[Vorrei proporre alcune riflessioni giocate tra confini e contraddizioni che tuttavia appartengono a quella cultura psichiatrica a mio avviso più consona a sostenere creativamente pratiche e idee in evoluzione cioè significativamente orientata alla dimensione comunitaria in senso lato solitamente più rappresentata tra fenomenologi e psicoterapeuti . Desidero riproporre e prendere spunto da tre diverse aree: il rapporto tra psichiatria e le altre discipline mediche,il rapporto tra arte e cura, il rapporto delle cure che utilizzano riferimenti allo sviluppo delle conoscenze sulla mente di ambito psicoterapeutico e neuroscientifico].
Voglio partire da una poesia folgorante collegandola con elementi di pregiudizio e rigidità istituzionalizzanti e per converso a pratiche efficaci che ho voluto riprendere da ambiti medici non psichiatrici , esempi di un’utile concretezza dettata da un fattivo desiderio di curare.
“Dì addio a stare in piedi,/disse mia sorella. Sedevamo sulla nostra panchina preferita/fuori dalla stanza comune,sorseggiando/ un bicchiere di gin senza ghiaccio./Sembrava più o meno acqua, sicchè le infermiere/passando sorridevano,/soddisfatte che ci stessimo idratando ben bene. ( Louise Glück Ricette per l’inverno dal collettivo. Il SaggiatoreEd.)”
Poeta statunitense, vincitrice del premio Nobel per la letteratura nel 2020, spirito forte, spiazzante e di grande eleganza Louise Glück con le sue poesie trascina in un racconto che mi pare poter definire, silenzioso, anche per quanto ha a che fare con il suo mondo interno che condivide tramite immagini ed è permeato dalla Natura . Si esprime molto chiaramente infatti, quando dice “Ciò che altri hanno trovato nell’arte,/io l’ho trovato nella natura. Ciò che altri hanno trovato/nell’amore umano,io l’ho trovato nella natura”.
Un’altra faccia di questa scrittrice riguarda una forma di contatto ironico e dissacrante con certe scomode realtà molto evidenti per noi europei nello sguardo critico attraverso cui guardiamo all’America, realtà che peraltro ci appartengono più di quanto crediamo.
Vorrei focalizzare l’attenzione sui primi versi che ho citato per come illustrano certe aree del rapporto tra cure e istituzioni e soprattutto tra curanti e curati. A volte ,zone oscure , riguardano una sorta di stupidità, fatte di reciprocità narrative cariche di retorica forse adattative e finalizzate ad addomesticare o forzare impasse relazionali e comunicativi. Ricordo , alcuni già conoscono la storia di un nostro paziente bipolare che per un certo periodo ha assunto i sali di litio soltanto in occasione dei prelievi ematologici… quasi proteggendo la relazione con il terapeuta da fratture legate ad una irriducibile avversione. Penso ovviamente che in psichiatria condividiamo il problema (oggi rubricato con il termine inglese di compliance) presente in qualsiasi tipo di disciplina medica. Percorsi evidentemente virtuosi per affrontarlo ed avvicinare alle cure con strategie (vedi PODI) e farmaci (vedi CARLA ) adeguati al contesto appartengono, come quelli che ho citato tra parentesi per brevità, all’ambito infettivologico e le strategie citate si sono sviluppate per traghettare ai percorsi terapeutici malati di AIDS.
Benchè ci sia da sperare che competenze specifiche consentano in psichiatria modalità di comunicazione adattate alle complesse circostanze esistenziali dei nostri pazienti, spesso è possibile imparare da altri ambiti medici pratiche innovatrici per semplificare l’accesso alle cure in quanto paiono conservare maggior concretezza nella ricerca di alleanze terapeutiche. In sintesi tuttavia rendere praticabili le cure significa essenzialmente capacità di semplificare e accogliere , così come stabilire relazioni fungibili in primis prevede l’esserci: “Lei ha chiamato nel posto giusto!” la risposta cardine per un buon inizio di un’indispensabile alleanza terapeutica così ben identificata ed eplicitata dagli insegnamenti di “Open dialogue”.
Peraltro ,per aprire un dialogo comprensivo, l’apprendimento più naturale resta il più adeguato e godibile, mi riferisco a quanto possiamo imparare dal ripercorrere storie di umanità vissuta e cioè sperimentare e “vivere di più” col tramite delle vite degli altri nel racconto e nell’osservare. Come, per tornare ai versi di Louise Glück , ci fa sperimentare la poesia, mostrando in modo folgorante, l’intimità complice della sorellanza in situazioni critiche dove il “salutare”, rigidamente igienico [idratarsi ben bene], viene a rappresentare solo un ostacolo rispetto al più importante scambio dello stare insieme, nell’habitat proprio di una specifica cultura familiare forse con il ricordo delle trasgressioni adolescenziali ed anche il cinismo disperato dell’età adulta in momenti di perdita o malattia grave o altri eventi traumatici di cui alcune vite sono più cariche , ma che ognuno può intendere e partecipare.
Lo scopriremo solo vivendo …diceva una canzone della mia gioventù, oggi mi è sempre più chiaro quanto si deve all’apprendere dall’esperienza.
W.Bion con questo titolo in uno tra i suoi lavori più noti e importanti ha affrontato la questione del senso (non del significato) e di come il pensiero può contenere il senso conducendo la sua riflessione sui percorsi di elaborazione e trasformazione:”Credo sia possibile dare qualche idea del mondo che si dischiude,nel momento in cui cerchiamo di comprendere il nostro comprendere.”con queste parole infatti propone l’obiettivo di Apprendere dall’Esperienza.
Da quegli studi pionieristici è passato molto tempo e molte conoscenze hanno potuto evolvere in dimensioni più ampie e interdisciplinari ,mi preme sottolineare quest’ultimo elemento di sempre maggior valore condiviso in risonanza con il tema dell’intersoggettività.
Per converso anche l’ ambito letterario sviluppa con sempre maggior frequenza ricerche di rilievo interdisciplinare , mentre le teorie letterarie si sono rivelate utili per definire il funzionamento del cervello e della mente per come sono prese in considerazione da illustri neuroscienziati come Daniel C.Dennett o Gerald M. Edelman ed anche il modello narrativo viene ampiamente utilizzato per descrivere le attitudini cognitive di Homo sapiens. (si veda “perché le storie ci aiutano a vivere di Michele Cometa Ed Raffaello Cortina 2017)
Mi piace concludere con le bellissime parole di Tzvetan Todorov da “What is literature for?”:
Abbiamo necessità di includere le opere d’arte del passato nel gran dialogo che si svolge tra gli umani, un dialogo che è cominciato all’alba del tempo e in cui ognuno di noi, per quanto piccola sia la sua parte partecipa ancora. Noi, gli adulti, abbiamo il dovere di passare alle future generazioni questa fragile eredità, queste parole che ci aiutano a vivere.”
Molto interessanti le riflessioni sulle possibilità che la letteratura offre di esplorare il mondo affettivo, cognitivo, relazionale dell’essere umano. Se è vero che dalle esperienze degli altri si possono sempre trarre utili insegnamenti di vita, questo vale ancor di più quando la mediazione avviene attraverso un’opera d’arte. Che cosa più della poesia riesce ad esprimere la gioia o il dolore, la fragilità, lo smarrimento, la lacerazione dell’animo umano ….?