Recensione al libro di Ray Kurzweil, Apogeo Ed., 2014
Opera interessante, a cavallo fra accurata documentazione scientifico-tecnologica e un approccio francamente fantascientifico. Va presa così la stravolgente prospettiva indicata da questo libro: è affascinante, ma sotto certi aspetti appare incredibile.
L’orientamento qui sviluppato da questo esponente della corrente di pensiero definita “transumanesimo”si propone addirittura di mettere in crisi la scissione classica che vi è sempre stata fra corpo e mente, fra spirito e materia. Ritiene infatti che le attuali tecnologie e posizioni teoriche abbiano la capacità di superare questo iato fondamentale, perché pongono al centro l’informazione che non è materia né energia, e anzi la si pone come terzo incomodo fra le due, come diceva Norbert Wiener, indimenticato maestro di quella che allora chiamavamo cibernetica. Egli si fermava a ciò: non giungeva come Kurzweil a considerare l’informazione come realtà più fondamentale di materia ed energia. Tuttavia non mi pare impossibile considerare questa impostazione, poiché ogni oggetto materiale – e ogni vissuto mentale – ha una struttura e un ordine interno che hanno a che fare con l’informazione (e forse qualcosa di analogo si potrebbe dire quanto all’energia). Se fosse fondamentalmente informazione non solo ciò che accade nel software e nella mente, ma anche la costruzione delle strutture fisiche dell’hardware – corpo, la via dell’unificazione concettuale potrebbe aprirsi.
Indiscutibile che le prestazioni, in senso lato cognitive, delle macchine possano superare quelle umane almeno in certi campi: ne è esempio la dimostrata capacità del computer di battere un grande maestro di scacchi. Ma credo che l’attitudine a giocare e vincere a scacchi dipenda da una capacità un po’ meccanica: è costruire un c.d. “albero” con le sue ramificazioni – alternative, facendosi una rappresentazione mentale di tutte le possibili situazioni che si verranno a creare dopo una certa serie di mosse: chi ne prevede una serie più lunga vince, e per questo compito il computer ha notevoli vantaggi: capacità di immagazzinare molte informazioni, grande velocità di calcolo. Ma naturalmente l’intelligenza non è tutta lì. E. A. Poe, nella sua particolare ottica, disprezzava queste attitudini: parlava, a torto o a ragione, di “laboriosa futilità degli scacchi”.
Ma per l’A. questo risultato già ampiamente conseguito è solo un primissimo passo: egli, discutibilmente, giunge a prospettare una capacità delle macchine di acquisire, tramite progressivi ma rapidi incrementi di prestazioni, perfino una intelligenza emotiva.
Una idea di base che egli ritiene corroborata da quello che finora è stato l’andamento, dandone una serie di esempi, è che il progresso scientifico sia non lineare ma esponenziale, favorito fra l’altro dalla crescente miniaturizzazione: l’andamento della relativa curva nel diagramma mostrerebbe che la velocità dei progressi nella conoscenza scientifica finirebbe col tendere all’infinito!! Mi manca la competenza per valutare, apprezzare o contestare la fondatezza di ciò, che se non erro implicherebbe che da un certo momento in poi tutti i possibili avanzamenti della conoscenza e delle sua applicazioni tenderebbero ad accumularsi in un solo definitivo istante!! Posso solo dire che ci ravviso la fisionomia di un vissuto di onnipotenza.
In questa ottica, l’A. considera lo strutturarsi del mondo e il suo futuro come un succedersi di sei epoche di progressive strutturazioni. La prima è quella del costituirsi delle formazioni della chimica e fisica classiche, non molto dopo il Big Bang; la seconda quella della biologia molecolare; la terza, la formazione dei cervelli e delle funzioni cognitive; la quarta, lo sviluppo della tecnologia. Con la quinta si comincia a uscire dai dati oggi acquisiti e si entra nelle previsioni; la fusione di tecnologia e intelligenza umana. Nella sesta, “l’Universo si sveglia”: l’informazione occuperà l’intero universo trasformandolo radicalmente: del resto – aggiungerei – la parola “informare” significa “dare notizia” ma anche “dare forma”.
L’A. pensa che: “la materia stupida e i meccanismi dell’Universo saranno trasformati in forme di intelligenza squisitamente sublimi”. Nulla è impossibile, né ho gli strumenti tecnici per “falsificare” questa previsione; però sul piano psicologico questa è una visione onnipotente, che vede una intelligenza ormai più che umana sostituirsi all’intero Universo. E un amico competente mi fa presente che un grosso ostacolo allo sviluppo immaginato è l’inesorabile aumento dell’entropia; ritengo ingiustificato ignorare questo aspetto.
Mutatis mutandis, tornano alla mente altre avventure onnipotenti: una è l’ottocentesca ipotesi di Laplace di una scienza capace di tutto prevedere e controllare, sintetizzata nel motto “Excelsior!” che ispirava ancora quasi un secolo dopo l’Esposizione Universale di Parigi. La fede incondizionata nella scienza si era – parzialmente – sostituita a un’altra fede: la ben più grandiosa e durevole adesione a credi religiosi. Senza ovviamente voler sentenziare quanto alla esistenza di Dio, è chiaro che anche la fede in Lui – almeno quella cristiana ma non solo – ha soddisfatto, malgrado le apparenze contrarie, un bisogno di onnipotenza, poichè il nostro Dio è palesemente antropomorfo. Se siamo solo una briciola in un vasto mondo, e non possiamo controllarlo che in minima parte, c’è però un nostro alter ego onnipotente che può farlo totalmente. Testimone di ciò anche Dante che, al culmine del suo grande Viaggio dichiara l’immagine di Dio come “pinta della nostra effigie”. E tornando a Kurzweil, troviamo un buon precedente in Giovanni che potrebbe collegare la sua avventura mentale con quella religiosa : se “in principio era il Verbo”, nulla di strano che l’Universo torni alle origini tornando infine ad essere null’altro che Verbo. Siamo disposti a pensarlo?
Di interesse specifico per ogni psi il capitolo “Il software dell’intelligenza umana”: si cerca oggi di identificare il fondamento dei processi cognitivi basandosi anche sul paragone con quello dei software dei computer e contando sulla disponibilità di tecniche di indagine sempre più sofisticate: la risonanza magnetica, la magnetoencefalografia, la stimolazione magnetica intracranica, fino alla tecnica in sviluppo dei nanobot: minuscoli robot iniettati nel circolo, la cui azione certo incontrerebbe la difficoltà del superare la barriera ematoencefalica; difficoltà, tuttavia, ritenuta superabile prima o poi. Si punta a costruire modelli del cervello e delle sue funzioni, incluso il linguaggio: circa lo sviluppo di questo, in ipotesi legato all’esperienza condivisa di gesti manuali, non manca il riferimento alla scuola italiana di Rizzolati e Gallese. Si costruiscono neuroni elettronici destinati al confronto con quelli biologici. Importante strumento di conoscenza sono e saranno sempre di più le reti neurali, modello semplificato dei neuroni e connessioni interneuroniche biologiche. Tutto ciò è già in corso, e di fatto oggi non ne sono prevedibili fino in fondo gli ulteriori sviluppi e limiti.
C’è chi paragona questa ricerca all’attività di certi ragazzi che smontano un giocattolo senza poi saperlo rimettere insieme: l’A. rivendica la serietà, l’impegno e la prudenza che governano questo filone di ricerca. Sintetizza la rivoluzione annunciata nella sigla GNR: la Genetica che ci consentirà manipolazioni sempre più radicali e mirate, la Nanotecnologia che realizzerà indagini approfondite, dirette e parcellari all’interno del corpo, la Robotica che ci porterà a sostituire o integrare con le macchine tanti imperfetti organi e organismi. Queste tecnologie sempre più raffinate avranno un impatto benefico sull’ambiente, a differenza delle precedenti rozze rivoluzioni industriali. Di fatto già oggi vediamo che lo smart working può avere una ricaduta benefica sul consumo di carburante.
Ray Kurzweil conduce, un po’ bizzarramente, la spinta al transumanesimo perfino sul piano personale, certo riduttivamente rispetto al futuro annunciato, ma tuttavia con grande impegno che lascia francamente perplessi. I suoi personali mezzi già in opera sono biochimici: duecentocinquanta complementi alimentari al giorno per os, e sei la settimana per endovena, con ininterrotti controlli di laboratorio: sic! Considera ciò solo una anticipazione relativamente modesta di quanto si potrà realizzare a rivoluzione biotecnologica completata! E pensa che fin d’ora dobbiamo correggere la nostra eredità genetica, ormai inadeguata perché governata da programmi che si sono evoluti in epoca ben lontana. Naturalmente c’è alla base un problema reale: è notorio che, ad esempio, le attività sportive fine a sé stesse cercano giustamente di offrire al corpo qualcosa che riproduca in qualche modo gli spostamenti ed esercizi motori anche intensi imposti un tempo dalla caccia, dalla coltivazione, da lavori domestici ben più faticosi di quelli odierni; attività necessarie allora alla sopravvivenza, ed esercizi che il nostro corpo tuttora richiede. Nelle montagne abruzzesi ho incontrato ancora pastori e contadini che guardavano con sorpresa chi, come me, cercava la fatica “per divertimento”.
L’A. ci offre pure una prospettiva meno sconcertante e certo allettante per gli animalisti: la sostituzione delle carni ottenute dagli allevamenti con quelle realizzate da clonazione, a partire da piccoli campioni di tessuti muscolari animali.
Particolarmente suggestiva la trattazione di un settore dell’Intelligenza Artificiale che si occupa della formulazione di teorie scientifiche e modelli matematici senza un intervento umano che sia successivo alla creazione del “robot scienziato”; ma forse ancora più impegnativo il trattamento del linguaggio naturale.
Si profilerebbe dunque una nuova super – umanità, dotata di cervelli mille volte più potenti e di corpi perfetti, esenti da ogni forma di deterioramento e quindi dalla morte stessa: “Che più ti resta? Infrangere pur della morte il velo…” scriveva Vincenzo Monti in celebrazione di un grande, clamoroso evento: il primo volo umano in montgolfiera. L’A. cita il fisico Neyman, che considera la morte una malattia come tante, e quindi curabile. Anche ciò non è del tutto nuovo: ”senectus ipsa morbus..”
L’aspirazione alla immortalità, e perfino la sua realizzabilità, è da sempre nel nostro immaginario, e ciò non sorprende: la proposizione “io non sono” è in sé contraddittoria e soggettivamente inaccettabile: ne è nata, tanti millenni fa l’idea che io non posso sparire: da morto ci sarò ancora, da qualche altra parte: in un qualche Paradiso o nel corpo di un animale… Questa vuol essere solo una riflessione su certe dinamiche psicologiche sottese all’idea dell’immortalità; non vuole per principio negarne la possibilità reale, attuale o futuribile, come quella profondamente inserita nelle fedi religiose o anche quella attesa dal nostro Autore. Questi propone una sorta di parallelismo fra la vecchia distinzione fra corpo e anima e quella nuova fra hardware caduco e software potenzialmente immortale: suggestiva, quanto fondata? Pare che Giulio Giorello abbia detto: “sì, abbiamo un’anima. Ma è fatta da tanti minuscoli robot”. Su tutto ciò, sospenderei il giudizio.
Non mancano previsioni circa nuovi stili di guerra tecnologicamente fondati con sostituzione parziale di combattenti umani con le macchine o piuttosto con le nuove entità fatte di macchina più uomo biologico. Chiaro che questa una realtà è già presente, in modo ben più evidente e massiccio che all’epoca di stesura di questo volume. Sempre più evidente oggi anche un’altra pratica che rimarcava e preconizzava l’A.: lo studio e l’insegnamento on line.
Nasce l’inevitabile quesito: le macchine hanno o potranno avere una coscienza? Condivido la risposta dell’A.: va riconosciuta l’importanza di questa domanda che potrà riguardare anche gli ipotetici uomini-macchina: ma anche che è domanda senza risposta, poiché la coscienza appartiene al soggettivo e pertanto al non verificabile: a rigore, non ho neppure prove dell’esistenza di una coscienza nel mio interlocutore umano. D’altronde questo è un vecchio tema: Karl Jaspers nella sua Psicopatologia Generale insegnava che la realtà della mente (altrui) è in sé inaccessibile, e la desumiamo dalle sue manifestazioni: parole, movimenti, mimica e quant’altro. Problema cui aveva tentato una risposta riduttiva il comportamentismo.
Infine, l’A. si chiede se questo promesso futuro sia da sperare o da temere, ma questo è problema non nuovo, che si è presentato a ogni tappa del progresso tecnologico: ciò che guadagniamo vale di più o di meno di ciò che perdiamo.
Perchè non fare una mediazione tra passato e futuro?
L’ambizione di conoscenza ,di ricerca e di miglioramento può coesistere coi ricordi e le emozioni che ci suscitano senza diventare semplici esecutori di un progetto che non conosciamo e che ci sovrasta.
Ricordate quando avete visto la prima volta 2001 odissea nello spazio?
Allibita difronte al progresso, ad una accelerazione di possibilità che mi sono di difficile digestione, così come difronte al primo pc che vedevo dal mio nipote americano nei primi anni 80, e che commentava.. apri questo ogni enciclopedia diventa inutile, ecco le notizie… dimmi un argomento. Io ero allibita e scettica ma poi e un poi abbastanza veloce mi ha fatto digerire il cambiamento e giravo con un pc portatile in treno tra Genova ed Albenga scrivendo le relazioni di lavoro.
Questa premessa è per dire che l’articolo di Lino lo scenario previsto le possibilità i pericoli le domande i quesiti mi sono assolutamente ora difficilmente commentabili. I cambiamenti avvenuti tra l’80 ed ora , il mondo digitale le eccezionali potenzialità insieme al sentirmi all’interno di un mondo in pericolo o cambiato intrusivo e fragile dannoso insieme all’enorme progresso, chance che mi ha dato mi fa provare sentimenti in contraddizione.
Rimanere cosciente e come dice Gianni coesistere con ricordi ed emozioni mantenere una coscienza tra neuroni robot che si confrontano coi miei pochi rimasti sarà possibile e ci starò . Ma credo che globalmente non sia una cosa così indolore semplice e possibile ma altamente drammatica come tutti cambiamenti sono e esserne coscienti dentro questo vortice impossibile. Ma è così e aldilà delle affermazioni più o meno condivisibili possibili onnipotenti o matte espresse faccio già fatica a seguire il presente e mi rifugio in spazi più piccoli. E si vedrà.. non commento