Gli antichi Greci narravano che i Titani, esseri giganteschi e fortissimi nati dall’unione di Gea e Urano, invidiosi del potere degli dei mossero loro guerra per spodestarli tentando la scalata del monte Olimpo. Pur essendo molto potenti, essi sottostimarono l’immensa forza di Zeus e dei suoi fratelli, e subirono una terribile disfatta, dopo la quale come punizione per la loro arroganza vennero precipitati nel Tartaro per l’eternità. In Psicologia Analitica, prendendo spunto da questo mito, identifichiamo come Titanismo quell’atteggiamento narcisistico che tende a sopravvalutare le risorse del proprio Ego senza considerare che la condotta della nostra vita non dipende solo dalle nostre scelte, ma anche da quella complessità di eventi al di fuori del nostro controllo e soprattutto dalle azioni e dai sentimenti di tutti gli altri esseri umani con i quali interagiamo nel corso della nostra vita.
Proprio come i Titani cercarono di espandersi al di fuori dei loro confini sopravvalutando le loro capacità e non tenendo conto della potenza degli dei, così i personaggi del film “Babylon” (regia di Damien Chazelle e interpretato da Brad Pitt, Margot Robbie e Diego Calva) cadranno dall’Olimpo alla polvere a causa del loro titanismo. La pellicola, della durata non indifferente, ripercorre attraverso le storie dei tre protagonisti principali tutte le vicissitudini che hanno portato il cinema dal muto degli anni ’20 a ciò che è oggi. Sebbene la visione del lavoro del regista di Providence possa essere sicuramente interessante e piacevole per tutti, specie per chi è amante della storia della Settima Arte, da un punto di vista psicologico esso offre una interessante visione intimista di come l’immagine di ognuno di noi sia inevitabilmente segnata dalla percezione degli altri, e di come a volte il nostro Io Ideale e il nostro Ideale dell’Io finiscano per fagocitare la nostra parte cosciente, portandoci alla rovina o facendoci scivolare in una cupa malinconia.
Prima di passare a come questo accade nella vita dei protagonisti del film (chiedo fin d’ora perdono per gli inevitabili spoiler), è necessaria una premessa: vi è una differenza tra l’Io, l’Io ideale e l’Ideale dell’Io. Secondo Jacques Lacan, psicanalista francese, ognuno di noi accanto all’immagine consapevole che ha di sé è inevitabilmente influenzato da una rappresentazione ideale che ha le sue radici nell’identificazione inconscia con il punto di vista o degli affetti che per noi sono significativi, o della morale collettiva. Così, un bravo attore può essere naturalmente un estroverso, un seduttore e un ottimo interprete dei suoi personaggi (Io), ma può contemporaneamente inconsciamente identificarsi con il “mito” che si crea attorno a lui (Io Ideale) e inconsapevolmente incarnare proprio il tipo di personaggio pubblico che i suoi fan desiderano che sia, persino nel privato (Ideale dell’Io).
Nel film in questione ad esempio uno dei protagonisti, ovvero la star del muto Jack Conrad (Brad Pitt) vive la sua vita in una splendida villa dove egli, perennemente ubriaco e circondato da amici, collaboratori e adulatori, sembra essere totalmente realizzato. Persino i suoi innumerevoli e burrascosi divorzi con donne bellissime non sembrano scalfire il suo buonumore. Conrad è sicuro che tutto andrà bene: è una star e nulla potrà farlo scendere dall’Olimpo in cui è. Anche la giovane Nellie Laroy (Margot Robbie) è convinta che il suo futuro sarà nel mondo del cinema, e con un mix di talento e seduzione effettivamente riesce a diventare una attrice apprezzata e desiderata. Entrambe le storie vengono raccontate dal punto di vista di Manny (Diego Calva), umile manovale infatuato di Nellie e divenuto amico di Jack, che lo accoglie nel suo circo di bizzarri amici e lo introduce sui set dei suoi film, facendolo diventare un manager di successo nell’ambiente. Tutto sembra destinato a durare per sempre: Jack fa innamorare le donne solo con uno sguardo, Nellie diventa la “fidanzata d’America” e viene richiesta in tutti i film, e Manny si gode il suo sogno di far parte del mondo del cinema affiancando grandi star e progettando lungometraggi.
Tuttavia.
Fin dalle prime scene, compresa una festa più somigliante a un Baccanalia che a un evento mondano, si intravede dietro la simpatia dei personaggi, le scene buffe e gli avvenimenti grotteschi una cupa disperazione. Si intuisce insomma che non abbiamo affatto conosciuto l’Io dei protagonisti, ma soltanto il loro Ideale dell’Io: essi sono in quanto vengono guardati, e nei piccoli spiragli di vita privata che trapelano da questa eterna festa, intravediamo depressione, disperazione, paura del vuoto. Come Carl Gustav Jung era solito ricordare, ignorare l’Inconscio e i suoi messaggi implica che prima o poi esso troverà il modo di farci confrontare duramente con i temi che cerchiamo disperatamente di rimuovere.
Nel nostro caso, il punto di svolta che cambierà per sempre le vite dei nostri protagonisti sarà un evento di portata storica, ovvero l’avvento del sonoro nel cinema.
Gli attori, abituati ai tempi e alle pose del film muto, avranno enormi difficoltà ad adattarsi ad una realtà completamente diversa: la dizione, il timbro della voce, i tempi diversi sulla scena, tutto cambia nel giro di pochi giorni, e anche cose che prima sarebbero state marginali diventano una necessità e un problema serio.
Gli attori della vecchia scuola sono goffi, impacciati, impostati: il pubblico se ne accorge e li dileggia, preferendo spettacoli dove le nuove star – quelle sì, provenienti dal teatro e in grado di recitare – fanno strage di cuori e di consensi. Inizia così per Jack e Nellie un vortice di disperazione che li porterà a distruggere le loro carriere e alla fine le loro vite. Incapaci di adattarsi al nuovo ma neanche in grado di godere di ciò che è stato, scivoleranno nel baratro della depressione e dell’abuso di sostanze, incapaci di ritrovare quell’Io sepolto sotto le macerie del loro Ideale dell’Io. Emblematico è il dialogo tra un affranto Jack e una sua amica giornalista, rea di aver stroncato il suo film sui rotocalchi, dove quest’ultima spiega all’attore che il pubblico non si fa beffe dei suoi film perché sono ridicoli, ma semplicemente perché lui ha fatto il suo tempo, e che dovrebbe essere felice di aver fatto parte della storia del cinema e di rimanere a suo modo immortale come protagonista delle pellicole che ha interpretato finora.
Né Jack né Nellie, che masochisticamente rovina ogni possibilità di rilancio della sua carriera distruggendo in un impeto di rabbia il buffet indetto in onore del suo rilancio, riusciranno a sopravvivere alla caduta dall’Olimpo. Il loro Io, troppo fragile e troppo confuso con il loro Io Ideale, non ce la fa: Jack si toglierà la vita nella sua camera d’albergo dopo l’ennesimo flop sulle scene, Nellie morirà di overdose in un vicolo mentre fugge dai suoi creditori. Si salva solo il povero Manny, che trascinato sul fondo dai suoi amici riesce tuttavia a cambiar vita e ad abbandonare la città. Anni dopo, in una anonima sala cinematografica, egli si abbandona in un pianto liberatorio, consapevole che pur avendo fallito nella carriera cinematografica ha tuttavia contribuito ai sorrisi che gli spettatori accanto a lui stanno facendo di fronte al film in proiezione. Egli, al contrario di Jack, ha accettato di far parte del passato, ma di essere contemporaneamente un mattoncino su cui il presente si poggia. Viene in mente ciò che dice Recalcati a proposito dell’elaborazione del lutto: inutile sperare di tenere in vita la persona amata tramite i ricordi, poiché ella è andata per sempre, ma piuttosto cercare di percepirne la luce che ci illumina anche se quella stella ormai è morta millenni fa. Così, per tornare al mito dei Titani, forse a volte è meglio accettare di dominare felici la Terra (che ogni giorno ci stupisce con la sua bellezza) piuttosto che spingersi a tutti i costi oltre il regno dei mortali, poiché una ripida ascesa può condurre ad una rovinosa caduta.
In questa trascinante disamina mi sono trovata a pensare alla capacità di adattamento e a quelle volte in cui “titanicamente” come professionisti della salute rimaniamo ancorati ai nostri schemi e vecchie conoscenze (anche scientifiche), ancorati al mito di noi stessi. Ti ringrazio per la stimolante riflessione!