Lo psicologo del lavoro è una figura fondamentale per l’industria lavorativa, poiché si occupa di gestire le relazioni, le dinamiche selettive, e la formazione del personale, apportando un valore aggiunto alla crescita del lavoratore o dell’azienda e promuovendone il benessere in toto.
Come nasce la psicologia del lavoro?
Questa branca viene definita per la prima volta nel 1913, in Germania, con il termine “psicotecnica”, per definire «la scienza che si propone di applicare la psicologia alla tecnica del lavoro umano e da tale definizione il suo dominio e i suoi limiti sono chiaramente determinati.» (cit. Guido Della Valle). In Italia, negli anni ’50 si coniò il termine “psicologia industriale”; in Gran Bretagna venne chiamata “psicologia dell’occupazione”; e infine, negli Stati Uniti, “psicologia del lavoro”.
L’impronta più tecnica della psicologia del lavoro è nata sotto la corrente della psicologia sperimentale di Wilhelm Wundt, il quale ha determinato i fondamenti scientifico-psicologici, applicati poi nel rapporto tra l’essere umano e il lavoro, di questa area. Allievo di Wundt fu poi Hugo Münsterberg, che viene considerato il creatore della psicotecnica e colui il quale portò la psicologia del lavoro dal mero studio teorico all’applicazione pratica.
La psicologia del lavoro si è poi estesa prevalentemente negli Stati Uniti, e considera le persone come membri di un gruppo, di un team, nel quale è fondamentale il rapporto che si instaura e la cui attenzione viene posta sulla comunicazione e sulla produttività di tutti i membri.
Come si diventa psicologo del lavoro?
Per diventare psicologo del lavoro, è importante perseguire un percorso di studi mirato a una formazione specifica che è diversa da quella degli psicologi normali: infatti, dopo aver terminato gli studi ed essere entrati in possesso di una Laurea magistrale in Discipline Psicologiche, si potrà decidere di frequentare dei corsi di formazione specifici in base alla disciplina che si vuole intraprendere – neuroscienze, psicologia sociale, psicometria – ed effettuare un tirocinio di un anno, al termine del quale verrà sostenuto l’esame di Stato. Nel momento in cui si supererà sia il tirocinio sia l’esame di Stato, ci si potrà iscrivere all’Albo dell’ordine degli psicologi, così da ottenere l’abilitazione per svolgere la professione.
Quindi, alla fine del suo percorso, lo psicologo del lavoro ha delle competenze tali da permettergli di possedere conoscenze sul funzionamento di un’azienda; sui principi di selezione del personale, dei metodi e degli strumenti di valutazione; ascolto, comunicazione ed empatia con i propri clienti; conoscenze informatiche e linguistiche.
Cosa fa lo psicologo del lavoro?
Tra i vari compiti dello psicologo del lavoro, rientrano:
- Elaborare profili personali dei potenziali dipendenti per valutare le loro abilità e competenze specifiche, mediante colloqui individuali, test psicologici e attitudinali, e la compilazione di un quadro dei comportamenti relazionali e sociali;
- Elaborare una valutazione dopo il reclutamento dei dipendenti, stilando i loro profili e utilizzando anche metodi collettivi di valutazione come interviste, gruppi di ascolto e comunicazione collettiva;
- Attività di counseling mirata a chi è in cerca di un’occupazione, chi decide di cambiare settore o di volere una promozione;
- Analizzare le competenze dei dipendenti, la relazione che intercorre tra le loro skills e quelle che sono richieste dalla società, in modo tale da trovare una soluzione in caso di difficoltà attraverso dei cambiamenti di mansioni, percorsi formativi, di potenziamento e di aggiornamento del personale.
Lo psicologo del lavoro offre un grande vantaggio, che è quello di poter capire le persone: individua le caratteristiche fisiche, psicologiche e sociali che rendono ogni persona, ogni dipendente, diverso dall’altro, e il valore che ognuno di essi può apportare al lavoratore o all’azienda da cui viene retribuito. Ognuno ha dei sogni, delle aspettative, e sono queste a determinare gli obiettivi di ogni persona: più l’obiettivo è chiaro, e più sarà facile raggiungerlo. E molto spesso, per paura del cambiamento e di ciò che lo accompagna, si creano delle barriere che mettono a disagio quando bisogna affrontare qualche nuova sfida, qualche nuovo ostacolo. Quindi, paradossalmente, più è importante ciò che si sta facendo, più ci si avvicina al risultato, più la mente cercherà di creare i cosiddetti auto-sabotaggi. E qui, lo psicologo del lavoro interviene, per individuare quegli ostacoli: questo perché i dipendenti rappresentano l’azienda, ed è fondamentale che tutti lavorino sulla stessa lunghezza d’onda per creare un ambiente unito e produttivo.
Quanto guadagna uno psicologo del lavoro?
Ovviamente la retribuzione di uno psicologo del lavoro dipende da svariati fattori, che spaziano dall’esperienza, all’anzianità, alle competenze professionali e al tipo di azienda per cui si decide di lavorare.
In generale, in Italia uno psicologo del lavoro inizia il suo percorso con una retribuzione per il tirocinio che va dai 600 agli 850 euro mensili; dopo, quando inizia a lavorare, percepisce una retribuzione lorda annuale di circa 20.000-25.000 euro, che aumenterà gradualmente con il passare del tempo.
Lo stipendio medio è di circa 1.650 euro mensili, ma – in base alle precedenti esperienze, alle competenze, e all’anzianità – può raggiungere anche i 50.000 euro lordi annuali. Ovviamente questi dati sono molto generici e sommari, in quanto la retribuzione dipende da molteplici aspetti che ogni azienda o lavoratore prende in considerazione nel momento dell’assunzione, valutando parametri precisi e ambizioni di questa figura professionale.