Vaso di Pandora

Le parole di chi abita sulla stessa luna

Ho scelto un lavoro che usa come strumento la parola. Poi non mi è bastato e nella mia formazione ho cercato altro, la danza, il gesto, il non verbale, l’espressione artistica. Sono cambiata io stessa rispetto all’uso delle parole. Da operatore silenzioso e in perenne ascolto mi sono trasformata negli anni in una che parla, che spesso non riesce a rinunciare a condividere le proprie opinioni e a chiedermi se qualche volta non parlo troppo.

Mi sono imbattuta in questo periodo nella lettura di due romanzi che mi hanno catturato: “Eppure cadiamo felici” ed il suo seguito “Felici contro il mondo” di Enrico Galliano, un professore definito da Gramellini “stile Attimo fuggente” sia nella vita che in un personaggio, chiaramente autobiografico del libro.

Non è tanto la storia, per quanto a tratti non del tutto banale, ad avermi affascinato ma un particolare sul quale l’autore ricama parte della trama.

Gioia, la protagonista adolescente, si sente come un’estranea rispetto ai suoi compagni, non a caso da loro soprannominata “MaiUnaGioia”. Lei è diversa, non le interessano le mode, l’appartenere ad un gruppo, le feste. Ma ha una passione speciale che la rende felice: collezionare parole intraducibili di tutte le lingue del mondo e annotarle sul suo quaderno segreto.

Trovo che alcune di queste parole abbiano un fascino infinito:

Begadang (indonesiano): restare svegli tutta la notte a parlare;

Soviest (russo): la voce che ci dice cosa è giusto fare quando il cuore ci detta una cosa,  però ne desideriamo un’altra;

Kilig (lingua tagalog delle Filippine): la sensazione di avere le farfalle nello stomaco;

Abhiman (sanscrito): la rabbia che proviamo quando a farci del male è qualcuno che amiamo, ma al tempo stesso non possiamo fare a meno di amare quella persona;

Whanau (maori): le persone che senti parte della tua famiglia senza che ci sia alcun legame di sangue.

E molte altre che non citerò.

Tutto questo, per qualche motivo, mi ha fatto pensare al nostro lavoro. Mi sono venuti in mente molti episodi vissuti negli anni. I neologismi dei nostri ospiti, purtroppo mai annotati. I giochi di parole, forse per loro non solo giochi. Trovai un giorno un ospite in un intenso stato di angoscia davanti al televisore mentre scorreva la pubblicità della Seiko. Mi avvicinai al paziente per tranquillizzarlo e cercare di convincerlo, con scarsi risultati, che si trattava solo di una marca di orologi. Ma per lui era un chiaro messaggio, lanciato dai suoi nemici giapponesi che, attraverso lo schermo, gli lanciavano una minaccia non da poco: Sei K.O. (knock out).

Mi sono ricordata di tutte le volte che sono andata a lavorare con mille pensieri e preoccupazioni in mente e con tutta la volontà di nascondere il mio malessere, ma qualcosa di me “parlava” comunque e prima o poi qualcuno si avvicinava per dirmi frasi  che mi sorprendevano,  come un abbraccio di comprensione mai chiesto, ma ben accettato.

Ho pensato ai nostri linguaggi, all’ascolto che gli ospiti richiedono, alle parole che a volte non troviamo per accompagnarli nei loro progetti, alle parole che loro non trovano per manifestarci disagio, sofferenza, desideri, emozioni, timori di non riuscire a realizzare i loro sogni.

Concludo questi pensieri con le ultime due parole rubate dal diario di Gioia:

Haragei (giapponese): parlare in modo inequivocabile ma senza usare le parole; la connessione che si crea a volte tra alcune persone, che riescono a comunicare semplicemente con piccoli gesti e sguardi. Una sorta di telepatia dettata da una particolare affinità elettiva.

Samlunano (esperanto): chi viene dalla stessa luna. Si dice di persone che sono strane per tutti, ma che fra loro si riconoscono.

Credo che entrambe queste parole abbiamo molto a che fare con il nostro lavoro.

Nota: Il libro a cui fa riferimento l’autore esiste davvero; si tratta di Les mots qui nous manquent di Yolande Zauberman e Paulina Mikol Spiechowicz, tradotto in italiano con il titolo Non ho parole. Espressioni curiose da tutto il mondo (Armenia, 2017).

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Commenti su "Le parole di chi abita sulla stessa luna"

  1. Grazie Anna,
    parole delicate, che arrivano, e che, come la pioggia che finalmente scende dal cielo, bonificano e rendono fertile il terreno su cui si colloca la nostra scelta professionale (…e di vita).
    Nicoletta

    Rispondi
  2. Il pensiero si sviluppa attraverso la curiosità e la tolleranza della sofferenza che permette di scoprire cose di noi e degli altri, trascurate e a volte vilipese.
    Brava.

    Rispondi

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