuno di noi conosce la propria, ma poco o nulla di quelle degli altri (come, aggiungo, rilevato da Karl Jaspers nella sua Psicopatologia Generale dove mostrava che dell’Erlebnis altrui possiamo solo ipotizzare qualcosa in base agli indizi).
Il problema della possibile coscienza delle macchine si pone particolarmente oggi, quando si sviluppano robot capaci di mimare il comportamento umano. È proposta una terapia comportamentale condotta dalla AI; e descritta una integrazione fra il bambino e il robot che sembra un bambino e che pare capace di suscitare nel primo sentimenti di affetto. È questa una relazione vera o un inganno?
L’analisi di Diego Marconi
Diego Marconi esamina a fondo il problema, e conclude che la macchina non è in grado di propriamente pensare (problema connesso, se non coincidente, a quello della coscienza). Ritiene di no, e per tre ragioni: l’intelligenza non è il pensiero, ma il pezzo di pensiero che fa calcoli e ragionamenti logici seguendo routine quotidiane; il pensiero umano è rivolto a finalità pratiche, a mete (aspetto, aggiungo, connesso al pragmatismo di John Dewey); e nel perseguire tali finalità è spinto da motivazioni, dunque dal desiderio in senso lacaniano.
E qui si è portati a chiederci se la macchina è in grado di desiderare, di avere motivazioni, necessariamente emotive . Il grande Kubrik già decenni fa suggeriva scherzosamente (ma non troppo) di sì: il computer di bordo, frustrato e incollerito, faceva volutamente sbagliare percorso alla navicella spaziale. Si chiamava Hal: H,A,L quale parafrasi di I,B,M.
Sarebbe questa una prospettiva davvero allarmante; ma fortunatamente pare improbabile. Le nostre emozioni sono necessariamente connesse al soma come lo conosciamo. Nella collera e nella paura si registrano scariche di adrenalina; la fame, il desiderio sessuale, hanno corrispettivi biochimici e fisiologici, legati a specifici organi extracerebrali. Una macchina capace di iniziativa e di desiderio dovrebbe avere un hardware tanto diverso da quelli che conosciamo da renderlo inimmaginabile.
Possibilità e rischi connessi all’Intelligenza Artificiale
Il problema è chiaramente collegato a quello della coscienza; e qui si tratta di intendersi. Se parliamo di pura e semplice consapevolezza, di conoscenza di ciò che accade nel nostro mondo interno, credo che ciò sia non solo alla portata della macchina, ma necessario: la macchina non può non essere informata delle proprie operazioni. Può dunque esser consapevole di sé stessa: le si può applicare il Cogito ergo sum di Cartesio, una sorta di conoscenza dell’interiorità.
Diverso il discorso se parliamo di Coscienza nelle più vaste accezioni che la attribuiamo. Quanto alla coscienza morale: come nuovi Mosè, possiamo instillarle alcuni precetti, e qualche autore di fantascienza ha immaginato le si instillasse il divieto di nuocere a esseri umani. Ma qui si tratta di vedere se ha la capacità di valutare e criticare gli ordini ricevuti o se li esegue ciecamente ignorando un criterio superiore: problema che va dalla posizione di Antigone a quella opposta delle SS.
E coscienza come intenzionalità, ancora nel senso di Jaspers: l’essenza della Coscienza è esser diretta a significare l’oggetto, riflettendo anche su se stessa. Potremmo dire che è una costante ricerca di senso, ancora una volta animata dal desiderio.
Mi sembrano cose difficilmente alla portata di una macchina.