Vaso di Pandora

La strage in una scuola in Svezia: uccidere per esistere

Un ennesimo dramma ha occupato recentemente le pagine dei giornali. Una vita si è conclusa dopo aver ucciso dieci persone. Un adulto di 35 anni ha compito una strage in una scuola privata in Svezia e poi si è ucciso. Secondo i racconti dei giornali la sua era una esistenza segnata dalla solitudine.

I suoi soprannomi alle elementari erano “Il fantasma “ o “cappuccio” (per l’abitudine di portare il cappuccio calato sul volto). Tali appellativi  descrivono una personalità ai margini della società, invisibile anche a se stesso. Descritto dai parenti come “strano” fin da piccolo, era stato respinto dall’esercito, aveva interrotto gli studi e da molto tempo non cercava né aveva una occupazione. Persino il padre ammetteva di non averne notizia da un po’.

La ricerca di un movente per la strage in una scuola svedese

Il copione di tale tragedia è molto simile a quello di altre stragi: lucidità e movente apparentemente incomprensibile, che svia l’attenzione dalla sofferenza mentale sottostante.  Leggendo informazioni sul suo passato, si viene colpiti dal grassetto che sottolinea:.“ era un ex studente bocciato”, titolo che pone l’attenzione sull’ipotetico rassicurante fatto che il mondo esterno lo aveva respinto. In piccoli caratteri è scritto il disagio psichico, il ritiro, la sua scomparsa dal mondo. Tutto ciò nella supposta indifferenza della famiglia. E ancora : “l’ipotesi è quella di una vendetta” (gli era stato revocato un sussidio). Alcuni giorni dopo compare sulla stampa la sottolineatura sulla pista xenofoba  (le vittime erano perlopiù straniere). Jonas  aveva cambiato anche nome, Andersson, forse per essere più svedese di quei migranti che popolavano la scuola. E così l’ombra pesante della sofferenza mentale  viene relegata sullo sfondo.

La ricerca di una identità

Ciò su cui non viene posto l’accento è la parte di quest’uomo che era alla ricerca di una identità: il cambio di nome, la sua sparizione dal mondo. Tanto da non essere più cercato, neanche dai familiari più stretti. Per ricomparire in maniera tragicamente trionfale, colmando così la frattura con la realtà. La scelta delle vittime, la preparazione di una scena di morte dove poter trovare un barlume di senso alla propria esistenza, identificandosi con il male verso se stesso e gli altri.

Molto spesso in terapia giungono persone estremamente ritirate il cui mondo fantasmatico ha perso o rischia di perdere il collegamento con il mondo esterno. Mentre la vita quotidiana richiede una operatività ( formazione e  lavoro), il disagio interiore richiede una presenza terapeutica costante e contenitiva, per un tempo adeguato. In questo spazio terapeutico la distanza tra interno ed esterno viene via via ridotta fino a consentire di poter sostenere la realtà e talvolta affrontarla. Senza questa cura, che prevede a sua volta formazione e servizi sanitari in salute, queste fratture possono esitare in voragini di narcisismo patologico, gorghi neri dovuti ad una spaccatura dell’io, odio verso un colpevole immaginario che non lenisce il dolore dell’anima e di fronte al quale esplodono soluzioni sempre più atroci ed estreme. 

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