«Il naufragio in Calabria? La disperazione non può mai giustificare condizioni di viaggio che mettono in pericolo la vita dei propri figli».
Così il ministro Piantedosi risolve la vicenda della strage di Cutro. Sembra incredibile che un ministro della Repubblica possa rovesciare sulle vittime la responsabilità.
È chiaramente una strage, non un incidente in mare quella di cui si parla, un evento delittuoso di cui si sporcano le mani una lunga catena di soggetti.
Prima di tutto politici ed economici, quindi le grandi organizzazioni criminali di trafficanti di uomini e come ultimo tassello i disperati scafisti, le mani che guidano, rischiando la vita, le carrette del mare verso approdi sempre più improbabili. Nessuno aveva mai pensato prima che in questa catena di responsabilità potesse essere coinvolta la genitorialita’.
La madre che sale a bordo deve essere ritenuta responsabile di mettere a repentaglio la vita del figlio. Notevole intuizione del ministro dell’Interno che aggiunge una inattesa visione.
Se è così il Ministro dovrebbe andare a parlare con quella gente, dovrebbe dire loro quello che pensa guardandoli negli occhi. Probabilmente vedrebbe altro dolore, occhi bassi, quella è gente che non ha la forza di ribellarsi, di dire la propria, quella è la stessa gente di cui parla il Film di Segre Trieste è bella di notte, quella che beve dalle pozzanghere.
Forse l’unico atto di ribellione di quella gente sta proprio nella partenza, nella fuga, nel tentativo di sopravvivere.
Ecco Signor Ministro, vada a parlare con quei disperati, si faccia un’idea degli uomini guardandoli in faccia, come fanno gli operatori della salute mentale di questo paese che lei rappresenta. I disperati, gli ultimi, quelli senza casa, lavoro, quelli che una vita non ce l’hanno più o non ce l’hanno mai avuta, che siano italiani, asiatici o africani, quelli che hanno poca o nessuna possibilità di scegliere.
Parto o non parto? Questa nave è sicura o no? Le condizioni meteorologiche sono favorevoli? Non sarà che metto a rischio la vita di mio figlio?
Queste domande se le può fare lei, non chi è naufrago prima ancora di partire.
Questo articolo è stato scritto da Federico Russo in collaborazione con il Gruppo Ascoltiamoci: gruppo indipendente di “auto-mutuo-aiuto” tra professionisti della salute mentale dei servizi pubblici. Raffaele Barone (Sicilia), Giuseppe Cardamone (Toscana), Alessandro Coni (Sardegna), Marco Grignani (Umbria), Edvige Costanza Facchi (Toscana), Angelo Malinconico (Molise), Massimo Mari (Marche), Federico Russo (Lazio).
In occasione del giorno della memoria ho seguito un evento organizzato dalla SIP di Milano. Era interessante dolorosamente interessante seguire la testimonianza del comportamento svizzero verso gli immigrati: frontiera chiusa, frontiera aperta, solo ad alcuni, solo a più, questione di giorni e la vita di alcuni di molti finiva (ebrei e non ebrei ). Un bel film documentario fatto da un luganese con la partecipazione di un figlio della Segre .
Cosa c’entra? La disperazione di perseguitati non conosceva le date, le regole della sicurezza, faceva conto sulle sue risorse, sulla voglia di vivere, (di portare la piccola Segre al riparo non certo in un campo di concentramento). Persone istruite affrontavano l’avventura del pericolo di una enorme trasgressione, ma se stavano qui temevano la fine. Incoscienti? chiediamolo al nostro politico. Dovevano essere prudenti non scappare non rischiare. Morire qua, deportati “in regola” in altri posti per morire. O forse sopravvivere.
Vivere vuol dire sperare aver fiducia sognare scappare da situazioni insopportabili … vivere voler vivere.
Poi ovviamente ci saranno incoscienti in mezzo a disperati e persone che non hanno altro che fare per poter vivere che andare contro la legge. Sono questi i colpevoli?
Grazie del vostro gruppo di auto mutuo aiuto
È che mettersi nei panni di queste persone, solo riuscire lontanamente ad immaginare cosa provano, sentono, pensano quando “scelgono” di imbarcarsi su improbabili mezzi di attraversamento verso luoghi altri dalla loro non vita per tentare di vivere, è veramente difficile, se non impossibile. Ci fa troppo male, ci scarica addosso responsabilità troppo pesanti per essere sostenute, non ce la facciamo!
Si tratta di un circuito perverso che specula sulla disperazione e sulla speranza dai governi europei a quelli di appartenenza, agli scafisti e alle ONG
Ci si commuove, ci si indigna (mi viene in mente una nota canzone di Faber), si denuncia, ma concretamente non si fa nulla per aiutare i poveri e i disperati.
Forse non sarebbe male ricordare che il benessere (certo, squilibrato) che attira queste persone l’hanno conseguito i nostri avi anche depredando i loro contesti di vita, i loro habitat. E forse ciò sta continuando?
Ai commenti che condivido, aggiungo solo che questo è il pensiero profondo enunciato da una certa destra liberale, progressista e democratica; auguriamoci solo che non diventi “illiberale”…