Commento all’articolo apparso su La Repubblica il 13 settembre 2016
L’interessamento neurobiologico e genetico all’autismo sembra guardare lontano. Si occupa di come l’occhio del neonato è attratto dall’altro-da-sé. Della qualità con cui si aggancia all’ambiente circostante.
L’autismo è una patologia mentale che per la precocità e pervasività che ha sullo sviluppo psichico può essere considerata un handicap. Secondo la finestra in cui si osserva può diventare un handicap biologico, genetico, relazionale.
Alla base della patologia autistica secondo la teoria metarappresentazionale c’è un deficit della capacità rappresentativa di second’ordine che permette di rappresentare, con lo stabilirsi del cosiddetto pensiero rappresentativo, sia gli stati mentali sia quelli fisici.
Che cosa succede nell’elaborazione di questo processo non è del tutto chiaribile perché gli aspetti neurobiologici e forse anche affettivi legati dall’espressione genetica si embricano con alcuni processi della costituzione intrapsichica del soggetto di cui si è occupata la filosofia e la psicoanalisi attorno ai concetti di coscienza, di Io e di Sé.
La finestra osservativa da cui si definisce la patologia autistica ne spiega quindi la natura.
Tuttavia in definitiva il soggetto autistico presenta un’assenza di consapevolezza sociale di sé nel rapporto con gli altri.
L’importante ricerca neuro scientifica di “guardare il bambino autistico negli occhi”, deve accompagnarsi con quella umanistica e psicoanalitica di continuare a interrogare il soggetto nella mancata ricerca dell’Altro.
Il guardare lontano delle neuroscienze non va solo nella direzione del futuro, ma anche del passato.
Il concetto di sguardo si trova in nascere nei Tre saggi sulla teoria sessuale del 1905 di S. Freud in cui è argomentato il “piacere di guardare” come la matrice del piacere dell’invenzione, del piacere della scoperta, quello che M. Klein definirà pulsione epistemofilica. Il concetto troverà una continuità nell’“oggetto-sguardo” in Il seminario Libro XI del 1964 di J. Lacan.
Il concetto di rappresentazione secondaria in definitiva non è forse quella di cui inizia a parlare S. Freud in L’interpretazione dei sogni del 1899 descrivendo un inconscio “rappresentativo”, teatrale, simbolico, linguistico? E come sogneranno i bambini autistici?
Un fronte da approfondire con l’indagine neuro scientifica sarebbe la ricerca dell’altro che il bambino declina in forma di “grido” che si rinviene in Progetto di una psicologia del 1895 di S. Freud come appello a chi a lui più prossimo. Il bambino come grido che convoca l’altro prossimo alla presenza. Concetto sviluppato in Il seminario Libro X del 1963 di J. Lacan con la teorizzazioni di “oggetto-voce”.
In che correlazione sta l’essere visto con il guardare e l’essere ascoltato con il gridare? W. Winnicott in Gioco e realtà del 1971 scrive: “Quando guardo sono visto, così io esisto”.