Commento all’articolo di Marco Belpoliti dell’8/02/2020
Citando Garfield, Belpoliti ci parla di tante piccole cose che creiamo perché affascinati dal “piccolo”: i trenini, i modellini architettonici, il circo delle pulci, certi libri quasi invisibili, quelle mille varietà di giocattolo che riproducono in piccolo cose, animali, persone.
Garfield conclude che la miniatura ci trasporta in un mondo più preciso e brillante di quello che frequentiamo ogni giorno: lì il rifugio dai nostri fallimenti: lo sguardo diventa più concentrato e più ricco, la realtà priva delle ombre consuete.
Ma credo che il cercare e/o creare cose piccolissime sia ben più di un simpatico hobby o di autoterapia. Ne sembrano consapevoli l’autore e l’articolista quando scrivono che controllare in dimensioni minuscole anche solo una piccola parte di un mondo gigantesco e minaccioso può aiutarci a ristabilire un ordine e darci insieme il senso del nostro supposto valore.
Per quanto si desume dall’articolo, il discorso si ferma a questo livello, e credo invece meriti qualche pur sommario approfondimento.
Quasi superfluo ricordare Winnicott e il ruolo, nello sviluppo psicoemotivo, del gioco, che così spesso ricorre alla miniaturizzazione. E cimentarsi con una riproduzione della realtà in scala minore è anche un buon addestramento.
La miniaturizzazione ha costituito e costituisce un importante strumento per conoscere e padroneggiare un universo troppo più grande di noi: pensiamo ai mappamondi, alle sfere armillari… E, su scala più modesta, sono miniaturizzazioni del reale le mappe cartacee o digitali o introiettate nella mente, senza le quali non potremmo avventurarci più di tanto nel mondo che ci circonda. Una variante importante delle mappe è quella che fa ricorso alla fotografia aerea; e la visione dall’aereo – o da una cima montuosa, o dalla Torre Eiffel come ricorda il libro – è un importante modo di padroneggiare il reale rimpicciolendolo, e qui insieme alla concreta utilità operativa si ripresenta una componente emotiva: può piacere il veder le persone piccole come formiche …. Forse questa è una non piccola componente del fascino che esercitano le vette.
E la scrittura? A, Aleph, Alfa: pare acquisito che sia una testa di bue debitamente impicciolita e stilizzata. Beta, Beth rappresentava forse in origine una minuscola casa. La miniaturizzazione è dunque tappa necessaria dello sviluppo del pensiero, almeno nella sua forma scritta e forse non solo in questa? Il Neanderthal aveva cervello più grande del nostro, e ciò forse perché non disponeva di quell’importante miniaturizzazione che è il linguaggio: doveva pensare per immagini e queste – ce lo insegna l’informatica – sono ingombranti più delle parole. Per noi il pensare il mondo – rimpicciolirlo tanto che ci “stia in testa” – necessita di modelli, di segni, di simboli: e al di là della loro complessità essi sono comunque modalità rimpicciolenti rispetto al reale cui alludono. La storia del mondo può essere contenuta in un libro, la sua geografia in un atlante: strumenti che le rendono accessibili e fruibili.
Questo insieme di procedimenti, più che utili indispensabili e costitutivi del nostro essere nel mondo, può tuttavia alimentare illusioni di onnipotenza: a volte dimentichiamo che controllare un modello da noi creato non è la stessa cosa che controllare la realtà esterna, e questa è componente essenziale della magia. Ciò non accadeva solo ai c.d. primitivi i quali pensavano che agire sull’immagine dipinta o modellata di un avversario o di un animale (fra parentesi: di solito più piccola) fosse la stessa cosa che agire direttamente su di essi. Forse e senza forse ci portiamo dentro ancora tracce di pensiero magico. Da Totem e Tabu: “L’onnipotenza dell’uomo non trova più posto nella visione scientifica del mondo, giacchè egli ammette la propria piccolezza, è rassegnato alla morte ed è sottomesso a tutte le necessità della natura. Tuttavia una parte dell’originaria credenza nella propria onnipotenza sopravvive con la fiducia nella potenza dell’intelletto umano, che impugna le leggi della realtà”.