“Danni alla salute dei nostri ragazzi” New York porta i social media in tribunale.
Lo leggo su La Repubblica del 16 febbraio 2024.
Ancora prima di affrontare l’articolo affiora un ricordo: forse tredicenne, torno a casa, un pomeriggio dopo la scuola, e all’ingresso registro qualcosa di diverso. Sul telefono grigio della SIP, sul disco, c’è un lucchetto.
Un lucchetto?!?!
Pensavo di essermela cavata quando dal telefono a disco si è passati a quello a tasti, ma mi sbagliavo: è arrivato il contascatti.
Sarei stata al telefono le ore. Ore e ore di struggimenti amorosi, di pettegolezzi, di cattiverie rivolte all’amica che me l’aveva combinata grossa o al ragazzo che aveva preferito un’altra.
Oltre a lucchetto e simili, i miei genitori hanno deciso di scalarmi dalla paghetta (già misera!!!) una cifra destinata al pagamento di parte della bolletta telefonica.
Non credo abbiano mai pensato di denunciare la SIP.
I danni provocati dai social media sulla salute di giovani
Danni alla salute dei nostri ragazzi.
Nostri.
Nostri?
Nell’articolo viene riportato che il sindaco di New York, Eric Adams, ha annunciato di aver fatto causa a Tik Tok, Facebook, Instagram, Snapchat e You Tube per aver alimentato una crisi mentale tra i giovani su scala nazionale. I social media sono accusati di aver manipolato volutamente i giovani per renderli dipendenti dalle piattaforme online, mettendo a rischio la loro salute mentale. Tre i reati contestati, equiparabili a mancato controllo, negligenza “spericolata”e messa a rischio del benessere pubblico.
Mando l’articolo via whatsapp (anche io sono un po’ complice di Zuck!) sulla chat di famiglia in cui so di trovare i miei 5 nipoti, di età che varia dai 12 ai 21 anni e chiedo loro cosa ne pensano.
Cosa pensano i giovani dei social?
Le risposte non tardano ad arrivare.
La neodiciottenne è risentita: manipolati, ma non siamo senza cervello! E poi scusa, se una persona non viene educata o vive in un ambiente non in grado di trasmettere l’idea per cui esiste una vita vera fuori dai social, non è colpa di chi li ha ideati. E incalza: Il problema sono i social o l’uso che se ne fa?
Il maschio, sedicenne, non usa giri di parole: Il problema sono i social o la fatica è degli adulti che non riescono ad esserci come riferimento educativo, affettivo e normativo?
I più giovani, anche loro, mi sorprendono: I social sono il problema o la dipendenza che ne deriva è l’espressione di un malessere che ha origine altrove? E di cui bisogna curarsi?
La più grande, che studia Economia all’università e che è appena tornata da un periodo di studio all’estero, diffonde l’articolo tra i compagni di corso: è innegabile la posizione passiva in cui ti costringono i social, diventano un riempitivo; io e miei compagni disinstalliamo Instagram o Tik Tok quando siamo in sessione per evitare di perdere tempo. Il rischio è la dipendenza, ma come da tante altre cose, questo non significa attribuire la colpa a chi li ha inventati. E il bullismo? C’è da responsabilizzare le persone non i social. A scuola se ne parla? Di un uso corretto dei social? Noi, tutti, li usiamo anche per trovare le informazioni che ci servono, come motore di ricerca. Ci sono pro e contro. Serve regolamentare l’utilizzo e affiancare e sostenere i giovani a un uso responsabile e consapevole di rischi e possibilità. Non credo si vivrebbe meglio senza social. Sicuramente, io e miei amici non pensiamo che chi ha creato i social debba essere ritenuto responsabile dei danni causati!
Ho sempre imparato molto da loro.
A sorpresa, dalla chat di famiglia, il contributo di un non più giovane: ma dei cinquantenni, sessantenni e settantenni attaccati tutto il giorno a Facebook non si parla?